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Fregio

Messis Multa

Capo II.
Da Roma ad Alessandria d’Egitto.

Memorie Vol. 1° Cap. 2.
Giugno 1846
Civitavecchia, Malta, Alessandria d’Egitto

1. Partenza da Roma per Civitavecchia. — 2. Da Civitavecchia a Malta. — 3. Una giornata a Malta. — 4. In Alessandria d’Egitto. — 5. Incontro con Mons. Guasco. — 6. Visita dei Consoli Generali. — 7. Il Console Cerruti ed il nostro viaggio. — 8. Il signor Vallieri. — 9. La via del Nilo.

Capolettera R

Ritornato in Convento, chiesi al Rmo P. Procuratore che cosa io dovessi risolvere, e soggiunsi: — i posti sul piroscafo sono stati presi, e fra due giorni esso salperà da Civitavecchia; i due Missionari miei compagni, già partiti, mi attendono in Alessandria; il P. Felicissimo non arriva ancora.... — Ebbene, partite, mi rispose, e se vi resta qualche altra cosa da ultimare, ci penserò io, e spedirò tutto col P. Felicissimo. — Inteso ciò, non pensai più ad altro. La stessa sera mandai tutto il mio bagaglio all’uffizio della carrozza da viaggio, e la dimani, mentre tutta Roma era in movimento, parte per assistere ai novendiali, parte col timore e con la speranza di politiche innovazioni, partii per Civitavecchia col mio compagno Fra Pasquale, cui rincresceva di non poter vedere le funzioni mortuarie del defunto Pontefice, e la susseguente elezione del nuovo Papa.

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2. Giunto la sera a Civitavecchia, spedii tosto il bagaglio al piroscafo, che dovea partire la notte; ma il Capitano mi fece sentire che, in conseguenza della morte del Papa, avea ricevuto l’ordine di ritardare la partenza sino alla mattina seguente, in cui doveva arrivare la valigia d’Oriente; e che /11/ perciò io era in libertà di passare la notte a terra, purché mi fossi trovato la mattina a bordo. Così potei trattenermi alquanto con quei miei fratelli religiosi, e celebrare al mattino la Messa nella cappella dell’ospizio della darsena. Parte da Civitavecchia: 4.6.1846 A.Rosso Verso le otto, accompagnato da loro, mi recai sul piroscafo, il quale quasi subito levò l’ancora, e parti per Malta.

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3. Dopo due giorni di mare, A Malta: 7.6.1846 A.Rosso si arrivò felicemente a quell’isola. Qui, fermandosi il piroscafo tutta la giornata, si ebbe agio di scendere a terra, per visitare la città, e passare qualche ora coi nostri Religiosi cappuccini. Non era scorsa mezz’ora, che le campane di tutte le chiese cominciarono a sonare a lutto per la morte del Papa; la qual notizia, giunta all’improvviso, erasi diffusa come un’eco dolorosa per tutta la città. Saputosi il nostro arrivo, molti del clero, e principalmente i Canonici della cattedrale vennero a darci il ben venuto, e a domandarci notizie di Monsignor Casolani, loro collega; e suo padre medesimo si affrettò a venire, e con grandi insistenze voleva condurci a pranzo in casa sua. Dopo mezzogiorno Monsignor Vicario Generale venne a visitarci a nome del Vescovo, ed a pregarmi che fossi andato io da lui; poichè quel buon vecchio, non potendo uscire di palazzo, struggevasi del desiderio di vedermi e di sentire le notizie della morte del Papa e della consacrazione di Monsignor Casolani. Fatta questa breve visita, fui avvertito che il piroscafo stava per partire; e così, salutati in fretta gli amici ed i Religiosi, ritornammo a bordo, accompagnati da gran numero di Maltesi. Il piroscafo già fumava, e stava per levare l’ancora; e giunti noi, sul far della notte si parti alla volta di Alessandria.

