Storici Minori

Rossetti Roberto

Vezzolano

Asti, Tipografia G. Brignolo

[s.i.d.]

Devo alla cortesia di Aldo Settia la conoscenza di questo curioso poemetto in diversi metri, di un autore non altrimenti noto, che metto qui, anche se non è propriamente un’opera di carattere storico, ma non saprei in quale altra categoria collocarlo.

In versi un po’ zoppicanti sono riunite due narrazioni di carattere piuttosto diverso, accomunate dalla presenza di due teste coronate: Carlo Magno, protagonista di una versione assai romanzata della sua leggendaria visita a Vezzolano, e la regina Margherita di Savoia. Si tratta in questo caso dell’episodio ricordato anche in un’iscrizione nel chiostro, oggi malamente ricoperta dalle firme di visitatori:

Margherita di Savoia
Regina madre d’Italia
Ermanno Marchisio nel volume Vezzolano e Albugnano, Appunti di storia e leggenda, Albugnano 1988, riporta erroneamente la data del 1902. addi XXXI ottobre MCMI
Umberto Principe di Piemonte
addi XIII ottobre MCMXXIII
visitarono questi nobili e sacri avanzi
dell’antica Badia Vezzolanese
che ebbe per XII anni
Eugenio Maurizio di loro lignaggio
abate commendatario

Il passaggio dell’augusta turista è ricordato anche per un guasto all'autovettura, che dovette essere recuperata dagli albugnanesi con l’ausilio di due cavalli; il contrattempo la costrinse ad una permanenza di due giorni all’albergo del Gelsomino, che allora si trovava in un punto del paese diverso da quello attuale.

L’insistenza con la quale si ricorda la recende vedovanza della regina per l’uccisione del re Umberto I (Monza, 29 luglio 1900) fa supporre che il poemetto sia stato composto in tempi abbastnza vicini alla visita.

Rossetti Copertina
/3/

I.

« Aleran! qual loco è quello

Che torreggia a noi di fronte,

Ricoperto d’un mantello

Scuro, d’alberi del monte,

Ch’alle valli entro s’insinua,

Poi, per coste ardue, risale,

A sconvolto mare eguale

Di sporgenti dorsi pien? »

Tal, il Re Carlo, cacciando

Su pei colli alti di Ohieri,

Curioso domandando

Vanne ad un de’ suoi scudieri:

« Sir, la selva, ampia, selvaggia,

Evvi là di Vezzolano,

Dove aggirasi sovrano

Più d’un lupo entro ’l suo sen. »

/4/

« Ben! domani, noi, la caccia

Volgerem da quella parte,

Di tue belve sulla traccia

Mostrerem qual sia nostr’arte:

Poscia a sera – e per telegrafo

Lo si annunzi a Cocconato –

Ai signor di Radicato,

Noi n’andremo ospiti lor.

Gli abbiam fatti Conti e loro

Demmo ricche possessioni,

Ricovrarne con decoro

Den, mercè li nostri doni:

Bello è ’l loco e noi terremovi

Per più di Corte bandita,

Che lor sia prova gradita

Del regal nostro favor »

Ed al novo dì nascente

Di Re Carlo la gran corte,

D’armi e vesti rilucente,

Gaia, dalle mura sorte

Fuor di Chieri, a Francia datasi,

In vago ordine disposta,

Affrettando ove la posta

Della caccia diede ’l Sir.

/5/

Della Tavola Rotonda

Sonvi i prodi Paladini ;

Paggi, vescovi ed un’onda

Di segugi e di mastini:

Ildegarde anch’essa inoltrasi,

La regal sposa novella,

Cavalcando altera e bella

Di baldanza piena e ardir.

Giti ne scendono, per Riva

E Moriondo a Castelnuovo,

Che Re Carlo a ognun bandiva

Come luogo di ritrovo:

Qui le mute si sguinzagliano,

Si sparpagliano i valletti

E i bracchier, mentre i trombetti

Della caccia ’l suono dan.

Da Ruggero e ’l Conte Orlando

Vigilato ’l Magno Carlo,

Va pel bosco galoppando

Ratto si, che seguitarlo

Da vicin quei due mal possono,

Tal che giunti a un stagno ’n riva,

Loro ’l Re di vista usciva,

Nè trovare più lo san.

