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14.
A Massaua: P. Gabriele da Rivalta
e la sistemazione della procura galla.

mio viaggio fino ad Arkeko Nel miei viaggi precedenti dai piedi della [montagna] Taranta sino ad Arkeko (1a) [non] ho mai messo più di tre giorni; ma quella volta sono arrivato ad Arkeko in sette giorni. Due o tre giorni prima del mio arrivo un Soho mi aveva preceduto, ed aveva parlato in Arkeko al comandante della fortezza del mio arrivo, e dopo è andato ad Umkullu a portare [21.1.1861] l’annunzio al Padre Gabriele da Rivalta mio Procuratore di Massawah, il quale [p. 760] mi venne all’incontro nel piano di Arkeko a sei o sette kilometri lontano. In quella valle di Arkeko vi era un calore soffocante, con un sole che battendo i suoi raggi sulle sabbie rifletteva nel volto un’ardore che abruciava, appena poteva io reggermi in piedi. incontro col padre Gabriele;
l’acqua di Cologne
Il P. Gabriele era vestito da secolare con una zimarra alla copta, e con un parasole. L’ho creduto un secolare di Arkeko; io poi era vestito come può essere vestito un’europeo venuto dall’interno dopo quindeci o venti anni di allontanamento, e sette o otto mesi di viaggio senza neanche potere cangiare i stracj che veste, e naturalmente pieno d’insetti. Il povero P. Gabriele nell’avvicinarsi credette [di] farmi una cortesia versandomi sulla testa e sopra le vesti una fiala di aqua di cologne, presi dalla sua mano quella fialetta, mentre i nostri mi dicevano in quel momento[:] è il P. Gabriele — oh come, dissi io, con questa bella aqua benedetta mi ricevete? e così dicendo ho gettato via la fialetta lontano, e poi ci siamo abbraciati.

Caro mio, altro che aqua di Cologne, [osservai io,] la mia colombina sta per prendere il volo e andarsene, perché la casa sta per cadere: Allora egli capì, [p. 761] [e] chiamato il suo ragazzo arabo, aprì un piccolo paniere, nel quale si trovava una bottiglia dopo 14. anni una bottiglia di vino generoso, del zuccaro, ed, alcuni biscottini, mi preparo un bicchiere di vino zucchera- /124/ to, nel quale ho bagnato i miei biscottini, cose mai più gustate da molti anni, ah questa, è vera cologne, dissi, la quale arriva sino al cuore ed all’anima! Io era sfinito dal viaggio, dal calore, e dalla malatia; senza di quello forze non avrei potuto arrivare sino ad Arkeko, con quello abbiamo potuto poco per volta arrivare sino alla fortezza, dove si respirava l’aria della sera venuta dal mare, la quale è sempre freschetta, benché la baja di Arkeko, essendo piuttosto avvanzata fra i due capi, non godesse tutta la corrente, che in quel mese spirava dal Sud, impedita dal Capo di Zula o Adulis.

ricevimento nella fortezza. Al nostro arrivo, il Comandante, e tutti i suoi uffiziali, ci ricevettero molto cortesemente, e fecero sul momento portare un buon [caffè] arabo, o turco che si voglia dire, il quale in verità è il migliore caffè che si possa gustare, come caffè, non come semplice bevanda come in Europa; si beve in piccole chiccare, e senza zuccaro, cosa che contribuisce molto per sentire tutto il gusto del Caffè, perché il zuccaro lo indebolisce e gli fa perdere tutto il suo [p. 762] delizioso amaricante aromatico. caffè e cena all’araba Il miglior caffè l’ho preso in Kafa nei mesi della raccolta; in casa della missione si faceva senza economia, e si prendeva senza zuccaro, ed era buono; fuori di questo, ho trovato sempre il caffè fatto dagli arabi il migliore di tutti i nostri caffè. Nei nostri paesi di speculazione e di arte, si prende una buona bibita, ma non è vero caffè. In seguito ci diedero là anche una cena araba tutta particolare, sia nel pane, sia nelle pietanze, e sia nel ceremoniale mezzo abissino, come tutti sanno. I soldati arabi o turchi sono incapaci di una conversazione seria, sia in genere scientifico, sia anche politico, ma parlano volontieri di cose triviali, e poco interessanti, massime per un prete. Noi poi eravamo stanchi dal viaggio, epperciò abbiamo dormito a cielo aperto, come per lo più si usa in quei paesi.

