Copertina
Copertina della quarta edizione, 1936
Il testo che segue è tratto dall’edizione del 1919, di cui possiedo un esemplare rilegato con sostituzione della prima copertina
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Padre Reginaldo Giuliani
Padre Reginaldo Giuliani
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[V]

P. Reginaldo Giuliani

Gli Arditi

Breve storia dei reparti d’assalto
della Terza Armata

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Milano
Fratelli Treves, Editori
1919

[VI]

Proprietà letteraria

I diritti di riproduzione e traduzione sono riservati per tutti i paesi, compresi la Svezia, la Norvegia e l’Olanda

Milano, Tip. Treves

/VII/

Prefazione

Alla terza armata tutti amavano il cappellano degli arditi, Padre Reginaldo Giuliani. Questo domenicano infiammato di amor patrio, mite e fiero, calmo in apparenza, ma lampeggiante generosa passione dagli occhi, pieno di carità di volontà di audacia di fervore d’opere è stato sempre coi’ suoi soldati, anche nelle ore più febbrili, partecipando a quante più ha potuto delle loro imprese rischiose, pronto a morire con essi e per essi. Incapace di far male a una mosca, egli era, tuttavia, sempre, dove la gioventù italiana dava il suo sangue. Inerme, come l’Innominato dopo la conversione, partecipava agli assalti, con gli occhiali a stanghetta del frate studioso e l’elmetto pesto del combattente. Possiedo una fotografia che lo rappresenta con la bianca tonaca e la nera cocolla del suo ordine; paragonavo con stupore quell’immagine al soldatino piccolo e nervoso che pareva fosse sempre vissuto tra le milizie, tanto amava quella impetuosa gioventù, tanto ne comprendeva le aspirazioni, i bisogni, tanto a quella fremente attività agevolmente partecipava. La sua fede incuteva il più alto rispetto anche agli increduli; perchè era chiara, serena, perfetta; /VIII/ spirito profondamente religioso, assumevano un senso quasi mistico. E, nel tempo stesso, questo frate uscito dalla meditazione dei conventi pieni di silenzio e di austera disciplina e di libri, era preso da tutta quella varia giovane schietta umanità, in mezzo alla quale viveva giorni di speranza; e gli veniva da Dio e da quelli uomini un bisogno di lottare per il bene degli altri, di essere, sempre pia, soldato di ogni idea generosa. Mi parlava talora del dopo guerra, con gli accenti ed i propositi di un missionario. Partire, andare lontano, nel nome di quell’ordine domenicano del quale è orgoglioso, a predicare, ad agire, a soffrire con chi soffre, a offrire, più, che insegnamenti, una calda fraternità.

È per questo che io lo immaginerò sempre con l’elmetto un po’ storto, impolverato dalle grandi strade maestre, povero di tutto per non voler possedere altro che la sua fede, sempre avanti, oltre le trincee, fuori dai reticolati, pronto a prepararsi alla morte, per una causa pura, ad ogni angolo di via, sotto ogni cielo, se la sua morie possa servire alla verità e alla giustizia.

Tale è il cappellano degli ardili, che in questo libro narra la storia gloriosa dei suoi ragazzi.

R. Simoni

/1/

Truppe scelte.

Un bel giorno della precoce primavera del millenovecentodiciotto, una compagnia di fiamme nere, dal fondo della Val Lagarina, lanciava nel sole una canzone di cui colsi i primi versi:

Noi siamo il fiore delle truppe scelte,
Siam gli arditi del Battaglion d’assalto!

Fiore delle truppe scelte! Orgogliosa definizione, che potrebbe sembrare esagerata a chi non conoscesse né gli intendimenti del Comando Supremo intorno alla istituzione dei battaglioni d’assalto, né le gesta da questi compiute nell’ultimo anno della nostra guerra.

Tutti gli eserciti del mondo hanno sempre mantenuto dei corpi speciali, poiché fra una massa di combattenti emerge naturalmente un numero eletto in cui brillano più spiccate le virtù morali e fisiche del vero guerriero. I trecento alle Termopili, la compagnia della Morte a Legnano, /2/ sono i tipi classici delle antiche truppe scelte. Chi conosce tutta la storia dell’ultima guerra mondiale, sa che sin dai primi giorni, in ogni reggimento, si era soliti ricorrere per le operazioni più difficili a certi militari di provato valore, che vennero formando in ciascuna unità un primo gruppo ideale di truppe d’assalto. Sorsero poi le compagnie di esploratori, i plotoni scudati, i nuclei arditi di battaglione e di reggimento, costituiti e riconosciuti regolarmente dai comandi superiori: e finalmente, a mezzo del millenovecentodiciassette, una circolare del Comando Supremo stabiliva che ogni Corpo d’Armata raccogliesse, dai reparti dipendenti, quei soldati idonei che volessero passare in uno speciale battaglione destinato appunto alle più difficili azioni del combattimento, e detto perciò battaglione d’assalto.

La stessa circolare costituiva organicamente il battaglione sul tipo di quelli di fanteria, con tre compagnie, con una divisa speciale, con speciali armi (moschetto, pugnale, bombe a mano) con sezioni mitragliatrici, lancia fiamme, lancia stokes, di cui s’andava orgogliosi come di una vera piccola artiglieria. I battaglioni dipendenti dai corpi d’armata vennero poi /3/ sottoposti ad una speciale direzione di armata: gli altri furono raggruppati nelle Divisioni d’assalto.

Ufficiali e truppa si reclutavano da tutti i corpi: sino all’aprile del millenovecentodiciotto vennero direttamente ammessi ai battaglioni combattenti, ma da quel tempo le reclute passarono normalmente per i battaglioni di marcia, costituiti appunto per la formazione morale e tecnica dell’ardito.

Parecchie circolari emanate dalle diverse autorità intorno ai nostri reparti, hanno ribadito che il passaggio ai battaglioni non poteva esser fatto che in seguito ad esplicita domanda scritta dell’interessato, ed alla dichiarazione di idoneità rilasciata dal corpo di provenienza e comprovata, dopo un periodo di esperimento, dal comandante del reparto stesso a cui il militare veniva destinato. Queste condizioni capitali del reclutamento, cioè la offerta spontanea del soggetto e la libera accettazione dei superiori, hanno fatto rifluire nei nostri battaglioni il fiore dei combattenti e ci hanno dato le belle pagine di valore che ho tentato di descrivere in questa breve storia dei reparti della terza armata.