/6/

Del solo monarca all’occhio indagante

D’un tratto presentasi dinnanzi una lupa,

Che strìscia guardinga tra l’erbe e le piante,

Guardandosi attorno, sospettosa e cupa,

Nè appena del Rege s’accorge, fa mostra

Celarsi e sfuggirlo, sì, ch’egli, eccitato,

Con essa ne viene del corso alla giostra

Lunghesso i sentieri del bosco intricato,

Finchè giunti entrambi, egli dopo, essa prima,

Per fossi e per forre, con furia crescente,

Giocando d’astuzia, fin sotto la cima,

Cui sopra Albugnano si rizza eminente,

La belva, per colpi non tocca, fermata

Del bosco a uno spazzo, là, dove compare

Campestre chiesuola, alla guardia fidata

Di santo eremita, entro terra dispare.

E in luogo di quella dal suolo uscir fuore

Tre scheltri ecco ’n riga, due donne ed un uomo,

Che sbatton dei denti con secco rumore,

Mostrando un sentire da morte non domo.

/7/

Con l’osso dell’indice bianco su ’n alto,

Levati sul radio ed il cubito toso,

Il loro aspetto orrido, tremendo un assalto

Di Re Carlo dona allo spirto sorpreso.

***

« Ahi! vista orribile,

Eppur mirabile »

Il Sire mormora,

Mentre ch’impennasi

Il corridor,

Il qual rovescialo

A terra subito,

Dove, epilettico

Insulto, traggelo

Dei sensi fuor.

Ei, là, contorcesi

Con occhi vitrei,

Versando livida

Spuma dai tumidi

Labbri su sè:

/8/

E ratto un monaco

Dal romitorio

Uscito, accostasi

Pietoso e curvasi

Sopra del Re.

***

« O pio romito, tu, che soccorresti,

Cortese, ad un ignoto, entro la tua

Cheta stanza recandolo, mi dici:

Che cercan da me i morti e quale annunzia

Funesta ira di ciel sopra ’l mio capo

La paurosa vision ch’io ti scopria,

Onde occupato ancor son tutto e pieno

Di profondo sgomento! »

« O Re – rispose,

A Carlo stupefatto, l’eremita,

Tenendo ascoso nel cappuccio ’l volto, –

O Re, se il pur tacesti, a me sei noto.

Giù nel profondo scendi della tua

Coscienza, ritorna col pensiero

Alle corse vicende e troverai

Che non manca cagion perchè i defunti

A visitarti tornino e a gridarti

/9/

In lor muto linguaggio: Carlo, espia!

Non ti rimembra ’l di, che Desiderio

Alle Chiuse, a Pavia dentro e Verona,

Da te vinto, in tua man cadder di nuovo

La cognata Gerberga, insiem coi figli,

Pipino ed Ada, e ch’esulò furtivo

A Bisanzio Adalgiso, d’un rifugio

E di soccorso in cerca presso il greco

Imperatore? Là, n’andaro anch’essi,

Chiamativi, Gerberga e i suoi due nati,

Al tuo poter sfuggiti un’altra volta.

E poscia che ’l regale ospite loro

Tiepido e incerto scorsero ed i giorni

E gli anni rinnovarsi inutilmente

Ognora pieni di lusinghe e ognora

D’ogni forte opra vacui, con Torino

In amistà si strinsero e i Signori

Del Monferrato, ch’a lor fean promessa

D’allearsi quel dì, quando tornati

Ne fossero in Italia, onde l’odiato

Scuoter tuo giogo e ricalcar sul capo

D’Adalgiso la ferrea corona

Da te usurpata al padre suo. Ripieni

Allor di brama ardente e di speranza

Essi in patria rediro e sopra ’lsuolo

/10/

Subalpino fer sosta. Ma scoperti

A tradimento qui d’esser temendo,

Ne partir di celato, onde recarsi

Presso la Corte Casalese, Avuta

Da loro in conto di più fida. Soli

Ed omai stanchi e sfiduciati, lungo

Poco corsi sentier, fra i boschi ascosi,

Qui capitaro alfin, dopo più giorni

Di difficil cammino e vi trovaro

Ricovero e ristoro presso il vecchio

E buon romito, che vegliò già prima

Di me su questa Chiesa. Ma qui, dove

Per una sola notte eran venuti,

Restarono poi sempre. Pria Gerberga

Cadde inferma e morì, poi Ada anch’essa,

Ada, tenero fior dalla tempesta

Sbattuto e d’Adalgiso al cor diletto,

Soccombeva, e Pipino ultimo dopo,

Implorando per te da Dio perdono

E me solo lasciando coll’antico

Di[s]creto ospite nostro, il qual persone

Di sua famiglia tutti c’avea detti

Coi pochi che passati eran per questa

Silvestre solitudine. Sepolte

Qui ne venner tue vittime, dinnanzi

/11/

Del sacrato e sovr’esso, insiemi congiunte,

Degli afflitti la pace e degli oppressi

Pregaro i due superstiti, siccome

D’invocarla ancor seguo in ciascun giorno.

