Massaja
Lettere

Vol. 3

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Al dottore militare Leonzio Lagarde
viaggiatore in Abissinia – Alessandria d’Egitto

F. 72r

* Alessandria 6. Aprile 1864.

Sono molti i piani stati proposti dai varii viaggiatori alle varie potenze d’Europa relativamente all’intervenzione in Abissinia, e nulla si è mai fatto finora perché detti piani sono sempre stati o troppo in grande da spaventare, o troppo esaggerati, oppure anche contradditorj ed insussistenti, e diffatti per lo più sempre contraddetti e screditati.

Il pretendere di prendere ed assoggettare l’Abissinia a forza di armi e con una spedizione regolare, ad una potenza europea non è cosa impossibile, perché avvi in realtà nessuna [f. 72v] proporzione tra una potenza europea, anche solo di secondo ordine e l’Abissinia; giammai questa potrà sostenere una battaglia con un’armata europea qualunque; ciononostante l’Abissinia, benché non in caso di potersi misurare per battersi tu a tu con un’armata europea, non lascia poi di avere il suo numero e la sua forza tal quale per opporsi fortemente ad un’invasione straniera qualunque; se essa non ha cannoni, ma solo cattivi fucili e pessimi fucilieri, ha però delle posizioni tali che la rendono superiore in casa sua come cinque sopra uno.

F. 73r Già si conosce universalmente da tutti che l’Abissinia è un vasto alto piano con tutto all’intorno dei precipizii tali, che appena si potrebbe trovare una strada praticabile per il trasporto di can-[n]oni e di provisioni da guerra; non solamente l’esterno del paese, ma il suo interno affatto senza strade, dimodoché in moltissimi luoghi la strada diventa difficile ai cavalli non solo, ma agli stessi muli ed asini, a fronte che queste bestie siano addestrate in modo straordinario. Oltre i scozzesi scoscendimenti scozzesi delle strade vi sono i fiumi che intersecano l’interno del paese con della rive impraticabili, e le aque [f. 73v] per lo più così rapide, che forse non permetterebbero all’armata la formazione dei ponti volanti per passare nella stagione delle pioggie. Aggiungasi di più che l’interno dell’Abissinia e seminata di montagne enacessibili, le quali sono come altrettanti fortezze naturali, nelle quali può ritirarsi il nemico per quindi fare delle imboscate; /77/ così parimenti... boschi senza fine e deserti sconosciuti che si prestano molto alla fuga degli indigeni per poscia prend[e]re all’improvviso. Ne ciò è ancora tutto l’abitudine antica divenuta quasi una seconda natura negli abissinesi, quella cioè di rivoltarsi sempre chi può e cercare di farsi in paese una sequela, e così un regno; [f. 74r] quindi un’altra abitudine non meno infausta, quella cioè di battersi quasi mai di fronte con una truppa o certamente superiore in forze, oppure considerata come tale da loro, ma di fuggir sempre e tendere continue imboscate; quella ancora ancorpiù terribile, cioè di fuggire sgombrando sempre gli intieri paesi con tutti i bestiami e loro cereali, dimodoché una truppa forestiera deve calcolare sempre di avere avanti di se continuamente un deserto, in modo da poter mai avere viveri o ajuti di sorta dal paese. Questa posizione mette nella necessità assoluta la truppa straniera invadente di conservare dietro di se sempre e ad ogni costo aperte la strade e comunicazioni, [f. 74v] e ciò frammezzo a tutti questi precipizii, boschi, ed imboscate.

Ciò detto, non per disanimare, ma semplicemente per far capire la vera posizione delle cose, volendo gettare le basi di un piano facile ad eseguirsi, prima di tutto io dico che per non esporsi ad una spesa forse al di là di quanto potrebbe venire compensata dai calcoli futuri di un paese da colonizzarsi, ed anche alla perdita notabile di soldati, comincio per dire che il mio parere sarebbe di mettere pienamente da una parte il piano di una guerra formale coll’Abissinia, ed attaccarsi solamente alla strategica che a mio giudizio potrebbe condurre a buon fine l’impresa senza tanta spesa e perdita di gente.

