Massaja
Lettere

Vol. 4

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Al cavaliere Antonio Thomson d’Abbadie
esploratore dell’Etiopia – Parigi

F. 217rIll.mo Signor Antoine d’Abbadie

Escia-Eloj 13. Febbrajo 1879.

Ho ricevuto la Sua carissima dell’anno scorso contenente tutti i documenti sulla causa di M.r Arnous; mi sono pervenuti coll’arrivo di M.r Bremont Negoziante di Marsilia appartenente alla casa Cremieur.

Non Le rispondo categoricamente, perchè la Sua lettera coi documenti suddetti si trovano oggi a Finfinnì presso Monsignore Coadjutore, e la partenza della Caravana è imminente, epperciò le stesse lettere di Monsignore suddetto non arriveranno a tempo. Così vanno le cose di questi paesi, e V. S. che a fondo gli conosce non deve poi lagnarsi se qualche volta si trova privo di risposta da noi; tanto più poi che sono rari i casi di partenza sicura; saranno due mesi che il Re spedì un corriere alla costa pel Capitano Martini, il quale portava molte lettere nostre, anche per Lei, [f. 217v] oggi sappiamo certo che dette lettere non sono arrivate, perchè il corrire è stato trovato dagli ultimi europei venuti fermo in strada, con nessuna idea di andarvi; le lettere dove siano andate non si sa. Preghi il Signore affinchè ci mandi fin qui la posta europea ed il telegrafo, perchè allora Le prometto di saziarLa, benché vecchio e ben presto in via dell’eternità, dove non vi sarà più che la posta angelica lontana da tutte le debolezze umane.

Tutti i documenti portati in Europa dal suddetto viaggiatore a nome del Re Menilik, e col sigillo del medesimo, che Ella ben conosce, perchè fatto in Francia sotto la di Lei direzione, sono tutti autentici, fatti in mia presenza. Io però non conosco le lettere posteriori mandate o scritte a nome del Re Menilik; Ella conosce abbastanza l’inezzatezza dei scrivani in questi poveri paesi, e la poca buona fede in proposito. La sola cosa che possa assicurarla è, che quando il Re ha sentito ciò che è avvenuto alla costa, dimostrò a me [f. 218r] gran dispiacere [a me], e la lettera che il Re scrisse posteriormente al suddetto coi regali al medesimo, ne fanno abbastanza testimonianza. Ecco tutto ciò che posso dirLe in proposito, senza entrare in certi detagli che non sono di mia competenza, e troppo delicati per chi si trova qui legato ad una missione che non vorrebbe compromettere con asserzioni difficili a provarsi.

Dall’ultima mia che Le ho scritto col Capitano Martini, sono arrivati molti fatti importantissimi nella storia del paese; se io volessi tenerLa al corrente di tutto per compire la mia parte d’istoriografo del paese, oggi non mi basterebbe un libro, ma ho pregato un certo M.r Leone Piquignol parigino, il quale, venuto col Signor Arnous, ci ritorna oggi in Francia, probabilmente portatore di questa mia lettera, la metterà anche per scritto con maggiore libertà e molta capacità, la storia genuina di tutto, e potrà darLe tutte le /346/ notizie che Ella desidera sulla politica [f. 218v] di tutta questa epoca, molto complicata, ed anche abbastanza delicata, per poter essere esatto prudentemente; in questi paesi la libertà di stampa non è conosciuta, e quella di scrivere è delicatissima. La povera Abissinia non è ancora abbastanza cristiana per essere libera; al l’opposto la nostra Europa, civilizzata da un cristianesimo potente, corre la via di ritorno verso la barbarie abissinese, cioè l’antica nostra prima del Cristo liberatore. Ella accolga con piacere questo giovane Piquignol, il quale, da quanto mi pare, scandalizzato in Europa, ora edificato ritorna con buoni principii; lo raccomandi a Madama d’Abbadie, affinchè gli facia da madre.