ci concede una barca del governo L’indomani il Comandante fù molto cortese ed ordinò che fossimo trasportati sopra una barchetta del governo direttamente a Massawah per non obligarci a fare tutto il giro Nord per raggiungere il porto, cosa che ci avrebbe costato due ore di viaggio a piedi. partenza da Arkeko La fortezza e tutta vicina alla spiaggia sulla punta della baja a pochi [p. 763] mettri dal mare. Quando la marea è alta, allora, sortiti dalla fortezza a pochi mettri si può montare la barca, perché allora vi sono sempre due mettri di aqua alla riva; ma quando la marea è bassa, allora vi rimane appena uno o due palmi di aqua, e per montare in barca bisogna camminare nell’aqua a mezza gamba quasi mezzo kilometro per raggiungere la barca. arrivo a Massawah
[4.11.1863]
Il Comandante ordinò ai suoi soldati di portarmi sino alla lancia a barca; così sono arrivato senza bagnarmi. Qualunque altra barca privata avreb- /125/ be dovuto fare il giro al nord per sbarcare nel porto, ma come era la barca del governo colla bandiera della mezza luna, quella stessa che trasportava i soldati, siamo andati direttamente all’isola di Massawah con 20. minuti circa. Solamente, arrivato là la marea essendo bassa, i soldati han dovuto portarmi [per] una bella distanza per arrivare all’isola.

Noi siamo arrivati dalla parte Ovest dell’isola, e la casa della missione lazzarista si trova alla parte opposta all’Est dell’isola; abbiamo perciò dovuto attraversare tutta la città di Massawah per raggiungere [p. 764] la casa della missione lazzarista, alla quale tutta la convenienza voleva di consegnarmi prima di andare ad Umkullu, dove esisteva la casa della Procura nostra in terra ferma. accoglienza ed atti ufficiosi Benché i Signori della missione sapessero il mio prossimo arrivo, pure, non sapendo il giorno fisso, fù per loro una vera improvisata, e tanto più cara, in quanto che ho voluto prima vedergli avanti di entrare in casa nostra. Io credeva di trovare Monsignore Biancheri Vicario Apostolico, ma quel prelato [nov. 1861] era andato in Europa già da due anni, e mi fecero vedere una sua lettera, nella quale il Prelato diceva che sarebbe arrivato prima della metà di Novembre, e lo stavano aspettando a giorni. Era perciò superiore provisorio il Signor Delmonte nostro [connazionale] genovese.

Appena arrivato, dopo una mezz’ora il P. Gabriele partì per Umkullu per disporre le cose di casa nostra, intesi di ritornare l’indomani a prendermi, o di mattina, o di sera. le mie prime impressioni sul padre Gabriele Quando ho veduto la prima volta questo Padre venutomi all’incontro mi parve di vedere un vero scheletro ambulante, [p. 765] e non ho tardato a giudicarlo un’uomo fuori posto affatto, e fatto per tutt’altro che per il clima di Massawah, egli era già arrivato al fine della sua carriera. Le lettere arrivatemi nell’interno, e le conversazioni fatte coi missionarii di Massawah confermavano questo mio giudizio. Egli contava già circa otto anni di missione; restò sempre nei climi caldi delle coste d’Africa, dove un’europeo, anche di una buonissima costituzione, difficilmente può arrivare ai dieci anni. Se egli appena arrivato a toccare le coste africane fosse venuto nell’interno subito o quasi subito, sarebbe stato un missionario salvato, il quale, sotto la direzione di altri avrebbe servito alla missione per molti anni; invece il poveretto mancò di direzione e di coragio, e si ridusse in uno stato che faceva compassione in tutti i sensi.

Chiesa e casa della missione
[mar.-ott. 1861]
Fratanto nella giornata e nella sera ho avuto tutto il tempo di prendere le informazioni che mi occorrevano, e di vedere tutte le cose fattesi in Massawah dopo la mia assenza. Prima di tutto una bellissima [p. 766] /126/ Chiesa a tre navi più che sufficiente per i bisogni della missione in Massawah, con una casa attigua a due piani sufficiente per una piccola famiglia di missionarii europei, e di studenti indigeni in caso di bisogno. Il luogo era il più bello di tutta l’isola di Massawah: essa era a levante sull’entrata del porto, la prima a vedere le novità che venivano dal mare, e la prima a ricevere l’aria marina, tanto preziosa in quelle coste. La casa era segregata dalla citta, come conveniva ad una casa di missione, separata dal cimittero mussulmano, cosa in verità poco agreabile, ma che intanto non lasciava di servire al uopo. In un’isola strettissima era il luogo migliore che si potesse ottenere.