/4/

La vocazione dell’ardito.

Il primo requisito di ogni nuovo ardito consisteva nella libera volontà di diventarlo. Le prescrizioni del Comando Supremo stabilivano che non si concedesse l’aggregazione ai battaglioni d’assalto che in seguito a spontanea domanda del militare: qualche reclutamento, ordinato in massa per sopperire ad eccezionali necessità, non ha abolito la regola, che io ho visto praticata quasi dappertutto.

A questo proposito sarà pur bene notare che qualche ardito, per sbrigarsi dagli argomenti con cui i parenti tentavano persuaderlo a rientrare in corpi meno pericolosi, e per sottrarsi alle loro rampogne, trovava più facile scrivere a casa che era stato costretto a passare al battaglione d’assalto. Sono di quelle bugie che si perdonano assai volontieri, e di cui le madri italiane possono andare nobilmente orgogliose.

Una vera e propria vocazione, intima, sentita, traeva irresistibilmente molte ani- /5/ me verso i nostri reparti: e le difficoltà opposte, invece di spengere la nobile brama, l’accendevano più viva, come s’infiamma la passione contrastata. Uomini di tutti i corpi militari (in maggioranza fanti), di tutti i paesi (in maggioranza meridionali: e tra le città Roma e Milano si distinguono) chiedono di essere annoverati tra gli arditi. Non tutti vengono accolti: e gli esclusi talvolta ne spasimano. Un giorno, alcuni soldati della Regia Finanza che facevano servizio per le retrovie del Piave, mi fermano e, con un sorriso mesto, mi pregano di intercedere presso i comandi affinchè venga loro concesso il trasferimento al battaglione d’assalto: «Ventisette di noi ne hanno fatto domanda: quindici siciliani e dodici sardi: e se non ci mandano verremo ugualmente....». Quanti altri mi si rivolsero per ottenere il favore di vestire le fiamme nere!

Quale miraggio traeva questi giovani cuori? quale voce interna li guidava? la coscienza o l’istinto? il desiderio vero di immolazione o l’orgoglio? l’idea o la passione? Come e quando nacque in cuore quest’impulso, questa vocazione di lanciarsi all’avanguardia del combattimento?

La dolce famigliarità che con generosa /6/ larghezza mi fu sempre concessa dai miei arditi, mi permette di rispondere, con sicurezza, a tali quesiti. Una domanda io solevo rivolgere spesso alle reclute, e talvolta anche agli anziani: Perchè sei venuto al battaglione d’assalto? Nelle loro parole, nella profondità degli occhi, nel mutato colore, nell’atteggiamento e sopratutto nelle opere loro, leggevo la risposta. È così facile leggere nell’anima aperta della nostra vivace gioventù! Quale varietà di intendimenti, quale diversità di impulsi, nella storia di queste vocazioni!

1) Patriottismo vero.

La nostra guerra ha svelato, fin dal maggio millenovecentoquindici, virtù che parevano morte per sempre. Fanciulli di diciotto e vent’anni, usi alla vita comoda e alle mollezze, balzarono di tratto sul campo, tra il fango e i sassi, alla pioggia e alla tormenta, e affrontarono con animo virile i più gravi pericoli. Gli interventisti chiassosi della prima ora, che in più di due anni di sacrifici non avevano ancora consumato l’entusiasmo della grande guerra, passarono in bel numero nei nostri reparti.

Ne conobbi uno nel momento stesso in cui si presentava al battaglione. Sotto l’el- /7/ metto grigio portava un viso soffuso di timidezza e di commozione: nei suoi occhi brillava tutta la gioia di chi raggiunge finalmente una mèta sognata lungo tempo. Dopo una buona stretta di mano ai compagni, s’assise al mio fianco, per la mensa: così potei intendere ed intuire la sua bella storia: era ancora sui banchi della scuola quando scoppiò la guerra, in favore della quale aveva anch’egli emesso qualche voce nelle dimostrazioni degli studenti romani. Aveva assistito con invidia alla partenza dei compagni, e finalmente, dopo più d’un anno, s’era arruolato anche lui, appena diciottenne, ed era venuto al fronte con le stellette dell’ufficiale. L’arrivo al battaglione d’assalto fu per lui una vera festa.... Mi parve di intravvedere delineate, sullo sfondo della sua intelligenza, tutte le ideali ragioni del nostro intervento nei conflitto mondiale e di sentire le pulsazioni violente del suo cuore, per un sacrifìcio ardentemente desiderato. Non conosceva limiti nella immolazione: era pronto a tutto e voleva fare qualche cosa di realmente utile per la nostra causa. Si buscò due volte gli arresti per esser fuggito in trincea, di notte, a lavorare tra le rovine di un ponte, onde preparare il guado ad /8/ una pattuglia.... Quanto più penetrai, nel testo: ho penetrato; corr. negli → Errata ho penetrato il segreto di quest’anima, tanto più compresi che la sua vocazione di ardito era un purissimo impeto di generoso amor di patria.

Questi sentimenti altissimi non mossero solo le anime colte e gentili degli studenti: alcuni appunti che io tolgo dal, nel testo: tolgo del; corr. negli → Errata tolgo dal mio taccuino dicono di quale nobiltà sia capace il cuore del popolo.

In mezzo ai briosi giovanotti vi è un soldato sulla quarantina, un romano, che si presenta sempre per il primo quando occorre un uomo per le pattuglie. È padre di cinque bambini, di cui mi mostra la fotografìa, che porta sempre sul cuore.

«Come mai osate affrontare tanti pericoli, voi che siete padre di cinque creature?»

«Signor tenente» mi risponde serio serio, con un certo tono di autorità, «prima la patria e poi i figli. Del resto anche mia moglie è del mio sentimento e dovremmo essere tutti cosi.»

Risposta, nel testo: Posta; corr. negli → Errata; nelle edd. dopo la 1ª è già nel testo. Risposta sublime!