F. 75r Dicendo strategica voglio dire calcolo di tutti gli elementi, i quali possono facilitare ad ottenere il medesimo scopo per vie più simpatiche ed amicali senza tanto movimento di guerra, sbilancio economico della nazione, e risparmiando quasi appieno lo spargimento di sangue. Io riduco questi elementi a quattro semplici, dai quali dipende tutto il calcolo che penso proporre, cioè, al timore dei Turchi, all’odio del proprio governo, alla stanchezza del popolo nel sistema attuale, e finalmente alla scielta di un luogo come principio o centro di operazione.

L’Abissinia nasconde il timore che ha dei Turchi, o meglio degli Egiziani suoi vicini e confinanti, [f. 75v] ma il fatto si è che al menomo movimento dei medesimi un panico timore si impadronisce non solo della plebe, ma ancor più dei grandi; le notizie e le storie esaggerate che in simili circostanze si sentono in bocca di tutti ne sono la prova, una piccola comparsa fatta dalle truppe del Sennaar verso Matamma e Quara, se non erro in Gennajo 1862. mentre io mi trovava ancora in Ennerea, sono incredibili le storie che abbiamo sentito in quelle estremità dei paesi Galla medesimi; quindi sappiamo che l’Imperatore, senza azzardarsi di attaccargli non osò più di allontanarsi da Gondar, e si sa che si è raccomandato persino alle potenze d’Europa. Il suo [f. 76r] timore ha tre ragioni tutte fortissime: la prima è la superiorità di forze ben conosciuta in Abis- /78/ sinia, la seconda è la barbarie del governo turco, e la sua avidità di far schiavi massime fra i popoli neri; la terza poi è il sapere che cadendo in potere dei turchi dovranno fare un sacrifizio della religione dei loro Padri. Or bene questo elemento del timore turco è forse quello che ben maneggiato potrebbe far passare l’Abissinia nelle mani di una potenza europea senza verun spargimento di sangue, e quasi senza spesa, ed ecco come.

L’Egitto da qualche anno in qua è gravemente offeso dall’Abissinia, e non cerca altro che slanciarvisi sopra per vendicarsi; anche la Francia e l’Inghilterra [f. 76v] si trovano attualmente gravemente compromessi coll’imperatore Teodoro; ora io dico che il momento d’oggi sarebbe appunto il momento di fare un colpo di politica in Abissinia; se l’Egitto facesse una sortita contro l’Abissinia, l’Inghilterra starebbe senza dubbio non solo quieta, ma ne sarebbe ancora contenta, e tale pure dovrebbe dimostrarsi la Francia gravemente anche offesa ultimamente nella persona del Console di Massawah M.r Lejean; questa dovrebbe anzi spingere l’Egitto alla guerra; nel momento che l’Abissinia si troverebbe nel colmo del suo timore, una spedizione di mille soldati circa che si introducessero nelle vicinanze col titolo di osservare gli andamenti dei Turchi e di difendere l’Abissinia dall’invasione mussulmana, son d’avviso che tanto basterebbe [f. 77r] per guadagnarsi la piena fiducia e così potersi introdurre pacificamente in qualche posizione, e mentre che si occuperebbe officiosamente per la pace coll’Egitto potrebbe con bella grazia anche fortificarsi tanto che basti per conservare la sua posizione, l’unico passo a cui deve aspirare una potenza europea per impadronirsi dell’Abissinia strategicamente, come vedremo più appresso.