difficoltà incontrate per fabricare. Il Signor Delmonte mi narrò tutte le difficoltà che si incontrarono per ottenere quel luogo. Vennero da Costantinopoli tre firmani del gran Signore a questo riguardo, i quali sono stati sempre trovati con clausole ambigue da impedirne [p. 767] l’esecuzione, benché l’autorità locale non fosse poi tanto ostile da rilevare delle difficoltà inutili. Chi conosce lo stile della porta Ottomana, quando si tratta di cose religiose, non si stupisce. La Porta ottomana è schiava del sentimento religioso mussulmano, e di necessità deve schermirsi tanto che può. Ma in quell’epoca il potere della Francia sulla Porta ottomana era arrivata al suo apogeo, e finì per vincere; del resto, in altri tempi, forze non si sarebbe ottenuto. Massawah apparteneva all’Egitto, ma questo era suddito della Porta principalmente in queste cose. D’altronde, chi conosce l’oriente sa, che due poteri mussulmani sono sempre intesi e si ajutano a vicenda, [cosicché] uno accorda, e l’altro rifiuta, quando si tratta di cose non volute dal loro publico sentimento.

visita al governatore. L’indomani, celebrata la Santa Messa, e rese le dovute grazie a Dio per la mia guarigione, e per il mio buon viaggio, ritornato che fù il P. Gabriele da Umkullu, abbiamo fatto insieme la visita al Governatore di Massawah, [p. 768] dal quale sono stato molto bene ricevuto. Il Governatore mi fece molte questioni sull’interno dell’Abissinia, segnatamente sul conto di Teodoro. Fu stupito di sentire come questo imperatore Teodoro, non solo mi lasciò passare, ma mi onorò, e mi fece accompagnare con ordini molto precisi in favore mio sino ai confini. Mi domandò se vi era pericolo di qualche discesa verso il Tigrè, e verso la costa e lo assicurai di no. Questo gli fece gran piacere; è una cosa singolare[:] il governo mussulmano pretende di essere padrone di tutto il mondo e tratta l’Abissinia come paese di suoi schiavi, e poi la teme come il sorcio teme il gatto. La nostra stessa Europa è schiava della Porta, la quale ne porta ancora i titoli di conquista, eppure sappiamo come stà. Le nazioni decadute si pascolano di titoli e di vento.

/127/ il consolato inglese Dopo una lunga conversazione, ringraziatolo di quanto fece per me in in Arkeko nel mio arrivo, [mi sono] congedatomi sono sortito. Di là il P. Gabriele volle condurmi alla casa consolare d’Inghilterra, della quale egli era custode [p. 769] e come rappresentante del Console da un’anno e più assente, trovandosi egli in Abissinia presso Teodoro, come già si disse. Fatta colà nel Consolato inglese una piccola collazione, siamo partiti per Umkullu. arrivo ad Umkullu; grandi mutazioni Ho trovato Umkullu molto cangiato: il Villagio, il quale contava appena una quindecina di case alla mia partenza, ne contava più di cento al mio ritorno, fabricate tutte sulla strada di Massawah. Quindi [vidi] la casa della missione lazzarista [28.10.1848] stata comprata dal primo V.[ice] Console Degoutin, così memoranda, perché fù quasi l’origine di quel villagio, molto deperita, e la parte Nord del suo giardino, dove fù fabricata la mia prima casa, stata mangiata tutta dal torrente. La casa della procura Galla l’ho trovata fabricata sopra un monticello, in verità molto più salubre e fresco. La nuova casa era con un’orizzonte molto più spazioso, che arrivava sino al mare, ed al porto di Massawah. In verità il P. Gabriele aveva scielto bene, ma mi fece delle spese enormi per una proprietà provisoria, e di poca durata.