Allorché mi venne a mancare l’ordinanza, dopo d’aver cercato e vagliato a lungo (quanto è importante in guerra avere un bravo attendente!) scelsi un ardito di diciannove anni, tanto buono quanto sim- /9/ patico. Era un ragazzo senza studi, ma di tal finezza e delicatezza naturale, che al primo vederlo non si poteva supporre che fosse un campagnolo: e era nato nella pianura piemontese, e giacché il poveretto fu disperso nell’offensiva del giugno del millenovecentodiciotto, posso anche farne il nome: si chiamava Giacomo Pollarolo. Quando, colla più cordiale famigliarità, riuscii a vincere la sua timidezza, egli mi fece delle confidenze che non aveva osato fare ad alcuno: mi disse che quando stava al suo paese, leggendo nei giornali o udendo altri parlare della giustizia della nostra guerra e delle infamie tedesche, s’era sentito punto dal desiderio vivo di arruolarsi volontario; ma per una specie di pudore non aveva saputo confessare ai suoi genitori i pii desiderii. «È così bello morire per la Patria» mi disse un giorno abbassando gli occhi. Appena chiamato alle armi ottenne di venire al fronte e di passare al battaglione d’assalto. Tagliò corto su ogni argomentazione di chi trepidava per lui, e scrisse ai parenti, che l’avevan mandato al fronte e che era stato messo fra gli arditi. E mi ripetè anche lui quanto mi dissero parecchi altri: «Sono venuto al battaglione per fare il mio dovere».

/10/ Così parlava quel rustico ragazzo. Diversità di educazione, di cultura, di condizioni economiche, di aspirazioni sociali sono scomparse dinanzi al grande ideale che ha illuminato e rapito i cuori della nostra gioventù.

2) Gli impulsivi.

V’erano delle reclute che non sapevano dire quale motivo le avesse spinte ai battaglioni: «Mi son fatto ardito perchè mi piace così.... perchè questo è il mio posto.... perchè io sono nato per fare l’ardito». Ma attraverso alla vivacità irriflessiva e spesso incosciente di quelle parole, uno schietto e limpido coraggio splendeva.

La gioventù è l’età del movimento e dell’irrequietezza: però vi sono dei giovani, più degli altri instabili e insofferenti di giogo. Anime che respingono come la morte tutto ciò che è normale e fisso: solo la guerra ha offerto un campo adatto a queste bramosie di avventure. Ma la trincea stessa che li vide per mesi e mesi faticare e languire, nell’ultimo anno di guerra, per questi tipi agitati e agitatori, era diventata una prigione. Perciò molti passarono ai battaglioni nostri, dove si speravano minori costrizioni e più ampio campo di /11/ avventure. Che importa loro del pericolo? essi lo cercano con ardore.

Tra gli ufficiali stessi abbondano queste vocazioni. Conobbi un tenentino bresciano che sorrideva appena alla ventesima primavera, e che pure aveva già compiuto tante belle azioni. Nel millenovecentoquindici non aveva ancora toccato i diciassette anni, perciò si vedeva chiusa anche la via dell’arruolamento volontario. Un altro ostacolo era la tenerezza della mamma.... Che poteva fare se non fuggire di casa e andare.... Dove? al fronte, al fronte s’intende. Carpito un bacio alla mamma che nulla sospettava, passando da un treno all’altro e poi dai treni all’autocarro, arrivò sull’altipiano di Asiago. L’ingenuo fanciullo credeva di poter combattere colla stessa facilità con cui era venuto. Ma venne fermato dalle sentinelle agli sbarramenti e non conoscendo la parola d’ordine fu consegnato ai carabinieri, che lo riportarono alla mamma. L’ardito fanciullo, dopo pochi giorni, fuggì una seconda volta, sperando di trovare miglior fortuna sul fronte carsico: gli toccò egual sorte! Finalmente giunse l’età legale, e allora nessuno potè trattenerlo. S’arruolò e partì subito per la trincea, semplice soldato poi ufficiale. /12/ Venne tra i primi al battaglione d’assalto, spinto dalla sua passione.

Un giorno ci si presentò un soldato di cavalleria che era fuggito dallo squadrone accantonato in Bologna: aveva camminato tredici giorni per arrivare ad un battaglione d’assalto. Si era presentato al primo che gli avevano indicato, ma udito che quello era un reparto di marcia, riprese la strada per trovare un reparto combattente. Ci venne innanzi serenamente e raccontò con tutta franchezza il suo caso che, quantunque irregolare, non ci parve degno di grande biasimo. Il nuovo ardito, avendo inteso che il comandante dava ordine affinchè venisse avvisato del fatto il reparto di provenienza, l’interruppe per dire: «Scusi, signor Maggiore, non occorre che si disturbi, perchè io stesso ho scritto al mio colonnello che mi aveva strappato in faccia la domanda di passaggio fra gli arditi, e gli ho detto che gli perdono e che non si dia più pensiero di me».

Molte delle più coraggiose fiamme nere sono di queste nature indomite e talvolta selvagge: l’ardito classico dalla faccia ossuta, dallo sguardo fiero, dai muscoli d’acciaio, che, colle mani in tasca e la giubba sbottonata si presentava tranquillo e si- /13/ curo, è il rappresentante classico di queste vocazioni naturali.

3) I maffiosi.

Nel gergo militare, far la maffia significa pavoneggiarsi delle belle ed eleganti divise.

Fra tutte le divise militari venivano ammirate le fiamme nere, e fu appunto il desiderio di quest’ammirazione che suscitò la vocazione di parecchi arditi.

Soli in tutto l’esercito essi usano la giubba aperta col bavero rovesciato e le fiamme nere, rosse o verdi secondo la loro provenienza (dalla fanteria, dai bersaglieri, dagli alpini). Sulla manica si porta un artistico fregio riproducente la daga romana, ai cui lati salgono due rame di quercia e d’alloro e sull’impugnatura sta incluso il motto sabaudo fert: compiono le caratteristiche della divisa il maglione o la cravatta e il cinturone col pugnale.