Abbiamo detto che il secondo elemento è l’odio che ha tutto il paese contro il governo dell’imperatore attuale, perché questo odio ben maneggiato sia coll’imperatore, e sia ancora coi grandi potrebbe aprire la strada [f. 77v] all’iniziativa che deve prendere la potenza europea nella politica del paese. Ciò che presentemente mantiene in vita l’attuale schelletro d’impero abissinese sono due timori, uno dell’imperatore, il quale al menomo segnale di congiura o di rivolta, senza il menomo riguardo di procedura o di giudizio prende, taglia, ammazza; l’altro è la diffidenza dei grandi impiegati, ed anche dei subalterni fra di loro, i quali per semplice timore del tradimento non osano entrare in conferenze fra di loro di sollevazione e di rivolta; fuori di questo non esiste uno che per principio, oppure per amore possa dirsi conservatore del sistema attuale; [f. 78r] è inutile che io mi estenda di più a provare questo, basti il dire che l’imperatore attuale ha contratto il debito o macchia del sangue con tutte le aristocrazie più rispettabili della nazione, cosa molto grave in quei paesi, e debito che mai più si estingue se non colla morte. Meno male ancora, se l’imperatore dopo tutti questi massacri avesse piantato un regno con governo regolare con saggie leggi e migliori procedure da assicurarne le persone, le proprietà, e l’ordine publico, ma niente di tutto questo il pigliaggio ed il brigantaggio peggio di prima /79/ il quale ha ridotto il paese all’estrema povertà, ed un dispotismo così terribile, che gli stessi suoi [f. 78v] più fidi, non si fidano più di lui, perché non sono sicuri della sua amicizia e della loro vita per l’indomani, ben conoscendo che una relazione qualunque basta per troncare irrimediabilmente il filo di tutte le loro fortune, e passarsene dall’apogeo del favore imperiale al più orrido carcere ed al più terribile supplizio.

Io penso perciò che qualora una potenza entrasse a prender posizione in qualche luogo di frontiera con qualche titolo colorato di spiare le marcie della truppa egiziana, in modo da guadagnarsi un poco di fiducia presso l’attuale governo, per poco che il medesimo sapesse maneggiarsi e lavorare, non [f. 79r] passerebbe un’anno che la più parte dei grandi si getterebbero ai piedi, fortunati di aver trovato un’appoggio ed un punto di rifugio. Io mi riservo di dare note a parte e sotto vincoli di maggiore segretezza sulla maniera particolare con cui dovrebbe regolarsi una simile spedizione, e sulle persone in particolare che potrebbero servire al uopo, ora basti sapere che io nel dire questo parto da calcoli quasi evidenti.

Il terzo elemento è la stanchezza del paese e del popolo caduto nel più profondo del precipizio e tende le mani aspettando che si presenti all’orlo del medesimo un [f. 79v] benefattore a sporgergli la mano; chi non conosce l’Abissinia in questi ultimi tempi non può avere una giusta idea di ciò, basti il dire che circa la metà dei paesi cristiani trovansi perfettamente deserti, prese non solo le granaglie ed i bestiami, ma persino gli uomini, le donne, i ragazzi condotti la più parte schiavi dei soldati, ed una parte notabile emigrata in paese straniero.

Il resto dell’Abissinia che si suppone risparmiato finora dal pigliaggio, paga tributi di danari senza nessuna tazza fissa, tributi di vacche, e tributi di granaglie senza regola e misura, e dopo tutto questo il povero paesano è mangiato vivo [f. 80r] in casa sua da una turba di soldati o girovaghi sedicenti soldati, i quali fanno ai paesani delle violenze incredibili, e non risparmiano neanche le povere loro mogli; la cosa è così grave che ultimamente nel mio passaggio ho veduto alcuni paesi così abbattuti che avevano lasciato persino di seminare il grano, ed in alcuni luoghi ho sentito io stesso ad invocare il governo dei turchi, a fronte che sappiano certo che la finitiva sarebbe di essere tutti schiavi, obbligati ad essere mussulmani, ed essere sotto un governo ancor più snaturato.

Ciò posto, lascio considerare, se riuscisse ad una potenza europea di trovare un titolo colorato per introdursi in qualche [f. 80v] luogo di frontiera, non troppo vicino per non adombrare il governo attuale, tanto che basti per avere un’anno di tempo per fortificarsi un tantino ed accapparrarsi i popoli di dietro e dei contorni, e far conoscere al popolo anzi fargli gustare i sentimenti di umanità e di giustizia dai quali e guidato, cosa non ne avverrebbe; tanto più se alla testa vi fosse una persona di carattere dolce nel tempo stesso e saggia, ed anche astuta che sappia manipolare in bombonì secondo il gusto del paese... intelligenti pauca... io credo fermamente che /80/ senza nessuna guerra affatto entrerebbe in pieno possesso del paese, ed entrerebbe tanto più presto, quanto più [f. 81r] la spedizione saprebbe nascondere il fine e lo scopo di prendere il paese, fingendo solo di voler rassodare e regolarizzare il governo per sollevare il popolo dall’estremo della miseria in cui è caduto, e diffendere il commercio da tanti anni affatto interrotto. La maniera di condurre le conferenze coll’imperatore, coi grandi, e cogli oracoli del popolo onde stabilire un sentimento universale di fiducia, ciò si suppone da scriversi in note particolari; passiamo ora al quarto elemento, o punto di vista da esaminarsi.