sulla proprietà della casa di Umkullu. Ho detto proprietà provisoria, perché l’Abissinia non aveva ancora rinunziato [al]la proprietà che ha sempre avuto sino al mare, ad eccezione della sola isola di Massawàh, come semplice [p. 770] stazione dei mercanti, e non come piazza forte. Come già si è riferito altrove [fine 1848] nel 1849. l’Abissinia era discesa e fece una strage per protestare contro quella occupazione di fatto della costa per parte del governo turco, e l’Abissinia potrebbe sempre ancora discendere. Ma anche supposta la proprietà turca, il governatore di Massawah non poteva dare che una semplice facoltà di fabricare, e mai la proprietà del terreno senza un firmano di Costantinopoli, e ciò massime per gli europei. In verità io sono stato stupito [al] vedere quel luogo concesso al P. Gabriele, essendo stato già precedentemente negato ad altri prima di lui, come luogo sacro nel senso mussulmano, per il Sepolcro di Sciehek Abdalla, [che vi si erge e costituisce una] specie di Santuario.

lo scavo di un pozzo La più gran spesa fatta dal Padre Gabriele in quel luogo, è la spesa di un pozzo. Nel piano di Umkullu un pozzo trova l’aqua alla profundità di cinque mettri al più, arrivando sotto lo strato sabioso, dove si trova il deposito delle aque. difficoltà e spese per fabricare La nostra casa di Sciehk Abdalla è sopra una collinetta alta poco più di sei mettri; il pozzo in discorso non era ancora arrivato [arrivato] al livello de[l] piano inferiore, vi [si] doveva[no] ancora aggiungere altri cinque o sei mettri per trovare [p. 771] l’aqua, ed in quei paesi difficilmente si trova chi voglia discendere più [in] /128/ basso, perché mancano gli ordegni per discendere e salire, ed anche per estrarre le materie; così il pozzo resto una gran spesa inutile. [Per] Il resto della casa essendo di legno e di paglia non sarebbe stata una gran spesa, benché i legni grossi siano molti cari, dovendo venire da molto lontano sopra i cameli. Oltre di ciò vi era un marrabà o deposito in pietre e calce, ed una piccola cuci[na] parimenti di costruzione araba. In tutto la costruzione di quella casa passava i due mille franchi, spesa enorme per la residenza di un solo procuratore. Ho voluto discendere a questa specialità per dare un’idea delle costruzioni di quei paesi. Una cosa deve calcolarsi ancora, ed è che nei paesi turchi lontani il tutto è nelle mani di un governatore, il quale ha il monopolio dei cameli, degli operai, e persino di certe merci di prima necessità, e bisogna passarsela bene cogli impiegati per trovare il necessario; altrimenti e senza mancie non si trova.

Benché non sia il mio scopo di scrivere quì tutta la storia della mia casa, pure non credo bene tacere alcuni fatti i quali possono servire d’istruzione a chi viaggia fra i mussulmani sopratutto nei paesi lontani, dove la procedura [p. 772] mussulmana è lontana dal controllo della civiltà europea. Già ho detto che il P. Gabriele mio Procuratore era come un[o] schelletro ambulante, e passava la metà del suo tempo in letto. un furto fatto da un domestico Un bel giorno volendo prendere un poco di aria in un luogo un poco più elevato, lasciò la casa di Umkullu nelle mani [di] servi mussulmani, i più fidi, come si deve supporre, portando con se la chiave del marraba, ossia magazzino; un bel giorno, oppure una bella notte si forza la serratura, un ladro si introduce, [s]forza una cassa chiusa con chiave, e porta via una somma di 400. talleri che vi erano, con alcuni altri oggetti.

processo fatto dai mussulmani contro un mussulmano Dopo questo fatto il ragazzo custode corse subito al P. Gabriele piangendo e raccontando il fatto occorso. Si fece la causa ed il processo. I sospetti generali caddero sopra il ragazzo stesso; egli invece mise altri in causa; furono legati e gli uni e gli altri, ma nulla si poté conchiudere, e nulla si poté provare. Quelli stessi che parlavano, dopo negavano d’aver parlato. Io ho avuto gli atti [processuali] nelle mani, erano pieni di formalità e nulla più. Il mussulmano [p. 773] non depone contro un suo correligionario ed in favore di un cristiano. altro fatto simile. Un fatto tutto simile era accaduto alcuni anni prima ad un Capitano di Bastimento venuto a Massawah per comprare muli per una somma molto maggiore. Era un Cristiano di Morice suddito inglese stato [de]rubato da un suo servo. Io ho sentito questo ultimo affare trovandomi nell’interno dell’Africa, ma anche in questo secondo fatto nulla si poté provare. Dopo molto /129/ tempo si seppe che i servi rubarono nei due fatti suddetti. Il rubarizio fù fatto di pieno accordo con [un] altro; il quale se ne fuggì subito colla somma.