Della visione il senso [h]ai tu palese

Adesso o Carlo e i tre spettrali scheltri

Sai che voglion da te? Sai tu qual carne

Quelle pulite ossa vestisser, sorte

Di sottoterra ad ammonirti e sai

Di cui esse serravan l’alme in vita?

Pentiti, Carlo, espia: lava le macchie

Che te bruttano e in un la tua corona,

Placa l’ira di Dio per l’innocente

Sangue da te versato: spetra il duro

Tirannico tuo cuore; in me ti specchia

E vedi a che l’Eterno le grandezze

Della polve riduca. A lui ti umilia,

Carlo, ed espia: mi guarda: il fratel sono

Della Franca regina, di Ermengarda

Ripudiata da te, sono Adalgiso. »

***

Intanto la caccia

Pel bosco dispersa,

Aggirasi in traccia,

Sgomenta, del Re.

/12/

Alfine conversa

Alzeremo pio

Il Sire scoprio,

Lo prese con sè:

Ma questi, Ildegarde

Che tutta s’allegra

E lieta in volto arde

Trovato ’l suo ben,

Rimira con egra

Gelata pupilla,

Che dentro le stilla

Ribrezzo del sen:

Poi, con di Vercelli

Il Vescovo chiuso:

« Che tu mi cancelli

Gran colpa, orsù vò! »

Il Re sclama e suso

Fa ’n Francia ritorno,

Nèò mai da quel giorno

Più l’Alpi ei varcò.

/13/

***

Mutossi allor la piccola Chiesuola

Nel Santuario, entro la conca eretto

Di Vezzolano, a quella che consola

Vergine sacro: di stile uno eletto.

Tal, poi, sulle ruine dell’antica,

Longobardica e Franca Signoria,

Pel ripentir dei figli e la fatica,

Libera ed una Italia al sol riuscia.

/13/

II.

Dopo che più di mille anni fur volti,

O Vezzolan, dal di che ’l sol splendette

Primieramente sopra l’abaziale

Tua stanza e ’l tempio, sull’eremo sorti

(Siccome vuol la tradizione antica),

Per il voler Carlo Magno, ahi! tardi!

Dal morso acuto, dei rimorsi preso,

Al Santuario ascendere fu vista

Un’altra testa coronata. Ed era

Della redenta Italia la prima

Regina, Margherita di Savoia,

D’alme, non di castella espugnatrice.

Salia con nere le gramaglie in core,

Mesto il soave dolce aspetto, o antico

E vedovo sacrario alla tua Sede,

Essa pur da un orrendo parricidio

Dell’Augusto suo sposo vedovata.

Per pianger, per pregare a te veniva,

Forse un voto per sciorre alla pietosa

Vergine fatto. Memore che Abbate

Tuo degno uno già fu degl’avi suoi,

/15/

Dentro remoti dì, quali mai moti,

Qual tumulto d’affetti e di pensieri,

Quali ricordi nel commosso spirto

Di lei destar le pompe che ’n te furo

Poste a confronto col presente! Il tuo

Sacro recinto alfin lasciato e all’alto

D’Albugnano pinnacolo risorta,

Ivi sostando, si mirò d’intorno,

Qual dall’estiva sua stanza montana,

Dei turriti d’un tempo atri manieri

E della fitta lata selva in loco,

Fertili campi, righe di vigneti,

Case sparse, ampie vie, viventi in moto,

E dapertutto pace con lavoro

E sicurezza: negl’intenti sguardi

Dei circostanti, devozione, affetto

Candidi lesse ed ammirati sensi

Verso la graziosa sua persona:

Oltre Tanaro e Po l’occhio indi teso

Sovr’Alpe ed Appennino e col pensiero

Abbracciato il bel suolo Italo tutto,

Questo al figliuolo proprio e d’Umberto

Affidato lo scorse onde lo regga

Con fraterno d’amor patto e nel core

Senti qualche sollievo. Si compiacque

/16/

Del sito ov’era e di sua gente buona,

Di lor serbando poi grato ricordo

Nel regio animo suo, che d’ogni bella

Dote s’adorna e nutresi di quante

Son più gentili e oneste costumanze,

Da cui, come dal fulmine crudele

Che la percosse, in alto è sollevata.