Senza dubbio una delle cose più importanti è la scielta del luogo da prendersi, il quale non sia troppo lontano da togliere ogni influenza o relazione politica, e neanche [f. 81v] troppo vicino per non ingerire sospetto e non svegliare alle volte un bisogno di agire ostilmente prima che il paese abbia guadagnato una certa fiducia ed incomminciato qualche conferenza interessante colla spedizione. Se non si trattasse di passare sopra le proprietà dell’Egitto, la scielta del luogo sarebbe già belle fatta, perché senza nessun dubbio il luogo migliore sarebbe il littorale del Dembea Dämbəya altro nome del lago Tana lago di Dembea dalla parte sud-ovest, come luogo molto segregato dal centro, ma che nel tempo stesso con delle barche in poche ore potrebbe portarsi sopra la capitale stessa di Gondar; luogo d’altronde il più centrale, il più ricco di pascoli di grani, di bestiami, [f. 82r] di pesci, di legna; luogo che può tirare a se tutto il commercio del sud, e che avrebbe delle isole per farsi delle fortezze, luogo insomma il più delizioso, e che con ragione potrebbe dirsi vero paradiso terrestre, quando fosse restato due o tre anni nelle mani degli europei; siccome però per approssimare detto luogo bisogna di necessità passare per la via d’Egitto e del Sennaar di cui non conosco abbastanza la politica quale sia relativamente al passaggio delle truppe, debbo segnare ancora un’altro luogo dalla parte del golfo arabico, dove qualunque nazione può recarvisi per mare senza toccare paesi appartenenti ad altri governi. La Francia avendo gettato qualche sguardo [f. 82v] in Obbok vicino a Babel Mandel, forse troverebbe più commodo introdursi all’interno da quella parte, ma facio riflettere che quel punto di littorale è molto lontano dai confini dell’impero Abissinese, vi sono strade molto cattive per recarvisi, ed arrivato, il luogo non si presterebbe molto per l’influenza sopra l’Abissinia, essendo il regno dello Choa troppo al sud isolato dall’Abissinia; Anche Massawah sarebbe per una parte possessione Turca; e per l’altra troppo al nord e con cattivissime strade per penetrare nell’interno. Secondo il mio calcolo, il luogo più bello, più vicino, ed il più libero sarebbe Ett a due giornate circa sopra Babel Mandel nel golfo arabico; [f. 83r] scegliendo un punto del litorale sulle dipendenze di Ett presenta i seguenti vantaggi. 1. Vicinanza di cinque giorni circa per recarsi alla capitale dell’Enderta sull’alto piano dell’Abissinia. 2. Strada piana la migliore di tutte, prova di ciò Antalo e le sue vicinanze è l’unico punto di tutta l’Abissinia, dove i cameli arrivano sino all’alto piano. 3. Il commodo dei cameli per il trasporto delle munizioni da guerra. 4. Luogo vicino /81/ alle miniere del sale, di cui può impadronirsene dopo poco tempo, un genere che prende per la gola tutta l’Abissinia ed i paesi Galla. 5. Paese molto centrale che ha eguale distanza Gondar, Adoa e direi quasi anche lo Choa. 6. Paese forte, e molto [f. 83v] ricco di grani; forte, perché separato dal centro dal fiume Takazzè, e forte anche perché il carattere del popolo si presta molto. 7. Paese che è strada dei mercanti, massime dopo che si sono chiuse ai medesimi le strade di Gondar, e di Matamma.

Vi sono poi molti altri particolari che potrebbero interessare la spedizione, ma come cose positive che hanno bisogno di un secreto molto più delicato, mi riservo a darle quando sarà il caso di una tal quale probabilità, e che sarò pregato più particolarmente; il presente non è che un piano, o abozzo di esso.

Fr: G. Massaja V.o
V.o Ap.o dei Galla