Che vi può essere di più suggestivo, per i giovani che per la loro stessa freschezza e vivacità amano di apparire! Aggiungete poi il fascino della fama di coraggio e di temeraria gaiezza che circondò i primi arditi, e non vi avrà nulla di più desiderabile. Gli arditi che s’incontravano per /14/ le contrade d’Italia, attiravano tutti gli sguardi, e suscitavano nel cuore dei giovani ammiratori il desiderio di vestire anch’essi le fiamme incantatrici. Un arditino di diciott’anni che era fuggito dall’ospedale per ritornare tra di noi, nel raccontarmi le sue vicende, trasse un sospirone, e soggiunse: «È per questa divisa, che mi è più cara della mia stessa vita....».

L’attrattiva delle fiamme fu più possente e vasta di quanto si possa immaginare. Non v’è bisogno di dire che qualcuno di quelli che cercarono solo lo splendore della divisa, si trovarono assai male, quando dovettero pagarne il prezzo coi più gravi pericoli. La maggioranza, però, sapeva portarla con onore: mi hanno raccontato di un tenente che andò all’assalto col fiore all’occhiello e i guanti infilati come per una cerimonia: e così cadde.

4) In cerca di gloria.

Nei reparti d’assalto v’erano molte occasioni di mettere in mostra il valore personale, e le azioni eroiche venivano normalmente premiate con giustizia: ecco un’altra lusinga che ci diede un bel numero di complementi.

Non tutti i reggimenti dell’esercito po- /15/ tevano partecipare alle azioni belliche, specialmente nell’ultimo anno, quando i combattimenti furono rari, brevi e, eccezion fatta della contro-offensiva di giugno e dell’offensiva d’ottobre, di non grande importanza. L’ambizione legittima di molti valorosi non era sazia, e per tal modo volgevano il pensiero ai battaglioni cui era serbato un posto d’onore in tutte le azioni grandi e piccole. C’era la speranza di poter compiere qualche atto degno di ricompensa, costasse pure qualche goccia di sangue.

Ebbi tra le mani una lettera che diceva: «Mamma, sono venuto al reparto d’assalto per l’orgoglio di portarti presto a casa una medaglia d’argento». I nastrini azzurri che si stendevano sul vigoroso petto dei vecchi arditi, scossero molte anime e ci diedero parecchi compagni.

5) Privilegi desiderabili.

Gli arditi godevano un trattamento speciale: miglioramento del rancio, venti centesimi di soprassoldo giornaliero, e sopratutto normale esenzione dai turni di trincea e della corvée; ecco gli ambiti privilegi della nostra truppa.

Io credo che queste disposizioni del Co- /16/ mando Supremo siano state ugualmente efficaci a mantenere la freschezza delle forze, quanto a suscitare la vocazione dell’ardito.

I vecchi soldati che per anni trascinarono la loro esistenza nelle fangose trincee del Carso, della Bainsizza e del Piave, e che si nutrirono della sempiterna gavetta di riso, pasta e brodo, e brodo, pasta e riso, essi, che rappresentavano l’avanzo glorioso di cento battaglie, accolsero con trasporto il privilegio d’esenzione dalla trincea, pure continuando a rendere con rinnovata lena i migliori servizi alla patria.

Si disse che la vita dell’ardito rappresentava un nobile imboscamento, appunto per l’esenzione dai turni di trincea. Ma bisogna notare che le trincee del Piave non erano più quelle del Carso: e i battaglioni d’assalto ebbero il miglior sviluppo, quando l’esercito stava sul Piave. Inoltre i morti e i feriti che i battaglioni d’assalto contavano quotidianamente nelle esercitazioni valevano le perdite della trincea. Infine spesso la durezza di un solo assalto richiedeva sacrifici che valevano quelli della lunga e aspra vita agli avamposti.

Certamente non furono una grande maggioranza gli allettati da questi privilegi: /17/ la massa popolana vivace e intelligente sa valutare la propria vita al di sopra di tutti i comodi: lo spettro della morte con cui deve lottare con più veemenza l’ardito è sempre terrificante, anche visto da occhi di vent’anni. I nostri privilegi furono per molti una ragione parziale ma non totale della domanda d’ammissione ai battaglioni d’assalto. Pochi sfruttarono senza dignità il privilegio: la maggioranza lo contraccambiò con preziosissimi servizi e col sangue stesso.

6) Vocazioni d’occasione.

Vi hanno nella nostra missione, come in tutte le altre, delle vocazioni di occasione, sorte cioè da qualche caso particolare, da qualche incidente che ha generato uno speciale orientamento della nostra volontà.

Interrogai una recluta che portava il segno del lutto sul braccio, e mi rispose: «È pel terzo fratello morto in guerra: sono venuto al reparto d’assalto per vendicarli tutti e tre».

«Nel millenovecentodiciassette (così mi disse il giovane torinese Q. Zumaglia, ardito al ventottesimo reparto) fui catturato presso il Monte Santo, mentre coi nuclei di /18/ esploratori mi spingevo avanti alle prime ondate di assalto. Mi portarono subito in una caverna oscura con altri quattro miei compagni, e ci legarono tutti a certi pali, coi polsi dietro la schiena. Stavamo là col cuore che ci batteva forte e con qualche lacrima agli occhi, dubitando della nostra sorte, quando arrivarono alcuni ungheresi; negli → Errata si suggerisce la corr. nemici dovevano, nel testo: doveva; corr. negli → Errata continuavano a bat-[terli], nel testo: continuavano bat-[terli]; corr. negli → Errata ungheresi, alti, grossi e brutti, che buttarono a terra dei sacchi e ci guardarono con provocazione. Estrassero dai loro sacchi grossi pezzi di carne che evidentemente dovevano servire al loro rancio e schernendoci con le più brutte parole del loro barbaro linguaggio presero a sbatterci in faccia quella carne. Poi tirarono fuori dai loro gambali lunghi nervi di bue e ci percossero ferocemente in tutte le membra: e non li impietosirono le nostre invocazioni. Due dei miei compagni caddero morti sotto quei colpi: e benché morti continuavano a batterli. Io pure credevo di morire.