Congedato così nella mia incombenza di storico, passo a darLe notizie della morte del fu mio Coadiutore Monsignore Felicissimo Coccino, morto in Kafa sul fine di Febbrajo dell’anno prossimo passato, qualche settimana dopo la morte del nostro compianto Papa Pio IX. che l’aveva fatto Vescovo di Marocco e mio Coadjutore. Questo ottimo Prelato nativo di Cortemilia diocesi d’Alba in Piemonte, stato mio allievo, [f. 219r] partì con me in Maggio del 1846. e fu sempre assiduo nel ministero esercitato in Gudrù, in Lagamara, ed in Ennerea, dove fu consacrato Vescovo di Marocco da me in Saka nel giorno di S. Croce di Maggio 1859. Restò sempre alla custodia di quelle missioni Galla nei paesi da Lei conosciuti sino al 1876, quando per la morte del fu Abba Ajlù avvenuta in Kafa, persona che Ella ha conosciuto molto in Abissinia, e divenuto nostro Sacerdote zelantissimo colà, Monsignore Coccino ha dovuto rendersi in Kafa per consolare quella cristianità desolata per la morte del suo vero apostolo. Colà il zelante Prelato nel suo secondo anno di apostolato, ritornando dalla Chiesa di Buha Ghiorghis, che Ella deve conoscere, sorpreso da una gran pioggia, e caduto il mulo, sia il colpo dell’avanti della sella allo stommaco, sia colpito da una febbre catarrale, le relazioni degli indigeni non hanno potuto ben schiarirmi, il fatto si è, che rientrato alla nostra casa di Sciap Gabriele si ammallò, e dopo sei giorni volò alla ricompenza [f. 219v] delle sue fatiche nel 32. anno del suo apostolato in questi paesi, e sepolto accanto dell’Abba Hajlù in parte suo discepolo. Per tacere di molti altri meriti di questo venerando Prelato, quello di aver passato 32. anni in questi paesi senza avere esternato il menomo desiderio di rivedre la sua Patria, vale per tutti, e V. S. che conosce le difficoltà di ogni genere, e la miseria della vita materiale in questi paesi, Ella solo può valutare il merito del nostro defunto, il quale in tutte le sue vicende contava anche due mesi di catene in Tigre, in compagnia di Abba Ajlù nel 1850. per ordine di Abba Salama. Di quattro missionarii che vennero con me nel primo impianto della missione, io il quinto solo sono ancora in vita. Kafa conta due Sacerdoti morti ed un Vescovo, che fa il terzo.

Per non privarLa affatto dei ragguagli del paese, che concernono la nostra missione Le dirò che nel mese di Novembre passato una spedizione di Menilik arrivò all’improvviso sopra Nunnu-Gemma e Lagamara, paesi che Ella ha conosciuto, mentre colà regnava una /347/ malattia epidemica, e che tutto il mondo si trovava in letto, fece un massacro orribile; [f. 220r] la nostra casa di Lagamara che conta più di 25. anni di fatiche e di spese, è stata affatto distrutta, molti cristiani morti, anche alcuni di nostra casa, mentre tutti gli altri arresi; e mi sono arrivati qui tutti nudi. Appena ho potuto riavere gli oggetti di Chiesa. Tutti quei paesi sono travagliati da timore panico; lo stesso Gemma Abba Gifara non tarderà molto ad essere vittima. La villa reale di Abba Baghibo in Sàka è deserta, presa dagli Agalò e dai Galla di Nonno Bilò. Abba Gommol figlio di Abba Baghibo è un’uomo nullo, la più parte del suo regno è passato nelle mani dei nemici. Al Sud-ovest di Lèca vicino a Lagamara, si è fatto un regno conosciuto sotto il nome di Baccarà, il quale passa il Wallagà e domina sino ai limiti dei Sciangalla; è quello che chiude le porte ai viaggiatori che vengono dal Fasuglu e da Fadassi, che io ho veduto nel 1850., di cui è questione in certi giornali Italiani rapporto al viaggio di Mateucci e Gessi. Lo stesso paese di Leca è divenuto regno; ecco le novità che vi sono da quelle parti.

F. 220v Tutti questi paesi stati assaliti da certe malattie incognite nel paese, le quali hanno fatto gran vittime in tutta l’Abissinia, oltre il vajvuolo, il quale si è reso stazionario, e che fa grandi vittime, perchè la vaccina non è conosciuta; in luogo della vaccina io ho introdotto l’innoculazione, già conosciuta in alcuni luoghi, e mal praticata, motivo per cui non prendeva; dal mese di Settembre a questa parte io sono [!] ne ho inoculato circa 6. mille, dei quali appena conto 6. casi di morti, e forze 15. che non hanno preso. L’innoculazione ha molti numeri sopra la vaccina; quest’ultima minacia dopo molto tempo, mentre gli innoculati da me prima di 25. anni, nessun caso di ricaduta; presentemente l’innoculazione è come introdotta in tutti questi paesi, e la generazione ventura ne sentirà il beneficio; voglia Iddio che con questa anche la vera fede si consolidi.