Ho veduto la gran Malta istorica – che portento di fortezza! peccato che non sia più Italiana! meritamente fu chiamata la vanguardia, poscia la retroguardia d'Italia; ora divenuta vanguardia Inglese contro l'Italia... La popolazione nei costumi, nella lingua, ed in molti altri capi è un misto di Italiano, e di Arabo – nella religione è eminentemente Cattolica a fronte di tutti i conati inglesi – Se quest'isola fosse del Papa, sarebbe proprio un luogo da collocarvi un Seminario generale per tutte le Missioni dell'Orbe, per la gran facilità di apprendere tutte le lingue e di conoscere tutto il mondo – Lettere vol. I n. 30, al Padre Benvenuto Buratti da Chiavazza, Alessandria 28 giugno 1846

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4. Dopo tre giorni di felice navigazione, Ad Alessandria: 11.6.1846 A.Rosso ci trovammo dirimpetto ad Alessandria. I nostri due Missionarj, che ci aveano preceduto, appena vista la nave, si avvicinarono al porto. Essi avevano già annunziato il nostro arrivo, ed avevano anche parlato della grave malattia del Papa, la quale faceva presagire per la Chiesa e per la comunanza civile giorni un po’ incerti e tenebrosi. E perciò essi, e tutti coloro che si occupavano di politica, e principalmente gli esiliati e gli emigrati, di cui in Egitto vi era un buon numero, ci aspettavano con ansietà. E quando il piroscafo si avvicinò al porto, ci venne incontro una barca con bandiera francese, dentro la quale vi erano il Cavàs (1) del Console Generale, il Segretario di Monsignor Delegato, i due compagni, e molti Religiosi di Terra Santa. Ben sapendo essi che noi, ignorando gli usi ed i traffichi di quel porto /12/ semibarbaro, e le pretensioni di tutta quella ciurma di Arabi, saremmo stati vessati ed anche imbrogliati; presero tosto il nostro bagaglio, e provvidero essi per la dogana e pel trasporto.

La prima impressione dell’Africa fu disastrosa:

Dopo viddi per la prima volta questa gran città di Alessandria una volta Patriarcale imponente del Cristianesimo – che spettacolo di varietà presenta mai all’occhio straniero! qui si vede tutta la civilizzazione Europea, e nel tempo stesso tutto il barbaro arabo – voi in Alessandria trovate palazzi, contrade, piazze che potrebbero servire d’ornamento a Torino, a Roma; gli Europei presentano una civilizzazione, un treno sorprendente – La Religione stessa Cattolica è onorata al disopra di quello sia in Europa – domina sopra tutte le altre sette Cristiane che vi sono di ogni specie – nel numero, nell’opinione, in tutto, e questo anche presso gli eterodossi, che vengono alla nostra Chiesa, danno i loro ragazzi alle nostre scuole... Sortite di città, anzi nella città stessa, solo fuori della città Europea, voi vedete uomini che non son più uomini, ma bestie – vestono come le bestie, mangiano come le bestie, abitano tane da bestie selvatiche – L’Alessandria antica è un seminato di tugurj non più alti delle spalle di un uomo, non più larghi delle stanze da Cappuccino, con una porta rotonda larga due palmi – di fuori fanno la figura di un letamajo di Piemonte – di qui sortono striscianti quei meschini quasi nudi – smonti [smunti], vili, cesposi, – neri – ignoranti – a segno che nella loro miseria credono di essere i più felici – non conoscono altro mondo fuori della loro tana – vedete a che punto vergognoso riduce i popoli il maledetto Corano... [...] affatto sbilanciati [...] [....] facoltà loro fisiche, e morali dall’infame vizio del senso presso di loro santificato dal] Corano – questa schiatta è proprio il ritratto della maledizione,... io la credo insanabile [nella] Religione, del pari e nell’animalità – non vi è rimedio per questi paesi, che riempirli [di co]lonie Europee, e Cristiane – Lettere vol. I n. 30, al Padre Benvenuto Buratti da Chiavazza, Alessandria 28 giugno 1846