«Nella notte il mio sergente che stava legato presso di me, riuscì a svincolarsi e liberò pure me e quell’altro poveretto che era ancor vivo: così riuscimmo a salire alla bocca della caverna ed a fuggire. Si accorsero della nostra fuga quando noi eravamo già lontani, e fecero un fuoco /19/ indiavolato di mitragliatrici alle nostre spalle, ammazzandoci un compagno.

«Raggiunta la nostra linea, fui portato all’ospedale, ove rimasi in letto venticinque giorni, quanti bastarono per rimettermi alla meglio dalle botte.... non vidi che l’ora di tornare al fronte e fra gli arditi, per restituirgliele e moltiplicate».

Molti veneti dopo l’invasione di Caporetto accorsero ai nostri battaglioni per vendicare l’oltraggio fatto alla Patria e collaborare più fortemente alla sua liberazione.

Altri sono stati allettati dalla ammirazione delle virtù dei bravi arditi. Nel pomeriggio del diciassette giugno millenovecentodiciotto, quando un forte assalto nemico si rinnovava con teutonica minaccia sul medio Piave, presso Casa Verduri, alcuni strenui difensori del capo saldo furono inviati in cerca di bombe a mano che erano venute a mancare. Uno di quelli si presentò al comandante della ottava batteria del trentacinquesimo Artiglieria da campagna.

«Che vuoi ardito?» gli disse quegli.

«Signor tenente, mi dia delle bombe, altrimenti gli austriaci vengono avanti.»

Il tenente gli diede subito le bombe e /20/ per di più lo regalò di tre uova sode, che l’ardito ingoiò in tre bocconi, nel mettersi le casse sulle spalle. «Da quel momento», mi disse l’antico comandante di batteria, diventato aiutante maggiore all’undicesimo battaglione, «io mi proposi di far domanda di ammissione al reparto; la spigliatezza e la tranquillità dell’ardito in quell’ora suprema, mi attrasse e mi sedusse».

Vi sono altre vocazioni sgorganti da speciali stati d’animo, la più comune delle quali mi pare ben rappresentata da un grazioso giovane di Milano, biondo e ricciuto, che aveva un’anima assai delicata e tutta piena di dolce melanconia. Mi raccontava che a lui, bambino di cinque anni, la mamma, infelice dimenticata dal marito, narrava i suoi dolori, «Ed io», mi diceva «li comprendevo e mi sentivo come lei tanto infelice.» E continuava: «Non mi creda mica un eroe; sono disgustato dalla vita e da tempo cerco la morte. La cercai come aviatore in areoplano.... sono venuto a cercarla ora al battaglione della morte. Lei, signor cappellano, non mi presta fede, ma deve esser certo son venuto qui per morire». Ed ho avuto poi la prova che il caro pessimista era sincero....

/21/

7) Riabilitazione.

Mi rimane ora a parlare di una specie di vocazione, della quale potrei anche tacere, poiché pochissimi rappresentanti ebbe nei battaglioni della terza armata; se non che, per quel tanto che se n’ è parlato, specialmente dagli incompetenti e dai malevoli, mi pare necessario indugiarmi un poco a chiarire i fatti.

Nei primi esperimenti dei reparti d’assalto, qualche dirigente, ignorando forse che coraggio non è punto sinonimo di sfrontatezza e di licenza, aprì le porte a tutti, anche a qualche volgare criminale. Figurarsi che pasto per i gelosi delle prime glorie degli arditi, per i disfattisti raffinati di allora, per le teste piccole e i cuori gretti, per gli eterni mormoratori «Qui giace l’Aretin, poeta Tosco, / che d’ognun disse mal, fuorché di Cristo, / scusandosi col dir: “Non lo conosco”!»
(Ironica epigrafe indirizzata all’Aretino da Paolo Giovio)
che d’ognun disser mal! disser mal! Vi ha della gente che è sempre più disposta a biasimare, che a compatire e amare; tanto più quando si tratta di trovar le macchie sulla faccia del sole, di sminuire le più belle glorie.

Invece, già prima della fine del millenovecentodiciassette, il Comando Supremo proibiva assolutamente che si ammettessero nei battaglioni d’assalto quei militari che avessero subite delle condanne. /22/ Come si sarebbe osato affidare il compito di pattuglia a uomini che non potevano dare tutte le garanzie morali? Come si poteva mantenere la purezza di ideali delle più sante rivendicazioni, se si aprivano le porte ai più feroci sanguinarii? Eppure vi furono dei perversi o degli incoscienti che tutto fecero per accreditare la diceria che tra gli arditi non vi fossero che avanzi di galera.

Quantunque questa calunnia fosse respinta dalla nostra gioventù, con tutta la fierezza ispirata dalla nostra serena coscienza e dal bollore del più ardente sangue italiano, tuttavia devo soggiungere che non ci toglieva punto l’appetito, né l’allegria; che, anzi, forniva il tema piacevole di scherzi e di canzoni. Si cantava tra di noi una catena di stornelli finemente ironici:

Se giri tutta Italia non trovi un lazzarone:
li ha requisiti tutti il Colonnel Pavone.

Nelle patrie galere non ci son più banditi,
perchè andaron tutti al battaglion d’arditi.

Se volete far la guerra con dei bravi soldati,
andate al cellulare, prendete i carcerati.

Se ha più di sei anni puoi farlo caporale,
Se è condannato a vita puoi farlo generale.

Un ufficiale, tornato appena dalla licenza ottenuta per una brillante azione eroica, /23/ mi confessava: «Mi han fatto intendere tante volte che queste fiamme sono la divisa dei criminali, che quasi temo di stare in piena malafede quando credo d’essere un galantuomo».

L’esclusione dei condannati dai battaglioni della terza armata veniva praticata severamente; però con quel discernimento che sa scoprire il buono ovunque esso sta. Se si considera che gran parte dei reati di guerra consistevano in falli leggeri, che forse non macchiavano punto la coscienza; se si considera che al delinquente sinceramente pentito, non si può chiudere la via della riabilitazione senza peccare di crudeltà; si comprende come i nostri superiori, saggiamente illuminati, non abbiano potuto respingere qualche figliuol prodigo, che cercava la via del ritorno attraverso ai più sanguinosi eroismi. Perchè avremmo dovuto ributtare quelle anime che nelle rivelazioni d’una rinata coscienza avevano trovato l’aborrimento della precoce delinquenza loro, frutto, più che di propria malvagità, della incuria dei parenti e della infezione degli ambienti per cui furono costretti a strascinare la lor prima giovinezza? La nostra società deve essere felice che qualcuno abbia steso /24/ le mani alle vittime pentite della sua malvagità incosciente.