Si parla qui molto fra gli europej di una Società internazionale belga per la civilizzazione dell’Africa; la S. C. di Propaganda avendomela raccomandata ho scritto al Prefetto della medesima Propaganda alcune osservazioni [f. 221r] da communicarsi alla Società anzidetta. Avrei scritto di più se sapessi che questi Signori sono disposti a sentirmi, ma come da quanto si dice, la più parte dei membri, essendo Protestanti deisti, non credo che mi sentiranno volentieri. Io bramerei che V. S. si mettesse in relazione colla medesima, perchè nessuno più di Lei potrebbe guidarla rapporto a tutti questi paesi dell’Affrica orientale. Altrimenti temo che faranno spese inutili e fatigheranno la buona volontà dei contribuenti, con pericolo di rovina. Questi movimenti europei ben guidati potrebbero fare del gran bene, e mal guidati saranno il sepolcro di tutte queste belle iniziative d’Europa. Io sono vecchio, e non vedrò più il fine di tutte queste ossilazioni sociali nel fondo cristiane, ma pagane nel loro materiale, perchè nella società europea esiste ancora un fondo cristiano nel sentire il bisogno d’istruire i selvaggi, frutto del Vangelo nel suo principio, ma poi, come la più parte dei concorrenti sono [f. 221v] pagani deisti non possono persuadersi che tutti i /348/ loro elementi sono insufficienti ad una tale operazione, e se il deismo avesse incommincianto cogli apostoli la nostra Europa sarebbe ancora barbara come lo era prima di Cristo. Questi Signori credono di mandare uomini civili, perchè educati in Europa, dove il fondo è ancora cristiano per tenere in freno le passioni, e non s’accorgono, che appena sortiti di là diventano più corrotti degli stessi barbari, e non fanno altro che aggiungere calcolo, mezzi, e passioni materiali alla loro barbarie per rendergli più indomabili. Se la civilizzazione dell’Africa vuol dire moralizzare l’Africa, la questione è tal quale la dico; se poi la civilizzazione dell’Africa intesa da questi Signori è una semplice introduzione delle arti, mestieri, e industria, allora la sola forza e bastone è l’unico mezzo efficace; qualunque governo con mediocre forza potrà ottenere tutto questo con una disciplina di ferro. Un popolo senza Dio sarà mai morale, e come [f. 222r] tale sarà sempre un paese, dove il forte mangia il debole sino alla condizione dello schiavaggio, come arriva qui, dove l’abissino è felice quando può mangiare il pane senza far nulla a spese altruj, senza misericordia per il povero quando ha trovato la forza per opprimerlo, e come arriverà nei nostri paesi quando Cristo ci avrà abbandonati, e canteranno l’ultimo alleluja i nostri Socialisti.