Lasciata l’Italia sede, e trono del bello, e del sublime, caro Prevosto! io avrei mai creduto, con otto giorni di viaggio sul nostro mediterraneo, di vedermi in altro mondo, come mi sono veduto, appena mi si affacciò il porto di Alessandria, epperciò dell’Egitto una volta culla del sublime primitivo – il primo colpo di vista che mi avvertì del gran passo che io stava facendo, e che mi stordì quasi affatto, si fu un formicolajo di gente che si affacciava tutto all’intorno di quel porto derelitto – che gente! assuefatto a vedere i nostri popoli d’Europa di una stirpe spiegata, e conosciuta, di una fisionomia, e colore uniforme, pensi che impressione non fece sul mio spirito, un mondo di gente di tutte le stirpi, di tutti i colori, di ogni fisionomia, bianchi, neri, giallastri, grandi, picoli; quindi ciò che più colpisce, gente la più miserabile, seminuda, querula, e che porta in fronte il segno di maledizione, della propria viltà e schiavitù civile non solo, ma ideale – Nel dover lasciare il vapore, ancor terreno, per così dire, Europeo, ed ultima grandezza d’Europa, per scendere sul canotto che mi doveva trasportare alla riva, sentiva un ribrezzo nel dovermi avvicinare a quei succidj barcajuoli, e dopo il breve tragitto dovendo montare la riva, provai i medesimi affetti che Dante all’affacciarsi dell’inferno – il mio cuore in quel momento sentì tutta la debolezza, talmente si restrinse, s’impicciolì, che se la carità di Cristo, e lo spirito Evangelico non venivano in mio soccorso a darmi un po’ di spinta, e farmi un poco di largo, io sarei ritornato sul Vapore per rivedere la cara Patria Lettere vol. I n. 67, Al canonico Giovanni Maria Pagnone, Gualà 24 marzo 1847

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5. Vicario e Delegato Apostolico dell’Egitto era Monsignor Perpetuo Guasco, nato in Solero d’Asti, uomo di preclari meriti e di grande pietà. Non avendo egli alloggio per tutti noi, fummo ospitati nel Convento dei Padri Minori Osservanti, dove lo stesso Monsignore ci aspettava. Appena ricambiati i primi saluti, mi domandò del Papa, e si parlò a lungo di quella comune sventura. Frattanto Monsignore ordinò che se ne desse l’annunzio alla città col lugubre suono della campana principale, alla quale fece eco quella dei Padri Lazzaristi, i quali avevano ivi un florido istituto. La bandiera di Terra Santa, in segno di duolo, fu inalzata a mezz’asta per tre giorni, e lo stesso fecero per le loro bandiere gli altri Consoli delle Potenze straniere.

Perpetuo Guasco O.F.M. nasce a Solero (AL) nel 1803. C’è qualche incertezza sull’anno di nascita. Il luogo di nascita è indicato come Solero d’Asti, denominazione risalente al Medioevo, quando la città di Alessandria non era ancora stata fondata. (La città è patria di San Bruno di Segni 1045-1123, e forse questo ricordo medievale ha contribuito al perpetuamento del vecchio nome.)
Nel 1836 è nominato superiore del Convento del SS. Salvatore a Gerusalemme, dove ha sede la Custodia di Terra Santa; rinuncia alla carica nel 1840.
Dal 1839 è Vescovo titolare di Fessei, Vicario Apostolico e Delegato Apostolico per l’Egitto. Lavora presso il convento francescano del Muski, al Cairo, fondando scuole e chiamando alcune religiose a servire nella missione. Fa costruire anche la Cattedrale di S. Caterina ad Alessandria d’Egitto (si veda in proposito la già citata Lettera n. 28 del 17-19 giugno 1846).
Muore nel convento del Muski il 26 Agosto 1859. Gli succede come Vicario Apostolico Pasquale Vuičić (Vujcic), O.F.M.

Bandiera di Terra Santa
Bandiera di Terra Santa

La bandiera di terra santa è la più antica bandiera di Alessandria, così mi diceva un vecchio levantino; prima ancora che i consolati delle diverse potenze spiegassero ciascheduna la loro bandiera particolare, quella di terra santa rappresentava tutti i cristiani, anche eretici. Questa proposizione da principio mi parve incredibile, ma dopo che ho veduto in Gedda, ed altrove, tutti i cristiani, anche eretici radunarsi alla venuta di un prete cattolico, come si vedrà a suo tempo, allora non ho stentato a credere ciò che mi diceva il vecchio levantino, perché i cristiani di colore correvano a terra santa per non essere considerati musulmani. Memorie Vol. 1° Cap. 2 nota a p. 12.