Questi elementi, amorosamente curati e sorretti, hanno reso meravigliosi servigi in guerra, e parecchi di quelli che oggi restano sono tornati alla vita borghese coi migliori intendimenti, imparati nella scuola del sacrifizio spontaneo.

/25/

Il cuore degli arditi

I bollettini quotidiani del Comando Supremo, le corrispondenze dei giornalisti e cento altre voci hanno reso noto al mondo il contributo che i reparti d’assalto portarono a molte vittorie dell’esercito nostro. Invece, poco è conosciuta la sorgente vera di questo eroismo: della quale ho già detto qualche cosa nel capitolo precedente, parlando dei diversi ideali che attiravano la nostra gioventù, e ancora dirò nel corso della narrazione, raccontando la storia di qualche anima eletta. Però mi pare conveniente di gettare uno sguardo complessivo sulle qualità generali degli arditi. Chi ha potuto conoscere bene il loro cuore, si sente fiero di palesarne le virtù meravigliose; e per poterne parlare degnamente, vorrebbe avere un linguaggio tanto elevato quanto grande è la stima e l’affetto devoto che in lui ha suscitato quella bella, veemente, generosa gioventù.

/26/

1) Il coraggio.

Il coraggio è la virtù essenziale di ogni ardito, poiché il compito che gli è affidato consiste nel balzare per primo contro i maggiori pericoli, nell’aggirare cautamente le insidie più terribili, nell’attendere i furiosi attacchi nemici: per le quali imprese, è necessario anzitutto dominare e vincere ogni oscillazione dello spirito, e poi cozzare contro ogni difficoltà, e affrontare la morte stessa.

Vi sono i cuori saldi naturalmente; temperamenti robusti, che spesso si rivelano dalla persona aitante, dai muscoli pronunciati, dallo sguardo lampeggiante e sicuro: spiriti calmi nel giudizio, fermi nei propositi, sicuri della propria forza. Vi sono altri che nei gesti nervosi, nell’occhio focoso, mostrano una impulsività repentina pronta a scattare come una molla, se trova ostacoli, o se si tenta di reprimerla.

Ma non tutti nascono leoni: e molti pure essendo privi di naturale audacia, seppero, riflettendo, volendo, vincere prima l’affanno, e poi.... il nemico, e diventarono bravi arditi. Quanti miracoli di coraggio ha creato il patriottismo e la sete di gloria!

Il coraggio come tutte le qualità mo- /27/ rali s’intensifica coll’uso: la qual cosa ci spiega perchè i nostri battaglioni abbiano avuto le migliori reclute tra quelli che avevano già passato qualche anno al fronte. Questi uomini abbronziti, che portano con disinvoltura la giubba degli arditi, sono vecchi fanti, vecchi bersaglieri, che han portato i tubi di gelatina esplosiva sotto i reticolati nemici nella campagna del quindici, che sbiancarono quattro o cinque volte nei letti dell’ospedale per ferite miracolosamente rimarginate da un sangue generoso, che per primi hanno toccato le quote ardenti del Calvario, del San Michele, del Sabotino e del Monte Santo. Che cosa potevano essi temere? La morte aveva sfrondato alla loro destra e alla loro sinistra, ma non li aveva mai toccati, onde era nato in loro quasi una credenza superstiziosa in una certa incolumità.

Con la formazione dei reparti d’assalto, si aggiunse un nuovo fattore al coraggio di guerra, poiché si creò per esso un ambiente appropriato, un terreno preparato. La specialità dei nostri battaglioni era di toccare tutte le fibre sensibili, nel testo: sensitive; corr. negli → Errata sensitive all’ammirazione, alla gloria, al sacrifizio. Quando si dà il proprio nome ad una corporazione che ha per motto parole come le seguenti: /28/ senza macchia e senza paura, si impegna il proprio onore. La divisa stessa dell’ardito è una parola d’onore, come la fama che la circonda.

L’esempio dei compagni, il sapersi da loro difesi ai fianchi e alle spalle, dà maggior lena ad offrire il petto al nemico: udii spesso, dagli arditi, asserzioni simili a questa: «Coi miei compagni andrei in capo al mondo.... assieme a costoro non si ha paura di nulla». Inoltre gli arditi erano favoriti dalle migliori condizioni: un perpetuo riposo manteneva la freschezza dei muscoli e della mente: speciali esercitazioni li allenavano al contatto coi pericoli dell’assalto: armi e munizioni della miglior specie, per offesa e difesa, davano la speranza di superare ogni difficoltà. L’ardito era portato all’azione, non come una pecora al macello, con gli occhi bendati, o con una semplice indicazione sommaria sull’obbiettivo da raggiungersi: la sua intelligenza aperta e cosciente veniva illuminata su tutti i particolari del combattimento dai superiori, i quali ne ascoltavano pure le obbiezioni e ne tenevano anche conto.

Talvolta si modificò un piano d’operazione secondo le informazioni e il parere di un umile gregario di truppa.

/29/ Se essi stessi intuivano che un’azione aveva certezza di riuscita, la combinavano da loro, la eseguivano senza alcun preparativo burocratico: se invece non vedevano alcuna probabilità di riuscita, o se non era di loro genio perchè non riuscivano a comprenderne la necessità, tornava quasi impossibile indurli ad operare. L’ardito pensava che, qualunque esito avessero le azioni, il primo frutto, di vittoria o sconfitta, era sempre pagato e raccolto dalle sue mani: in caso di sconfitta altri potevano rimetterci il grado o l’avanzamento, ma lui ci rimetteva la pelle!

In tal guisa egli portava al combattimento tutte le sue forze, e gli ufficiali potevano tenersi sicuri che ognuno dei dipendenti compiva la propria parte con intelligenza e con audacia.