I grandi stabilimenti che suppongono capitali potranno mai aver luogo nell’interno per mancanza di sicurezza; il governo e le truppe che vivono di rappresaglie, e la guerra di distruzione continua in tutti questi paesi non gli lascierà, gli stessi viaggiatori ricchi, con molti mezzi non possono aver luogo, perchè la cupidigia dell’indigeno potente è il suo diritto. I stabilimenti grandiosi possono aver luogo sulle coste sotto la vigilanza dei governi europej e diritto delle genti, e di là poveri missionarii o viaggiatori coraggiosi ristretti e poveri potranno venire a fare del bene. V. S. conosce l’Abissinia e sa quanto la propaganda mussulmana dei contorni ha fatto del male in tutti questi paesi, e come è arrivata a dominare la ristretta [f. 222v] politica del paese, dimodoché i poveri europei, qualche volta sono vittima della medesima; ebbene ha ottenuto questo coll’elemento del commercio e col veicolo di piccoli mercantelli che entrano in tutte le case e con piccoli regali esauriscono la liberalità dei ricchi indigeni. Talmente è radicata questa propaganda, che anche dopo le guerre ultime dell’Egitto nel Tigre non ha perduta la sua forza e prestigio; i massacri e le vessazioni, che ancora oggi abbiamo da Zejla all’interno sono le tele ordite dalla medesima, la quale domina sulla costa sotto gli occhj degli europei stessi. Questa è la ragione unica per cui io dopo 30. e più anni di desiderio di chiamare le Suore, i Fratelli della dottrina cristiana, ed i trappisti, morirò con questo desiderio, perchè il paese, anche cristiano d’Abissinia, non è abbastanza morale per sostenere simili operazioni, e mi veggo obligato ancora a tenermi in tutta la povertà, e semplicità suddetta. Se io fin qui ho potuto aprirmi le strade sino a Kafa, e sino alle frontiere dei Galla ovest verso il Sennar, è andando come povero, presentandomi qualche volta ad un ricco con un annello d’argento di mezzo franco; se oggi non fossi vecchio e mancante di /349/ forze fisiche, [f. 223r] con questo sistema povero, e colla pazienza mi sentirei di bravare la traversata dell’Africa in tutti i sensi, cosa tanto apprezzata dalla nostra Europa, e senza spogliarmi affatto del necessario per dire una Messa, e così pascolarmi del cibo dei forti, ben inteso nel semplice stile apostolico, e senza accessorii di lusso, arredi sempre più voluminosi degli istromenti necessarii ad un viaggiatore per misurare le altezze, le distanze, e le direzioni.

Ecco, caro Signor Antoine, le idee che Ella dovrebbe far conoscere a cotesti Signori dell’internazionale belga; la stima, ed il rispetto che Ella attualmente possiede in Europa, come veterano viaggiatore dell’Africa orientale faranno che le Sue parole saranno ricevute, laddove io colla prevenzione contraria in qualcheduno dei membri di diversa credenza e di diverso calcolo, potrebbe essere un’ostacolo alla verità da me annunziata. Avrei scritto di più, ma io discepolo di d’Abbadie, non oso gettare il mio grano sulla montagna della Sua esperienza che tutto ha veduto; ella supplirà certamente alla povertà delle mie idee aggiungendo ciò che crederà di aggiungere, [f. 223v] e togliendo ciò che crederà di scandolo alla società anzidetta. Il nostro Leoncino Piquignol poi, il quale non mancherà di arrivare sino a Lei, non mancherà di metterLa al corrente di tutto il positivo storico di questo paese da quattro anni a questa parte per riempire la lacuna da me lasciata per motivi che egli stesso dirà. Il paese di Scioha attualmente è abbastanza frequentato da individui di curti calcoli per riferire a certe persone alcune cose poco favorevoli che dovrei, ma che non posso dire per prudenza, essendo un missionario con molti affari che potrebbero essere compromessi fra questa gente sospettosa e paurosa.

Io sento di giorno in giorno le mie forze a declinare, non so perciò se questa non sarà l’ultima mia; nel momento stesso in cui scrivo non mi sento bene in salute, ed i miei giovani stanno scavando una rocca perpendicolare per preparare il luogo del mio sepolcro. Nel caso di essere chiamato dal mio padrone altrove porterò con me l’amore e la riconoscenza che tengo per V. [f. 224r] S. e per Madama d’Abbadie, riconoscenza che oggi frammezzo a tutte le debolezze e le pazzie del mondo non può essere abbastanza pura per volare sino a Parigi, qui le macchine areostatiche ed i vapori stessi non ci arrivano ancora, laddove la linea retta che conduce da Parigi sino a Dio, e di là a Parigi è molto breve. Quando sentirà la mia morte, Ella canti pure alleluja, perchè sarò sortito da tutte queste strade tortuose che stancano senza arrivarvi, allora sarò accanto di Lei e di Madame, sopratutto nel momento che sentiranno la S. Messa per me nella Chiesa delle Missioni Straniere. Per oggi tutto è in votis, mercanzia poco conosciuta nel mondo, accostumato a pagare in contanti materiali; Ella però è abbastanza superiore a[l] tutto questo basso mondo per comprendermi, e guidato da questa speranza imprimo un bacio a tutti due, della specie che cammina più veloce che non il telegrafo eletrico, e senza ceremonie mi raffermo Loro

Divot.mo Servo in X.to
Fr: G. Massaja V.o