Il Massaia ha grande ammirazione per Mons. Guasco, ma nelle Lettere dà un giudizio durissimo sui suoi collaboratori del convento del Muski:

Questo Vicariato come trovasi attualmente concepito, e inceppato da tali difficoltà, che un povero Vescovo, anche facendo niente, non farà poco se salva la pelle – Qui il vicario Apostolico si può dire veramente schiavo di Terra Santa, la quale mentre intende mantenere gelosissimamente li suoi diritti di giurisdizione sui Missionarj, e sul luogo della Missione, senza accorgersi forma un contraltare terribile al Vescovo, il quale per mantenere la pace deve contentarsi d’inghiottire quotidianamente bocconi amarissimi, e starsene colle mani alla cintola [...] Ella s’immagini di essere capo di una Chiesa, i di cui preti riconoscano altri Superiori, dai quali solo abbiano di che sperare e temere... [...] I Superiori e di Terra Santa, e di Roma ricevono lettere da tutti gli individui, in specie dai meno subordinati, rispondono ad singula, anche alle cose spettanti al governo del Vescovo... [...] Tutto il mondo godeva nel vedere la nuova bellissima Chiesa di gusto Europeo, quasi condotta a termine, e prossima ad essere uffiziata... ebbene, il Demonio che ben prevedeva la necessità della medesima, ed il bene grande che ne sarebbe derivato a questa Cristianità rinascente, seppe toccare così bene le corde della malizia, o debolezza umana, che la Chiesa è già a terra, e quello che più fa venire la stizza, è a terra con tripudio dei nostri nemici, e di quelli che loro servirono senza avvedersene – Lettere vol. I n. 37, a Monsignore Giovanni Brunelli, Alessandria 18 luglio 1846

6. Il Console Generale francese e gli altri Consoli cattolici, i quali avevano ricevuto dai loro Ambasciatori, residenti in Roma, lettere e dispacci sul mio arrivo e sulla morte del Pontefice, vennero subito a farmi visita; ed anche molti altri cattolici ragguardevoli vollero vedermi, per sentire i ragguagli sulla morte del Papa, e sullo stato e tranquillità di Roma; giacché queste notizie erano molto importanti allora per la quiete dell’Europa, e di una gran parte del mondo. Quasi tutto il giorno il convento fu pieno di gente, e tutti parlavano della morte di Papa Gregorio, s’intende, ciascuno secondo le proprie opinioni. I cattolici sinceri esternavano timori per Roma e per l’Italia; i cosidetti liberali gioivano e si aspettavano lieti avvenimenti, tanto, che alcuni Romani, colà emigrati, sarebbero partiti subito, se i Consoli non li avessero dissuasi. Monsignor Delegato parlò poscia del funerale da farsi, e ne fu stabilito il giorno. Indi esso, insieme con i Consoli francese, pontificio, e, se non erro, toscano, mosse per darne parte al Viceré Mohammed-Aly, il quale ordinò il lutto di Corte per tre giorni.

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7. Uscita la folla, restò il signor Cerruti, Console Generale sardo e Procuratore speciale di Propaganda; il quale, trattomi in disparte, mi disse di avere ricevuto dalla Sacra Congregazione suddetta tremila scudi romani, la quale somma dovea servire per le spese del mio viaggio e per l’impianto della Missione. Poi soggiunse che in quanto al viaggio, egli vi avea già provveduto, ed a questo scopo sarebbe venuto da me un certo Vallieri piemontese, suo incaricato ed Agente Consolare del Sennàar: il quale, dovendo partire per Kartùm, ci avrebbe accompagnati ed assistiti, come /13/ persona che conosceva bene il paese, e come rappresentante del Consolato. Risposi che gli era molto grato per tante affettuose premure; ma che, dovendo trattenermi ancora qualche tempo in Alessandria per aspettare altri Missionari ed ulteriori istruzioni, avremmo avuto agio di trattare e stabilire ogni cosa. Parlando poi con i miei compagni P. Giusto e P. Cesare su quelle proposte, dagli elogi che mi facevano tanto del Console sardo, quanto del signor Vallieri, mi accorsi tosto che fra loro si erano fatti varj disegni, e prese intempestive determinazioni.