Non intendo dire che tutti gli arditi fossero eroi: ma ne conobbi molti che non erano angustiati che da un timore solo, ed era quello di non essere i primi in ogni impresa; ne conobbi molti che scherzarono, con audacia appena credibile, con la morte stessa. Niente li spaventò: si avventurarono coi più terribili rischi, come i trecento spartani, coronati di fiori, cantando allegramente.

/30/ Quale dei combattenti non sa quanto fossero sospirati sul campo in certi momenti, e quale animo prendessero le altre truppe nel vederli giungere? I fanti, nel testo: fafiti; il testo è corretto nelle edd. successive alla 1ª; anche negli → Errata c’è un errore fanti, che erano stati scossi dal bombardamento nemico, al primo intendere dello stornello:

Noi siamo gli arditi della Terza Armata,
Dove attacchiamo noi è sicura l’avanzata.

Vengono gli arditi, bisbigliavano, e si ricomponevano per intonare anch’essi:

La fanteria l’è lurda, l’è piccol di statura,
Ma quando è in trincea, i tedeschi han paura!

Non tutto quel coraggio era cosciente, ma le deficienze, nel testo: le deficienze; corr. negli → Errata ma le deficienze dei singoli si perdevano in quella massa incandescente. La fortuna non corrispose sempre adeguatamente al valore, ma la dedizione degli arditi non venne mai meno.

2) La disciplina.

L’elemento scelto delle truppe d’assalto impose una speciale forma di disciplina, più intelligente, più dolce, ma non meno efficace ad ottenere il rispetto e l’obbedienza.

La disciplina dell’esercito si informa variamente allo spirito dei diversi corpi: /31/ altra è la soggezione del fante, altra quella del bersagliere, altra quella dell’alpino, altra quella dell’ardito, del quale si deve sviluppare l’individualità. L’ardito non amava piegarsi agli ordini rigidi e senza motivazione: voleva essere illuminato sul proprio lavoro. La sua fiducia nei dirigenti dipendeva meno dal loro grado che dal loro valore personale: quando però aveva apprezzato un ufficiale lo seguiva poi ciecamente, in qualunque impresa.

Da parte loro, gli ufficiali nutrirono un sentimento paterno verso i dipendenti e nel mantenere la disciplina badarono più alla sostanza che alla parola dei regolamenti.

Questa specie di famigliarità scandalizzò qualche critico, che giudicò che fra gli arditi non vi fosse disciplina. Niente di più falso: si trascurava talvolta la forma rigida, tradizionale nelle caserme, ma nient’altro che questa forma. La gioventù intelligente, cosciente e varia, di cui si componevano i nostri reparti, fu sempre docilissima; non contano le piccole eccezioni, che, in un ambiente si acceso avrebbero potuto provocare vasti incendii, e invece non turbarono mai la virile obbedienza della massa.

/32/ Chi tentò soffocare questi spiriti liberi e forti, e volle applicare i severi regolamenti di disciplina, corse pericolo di togliere lo slancio alle più belle azioni e aprì la via alle mancanze, ai sotterfugi e talvolta a vere colpe. La coercizione irrita gli animi bollenti e la scontentezza si incupisce talora in cattiveria. La mia esperienza mi dice che i battaglioni d’assalto che apparivano talvolta più regolari, erano meno morali e meno disciplinati di quelli in cui gli arditi potevano portare il berretto sull’orecchio, la giubba sbottonata, le mani in tasca.... e la fronte più alta e il cuore più aperto!

Ho sentito parecchi ufficiali di altri corpi, notare che gli arditi, meglio di altri, salutavano i superiori che incontravano per la strada. Nei primi mesi dopo Caporetto, successe un fatto che dimostra a meraviglia quale spirito li animasse. Alcuni soldati di diversi corpi s’erano permessi, in un’osteria, canzoni oltraggiose per gli ufficiali: gli arditi presenti, non essendo riusciti a farli smettere, audacemente li dichiararono in arresto (!) e li trascinarono al comando del battaglione, ove quegli incoscienti ebbero il fatto loro.

/33/ Una canzone composta da un ardito, e cantata da tutto il reparto suo diceva:

Gli Ufficiali degli arditi
Son da tutti rispettati.

E non solo erano rispettati, ma anche amati! Vidi un giorno un sergente di quarant’anni, angustiato e piangente per un affronto che il suo tenente (un giovane ventenne) aveva ricevuto da un estraneo. Nell’ora dei pericolo brillarono i più bei tratti di amor filiale verso dei superiori: i soldati fedeli che non lasciavano un momento l’ufficiale s’avventuravano nel più fitto della mischia per fargli scudo col proprio petto.

Nell’ospedaletto da campo numero 110, durante l’offensiva austriaca dell’ultimo giugno, un capitano delle fiamme nere che giaceva in letto con una spalla lacerata, chiese al cappellano (certo D. Guasco di Asti) se vi fossero soldati suoi tra i feriti: il cappellano gli disse il nome d’uno che giaceva in un’altra sala.

«Ah, il mio caporale! voglio vederlo, mi accompagni.» Niente più trattenne l’ufficiale: lo si dovette sorreggere e portare dal suo caporale, che stava sul letto, /34/ con la testa fasciata dalla bocca in su. Appena sentì la voce del capitano, balzò in piedi:

«Come sta, signor capitano? anche lei ferito!»

«Ora sto meglio: ma e tu cos’hai!»

«Non ci vedo più: povera mamma mia! una pallottola mi ha portato via tutte due gli occhi; ma non importa.... Lei piuttosto deve star male.»

«Io non ho nulla in paragone di te....»

«Ah, non me lo dica: io non vedo, ma lei deve essere ferito gravemente, altrimenti non sarebbe venuto all’ospedale: la conosco bene.»

Tutu intorno piangevano: la tenerezza di questo soldato che dimentica la sua tremenda sventura per commiserare il proprio capitano, è un documento santissimo del devoto affetto che legò il cuore dei soldati a quello degli ufficiali, in tutte le circostanze.

Un tale amore ottiene sempre più ricchi frutti che non la fredda disciplina.