massima da tenersi Venendo ora all’utile: il P. Gabriele ebbe torto [di] circondarsi di mussulmani: invece doveva prendere dei servi cristiani d’Abissinia; sarebbe stato molto più onorevole per lui come Prete, e sarebbe stato anche più sicuro. L’abissino cristiano in Massawah difficilmente potendo intendersi coi mussulmani, è più legato col suo padrone. Come Cristiano, anche [se] eretico, ha maggiore moralità di un mussulmano, il quale crede [di] far bene rubando ad un’infedele. Il P. Gabriele non sapendo la lingua abissina, ma solo [p. 774] la lingua araba, ha creduto bene [di] farsi una famiglia araba, ma ha commesso un gran sbaglio, anche prescindendo dalla circostanza che egli, essendo prete doveva farsi una famiglia cristiana. la servitù nei paesi musulmani In un paese cristiano l’arabo può essere servo di un cristiano, ma non in paese mussulmano, perché il servo si trova in famiglia nel suo paese, ed il padrone si troverebbe isolato. Io, anche in altri paesi mussulmani sono stato consigliato dalle autorità mussulmane medesime a prendermi servi cristiani, perché, mi dicevano essi, occorrendo qualche cosa [di sinistro], noi stessi siamo imbaiazzati. Il servo che non è in famiglia si attacca naturalmente al suo padrone.

si conchiude la partenza Preso che ebbi qualche giorno di riposo, e veduto l’insieme delle cose, allora dissi al P. Gabriele: io ho promesso a Teodoro che avrei aspettato quì in Massawah fin dopo il S. Natale, dopo il quale, io debbo partire col primo imbarco che si troverà. Come sapete io non posso partire solo, ed ho bisogno di un compagno. Voi vi trovate in uno stato di salute così basso che avrei rimorso [di] lasciarvi [p. 775] quì per timore che non vi arrivi qualche cosa di sinistro. Anche voi dunque dovrete partire con me. Ciò posto, il viaggio di mare essendo una cosa incerta, faremo qualche giorno di ritiro insieme, e fatto questo, penseremo a fare il nostro inventario di ogni cosa, e così prepararci alla partenza, rimettendo ogni cosa ai Padri Lazzaristi, i quali, come si sono sempre prestati, così, come spero non rifiuteranno di farlo, sino al nostro ritorno.

faciamo il nostro ritiro spirituale Presa che fù la risoluzione, dello stesso giorno, fatto l’orario, abbiamo la sera dato principio al nostro spirituale ritiro, nel quale si facevano quattro funzioni consistenti nella recita dell’officio divino, dopo il quale [seguivano] una lettura ed una conferenza; la sera in luogo dell’officio [si recitava] il rosario prima della conferenza. Il nostro ritiro durò otto giorni compiti, non compresa l’apertura e la chiusura. In questo ritiro il /130/ povero P. Gabriele fece uno sforzo per assistere a tutte le funzioni, qualche volta anche corricato in letto, persino in tempo della Messa la mattina, tanto era debole. Finito il nostro ritiro, il P. Gabriele fece una grande esclamazione: ah Padre, disse, oggi sono contento, venga anche la morte! [p. 776] si fa l’inventario della casa nostra Dopo ci siamo messi intorno all’inventario. Il Padre Gabriele non potendo reggere ad un lavoro di schiena come è un’inventario, egli assisteva semplicemente per verificare se mancava qualche cosa, ed io ho dovuto fare anche questo lavoro. Ho pregato i Padri Lazzaristi, e venne destinato un sacerdote il quale ne faceva uno da restare nelle loro mani, mentre io ne faceva un’altro da rimanere nell’archivio della missione nostra. Così in pochi giorni si terminò anche questa operazione, [la] quale terminata, io col P. Gabriele le abbiamo sottoscritto tutte [e] due [le carte], e le sottoscrisse anche il Signor Delmonte Superiore, con un’altro Sacerdote suo. La maggior parte delle casse furono chiuse e sigillate; alcune contenenti le cose in uso furono lasciate aperte. Le sigillate furono subito trasportate nell’isola di Massawah, e collocate nel deposito della Missione dei Lazzaristi, come luogo più sicuro dai ladri.


(1a) In molte carte geografiche si scrive Arkeko, benché porti anche il nome di Dehonò. [Torna al testo ]