Marcello Cerruti (Genova 1808 - Roma 1896) nel 1825 venne nominato segretario del Ministro sardo a Costantinopoli. In seguito ricoprì diversi incarichi a Tripoli, Tunisi, a Milano e Cipro, divenendo rappresentante del regno sardo al Cairo e ad Alessandria d’Egitto. Nel 1849 fu messo a capo dell’appena costituito consolato sardo a Belgrado.

Il convento della Santissima Concezione
Il convento della Santissima Concezione dei Cappuccini in Roma

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8. Pochi giorni dopo venne da me lo stesso signor Vallieri con una lettera di raccomandazione del Console suddetto, e, ricambiati i complimenti di uso, mi parlò del viaggio, proponendo la via del Nilo e del Sennàar, come la più diretta e sicura; indi mi presentò una nota di provviste da farsi, che mi spaventò. Egli diceva che tutto era a conoscenza del Console, e poscia soggiunse, con aria di chi crede di aver fatto una grande cosa, che avea comprato per noi cinque bellissimi fucili. Questo modo di operare mi turbò non poco, molto più che io, non essendo ancora in grado di giudicare la convenienza di quelle proposte e spese, non sapeva che rispondere. — Ebbene, dissi, quello che è stato fatto, resti; ma non si aggiungano nuove spese; poichè, dovendo noi ricevere /14/ altre istruzioni da Roma, esse potrebbero per avventura deciderci ad un qualche cambiamento nei nostri disegni. — Avuto un momento libero, corsi da Monsignor Delegato, e gli parlai di questo affare: ed egli, benchè non disapprovasse la strada del Nilo e del Sennàar per andare in Abissinia, non lasciò però di farmi confidenzialmente qualche osservazione sul signor Vallieri, come persona di probità molto dubbia; e lo stesso discorso mi tenne pure il signor Leroy, Superiore dei Lazzaristi. Questo bastò per mettermi in guardia, ed avvertire i miei compagni ad essere più circospetti per l’avvenire, e non lasciarsi illudere dalle prime apparenze, stringendo amicizia con persone non ancor ben conosciute, e prendendo impegni, che poteano fallire; e metter me in qualche imbroglio.

Il Sultanato del Sennàar, costituitosi nel XVI secolo, comprendeva l’area attraversata dal Nilo Azzurro fino alla confluenza con il Nilo Bianco. La capitale omonima si trova sul Nilo Azzurro; nelle vicinanze è stata costruita nel 1925 una diga per irrigazione.
Il S., chiamato anche Sultanato Blu, dal nome del fiume, o Sultanato Funj, dal nome dell’etnia dominante, entrò in crisi nella seconda metà del XVIII secolo, e fu definitivamente assorbito nel Sudan egiziano nel 1821. Il termine continuò ad essere usato in seguito per indicare in modo abbastanza generico il territorio compreso fra il Nilo Bianco e il Lago Tana.

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9. Certamente la via del Nilo e del Sennàar sarebbe stata la più diretta pei paesi galla, o tenendo la strada che porta a Matàmma, e poi raggiunge il lago di Dembèa; oppure, seguendo il Nilo sopra Kartùm, tentar d’introdursi direttamente nei paesi galla, senza toccare l’Abissinia. E non mancavano persone che ce la consigliavano; ma noi in quel tempo non eravamo al caso di giudicare su di ciò. Altri poi non pochi ce la dissuadevano per la ragione, che il clima in quei mesi, sviluppando micidiali febbri maligne, faceva molte vittime, principalmente fra gli Europei. Il che ci teneva in gran timore; poichè se qualcuno di noi si fosse ammalato per istrada, avrebbe senza dubbio messo a rischio l’esito della nostra spedizione. Questi timori pertanto, e i dubbj sulla persona del Vallieri, e le determinazioni prese dal Console Cerruti finirono col gettarmi in penosi pensieri.