3) Il sentimento della giustizia.

La guerra, che ha ridotto spesso il combattente alla vita elementare dell’uomo /35/ primitivo, ha pure ridotto le convenzioni della nostra civiltà ai concetti primordiali. Gli arditi, come tutti i più spigliati combattenti, han trovato bello questo felice ritorno.

I nostri battaglioni vivevano normalmente a poca distanza dalla linea del fuoco, in luoghi ove l’amministrazione civile della giustizia era cessata. Gli arditi andarono orgogliosi di essere là i soli protettori, come i cavalieri antichi, di ogni buon diritto. sentimento veniva, nel testo: sentimento che veniva; corr. negli → Errata Questo sentimento veniva rinvigorito con caratteristiche lezioni dagli ufficiali stessi: un capitano ripeteva sovente alla sua compagnia: «Siate buoni ed educati con tutti; ma se vi toccano non tornate a casa con le ossa rotte per chiedere giustizia....».

Un giorno alcuni arditi, dopo d’aver pranzato in un’osteria di Treviso, si videro portare sopra un piatto un conto molto salato. Essi posarono sul piatto per saldo, una bella bomba; s’alzarono e finsero di andarsene, mentre padroni e serve, spaventati, li seguivano supplicandoli di riprendere quell’oggetto pericoloso.... e dicendo che erano pronti a rimettere tutto il debito. Gli arditi ritirarono la bomba e posero nel piatto un biglietto di dieci lire, /36/ che, a loro giudizio, pagava giustamente quanto avevano consumato.

Quando per la prima volta un battaglione giunse in un paese, osservò con dispiacere che i contadini e le ragazze.... fuggivano, piene di timore, gli arditi: non si riusciva a capire chi avesse insinuato in quei semplici tante prevenzioni contro di noi. Ma mentre gli si chiudevano le porte in faccia, l’ardito seppe passare per la finestra e, dalle confidenze di qualche prima amica, venne a sapere che una persona influente, poco prima del nostro arrivo, aveva dato l’allarme, avvisando tutto il paese che i nuovi ospiti erano dei mariuoli dai quali bisognava guardarsi. Figurarsi l’ira degli arditi contro il calunniatore! Non essendo riusciti a chiedergli spiegazioni a quattr’occhi, se la presero con le sue botti e le sue galline. Tale fu il terrore che ne ebbe il povero Don Abbondio, che quando il comandante del battaglione volle fare un sopraluogo per conoscere i danni e risarcirlo, rispose: «perdono tutto, non voglio niente: purché mi lascino in pace».

Ben diverso era l’animo della nostra truppa verso i poveri e verso tutti coloro che la trattavano bene. Una compagnia do- /37/ vette accantonarsi nel solaio di una grande cascina, nella quale era abbondanza di polli mentre una quantità di salami pendeva dal soffitto dell’ampia cucina, che gli arditi dovevano sempre attraversare. V’era di che aguzzare l’appetito a tutti, ma specialmente a giovani di vent’anni. Invece, la vecchia massaia nel congedarsi lacrimava, e mi diceva: «Che buoni figlioli! In tutto il tempo che sono stati in casa mia non mi è mancata la penna di una gallina né un salsicciotto!».

4) La religiosità.

Il cuore degli arditi non si ammolliva in un sentimentalismo religioso fatto di debolezza e di paura. Non erano avvezzi a trarre dal portafogli le immagini dei santi durante i bombardamenti, di quei santi che un fantaccino definì i chiù camorristi du paradisu, e contro i quali, scampato il pericolo, scagliava le sue bestemmie. Una bella maggioranza nutriva la vera religione dello spirito e del cuore, che è la sola forza colla quale il popolo affronta il sacrificio, e guarda con coscienza sicura e gioconda in faccia alla morte. Le verità soprannaturali, la morale serena, dalla religione insegnata, sono un freno alle in- /38/ temperanze di molti spiriti bollenti: per altri sono una leva potente.

Naturalmente la religione venne personificata nel suo ministro, il cappellano: il quale può asserire sinceramente che non trovò migliore accoglienza di quella che gli fece la lieta brigata degli arditi. Io ero a tutti legato dal caro vincolo della fraternità: per tutti rappresentavo, col desiderio ardente del loro bene, la carità che Gesù ha portato in terra. I buoni arditi ricorrevano al cappellano per le più svariate necessità: questo mi pregava di ottenergli la licenza; quell’altro di chiarire un equivoco col suo comandante; un terzo di procurargli notizie della famiglia; un ultimo di richiamare al dovere la sua sposa lontana, o di regolare i suoi rapporti civili, o di stendergli il testamento.... La riconoscenza di questi cari giovani mi commosse spesso fino alle lacrime. Nel vedere il cappellano facevano sempre un saluto sorridente, speciale, unico, che meravigliava chi lo vedeva per la prima volta, e che scendeva sino al fondo del mio cuore.

Il mio apostolato religioso aborriva da qualsiasi forma di costrizione: le anime debbono andare a Dio liberamente, per il solo bene. Mi son sempre sforzato di com- /39/ battere ogni violenza, compresa quella dello scherno dei compagni che impedisce il buon desiderio dei timidi. Non polemizzavo mai: indugiavo talvolta con qualche ufficiale in lunghe conversazioni religiose, ma erano nient’altro che conversazioni amichevoli, producenti luce e amore. Il cuore degli arditi non soffriva alcuna catena, né per il bene né, purtroppo, per il male.

Quanti ritrovarono, in questa dolce libertà, le dimenticate pratiche religiose, o per la prima volta richiesero i sacramenti!

L’ultimo giorno che accompagnai un reparto in linea, al termine di quella festa di bandiere, di canti, di letizia, prima di infilare la trincea gli arditi spontaneamente intonarono quell’inno religioso che incomincia ogni strofa cosi: Noi vogliam Dio..., e che io non avevo mai insegnato loro! Fu l’ultima canzone di quella sera, l’ultima di tutte le vigilie di azioni, e fu piena di fulgido auspicio che l’azione iniziò la grande sconfitta degli austriaci, e fu il punto di partenza per la vittoria finale.