All’inizio il M. accoglie favorevolmente la proposta dell’itinerario lungo il Nilo:

Il viaggio per il Nilo pare veramente presentare dei vantaggi, che non presenterebbe quello del mare rosso, e dell’Abissinia – Per il Nilo noi siamo sempre sotto la protezione del governo Egiziano, il quale per questa via tiene relazione quasi settimanale sino a Cartoum, e Fasouglu, luoghi precisamente limitrofi del Gojam, ove siamo intenzionati di dar principio alla Missione – Così noi potremo per qualche tempo stabilirsi in uno dei due paesi summentovati sintantoché ci riesca di poterci introdurre fra i Gallas – La spesa per questa via pare molto minore di quella che si farebbe passando pel mare rosso, e per l’Abissinia... per questa via forse non basterebbero milletrecento scudi, secondo i calcoli che mi fanno, laddove pel Nilo basterebbero mille, non comprese le provviste da farsi, giunti che saremo sul luogo, come casa etc – vedrà in proposito la nota fatta dal Sig.r Vallieri, quello che ci dovrà accompagnare per il viaggio, e che giunti in Cartoum ci darà anche l’alloggio per qualche tempo – Lettere vol. I n. 28, al Cardinale Giacomo Filippo Fransoni, Alessandria d’Egitto 17-19 giugno 1846

In seguito emergono difficoltà e dubbi:

Il piano prefato di viaggio pel Nilo, o per l’alto Egitto, con tutti i numeri favorevoli che ha sopra quello dell’Abissinia, non lascia di avere le sue difficoltà, fra le altre quella di privarmi di un’abboccamento con De-Jacobis, il quale mi potrebbe darmi molti lumi, tanto più che questi, come alcuni mi assicurano, di quest’anno inviò ai Gallas un suo Missionario certo P. Montorio, quale trovasi ancora attualmente là – ciò nulladimeno io lo credo ancora preferibile – d’altronde, io giunto qui trovai la cosa come fatta, già compromessi gli uni, e gli altri, a segno che politamente non avrei potuto cangiar sistema senza un’ordine superiore, che io per altra parte non avrei potuto invocare, mancandomi le ragioni, e le opposizioni sufficienti... Lettere vol. I n 29: Al Padre Giusto Recanati da Camerino, Alessandria 28 giugno 1846

In seguito il M. attribuisce a questo P. Montorio il tentativo di far venire in Abissinia un Abuna cattolico, impresa su cui esprime molte riserve:

... il P. Montuorio in Soha ha conchiuso col Re di far venire in Abissinia un’Abuna Cattolico – Ras-Ali ha già esternato il medesimo sentimento coi Cattolici di Gondar [...] Siccome questi Re fanno questo passo per fare un contro-altare all’Abuna, che intendono di scacciare – mancomale vorranno introdurre un’Abuna Cattolico in forma, e secondo le forme; questo è quello che ha bisogno di essere ponderato. Spiegandosi publicamente un’Abuna Cattolico dichiarato dal Governo almeno col fatto – sarebbe nella necessità di fare certe providenze troppo dure – fra le altre quella di dover sospendere tutti i preti invalidamente ordinati – Il publico non ancora la maggior parte persuaso della verità Cattolica, potrebbe fare qualche scherzo – Qui non è il caso di calcolare gran cosa sul favore del Governo che può cadere da un giorno all’altro, ed io in questa supposta crisi religiosa non mi stupirei, che qualche capo banda dei molti che ci sono favorevoli all’Abuna, prendendo questo titolo, venga a mettere in soqquadro la Nazione, e rinnovare le persecuzioni passate – Potendosi, secondo me, sarebbe meglio lasciar correre la cosa come corre attualmente – Il movimento attuale, spontaneo figlio dell’opinione favorevole che si va propagando di giorno in giorno, se verrà unito ancora al favore del governo, non può mancare di produrre il medesimo effetto, in modo più edificante, e più sicuro [...] L’Affare è molto scabroso, ed abbisogna gran riflessione. Lettere vol. I n 65: Al Cardinale Filippo Fransoni, Abissinia 22 marzo 1847

Chiusa

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[Nota a pag. 11]

(1) È questo il nome che si dà in Oriente a quel fante o valletto indigeno, assegnato dal Governo a ciascun console delle Potenze straniere, per rappresentarlo nelle più ordinarie occorrenze e commissioni. [Torna al testo ]