CIRAAS
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In Europa nel IX sec. d. C. l’Impero di Carlo Magno è esposto alla minaccia dei Musulmani d'Africa da quando l’Emiro di Qairawan (nell’attuale Tunisia) si era reso indipendente dal Califfo di Bagdad. La prima meta fu la Sicilia, rimasta fino ad allora in possesso dell’Impero Bizantino d'Oriente. L'occasione alla conquista fu offerta da Eufemio turmarca, ammiraglio bizantino, di stanza a Messina. Ribellatosi al proprio imperatore d'oriente per essere stato accusato di corruzione, si rivolse per aiuto ai Musulmani d'Africa, che nell’827 sbarcarono a Mazara, iniziando una lenta, ma continua avanzata. Quarant'anni dopo, nell’867 essi erano padroni di quasi tutta l’isola non restando ai greci-bizantini che le due fortezze di Taormina e di Siracusa. Esse caddero in mano dei Musulmani rispettivamente nell’892 e nel 902. Alle minacce dei musulmani d'Africa e di Sicilia si aggiunsero quelle dei Mori di Spagna. Le coste della Provenza, della Linguadoca e della Liguria diventarono la loro meta preferita, resa assai più accessibile con la fondazione di Frassineto, efficiente base posta fra Tolone e Nizza, dove essi stabilirono una loro forte colonia da dove potevano partire per incursioni e, probabilmente, anche per commerci, in Piemonte e in particolare nel Monferrato. Uno dei tanti segni della loro presenza è rappresentato dall’influenza artistica islamica sulla decorazione di stile arabo delle ciotole di ceramica smaltata inserite nella facciata della chiesa di Santa Maria del Vezzolano ad Albugnano.
Anche i greci, esperti uomini di mare, frequentano le coste della Provenza e, come i saraceni, talvolta, da commercianti si trasformano in corsari. Nell’848 depredano Marsiglia. Il re d'Italia Ugo di Arles più volte tenta di impadronirsi della strategica base saracena di Frassineto e, non riuscendo nell’intento, progettò di allearsi ai saraceni per ottenere vantaggi politici e commerciali. Soltanto Guglielmo conte di Provenza riuscirà ad impadronirsi della base di Frassineto. Questo fatto fu di grande importanza per un più sicuro commercio occidentale tra il Mediterraneo e l’Oriente, anche se i saraceni continuarono a frequentare il litorale provenzale.
In ogni caso i contrasti o le alleanze tra fazioni opposte non avvenivano mai per ragioni religiose, ma per contrapposizioni commerciali, come attestano gli accordi tra la repubblica di Napoli e i musulmani di Palermo. Napoli, con disinvoltura, si allea poi con Gaeta, Amalfi e Sorrento nel 846 per contrastare l’iniziativa dei saraceni che tentavano di impadronirsi di Ponza.
Il complicato gioco di interessi stava alla base di effimere alleanze. I saraceni fermati sotto le mura di Roma volsero allora i loro attacchi allo stato di Benevento, sempre alla ricerca di fruttuose basi per i loro intensi commerci.
I saraceni provenienti da Frassineto e dall’Andalusia tentarono nuovamente la presa di Roma dopo tre anni dal primo tentativo, ma furono nuovamente fermati a Ostia. Questa volta, su invito di Leone IV, intervenne la stessa Napoli, che fino ad allora non aveva osteggiato i musulmani per tutelare i propri prevalenti interessi commerciali.
Lettera del califfo Umar al-Murtaḍa al papa Innocenzo IV
Marrakech, 10 giugno 1250
Perg., mm 525x255, in buono stato di conservazione.
A.A., Arm. I XVIII, 1802 (3)
Il califfo almohada Abū Hafs Umar al Murtaḍa (1248-1256) indirizza a papa Innocenzo IV i suoi omaggi, promettendogli preghiere all’Altissimo perché gli conceda forza e spirito di sapienza onde mantenere pura la vera fede e combattere gli eretici. Il califfo si rivolge al papa riconoscendogli i titoli di «sovrano incontrastato della cristianità, rispettato dal popolo romano, capo del popolo cristiano, sul quale ha ricevuto in eredità la supremazia spirituale» e a lui augura dall’Onnipotente, nella formula iniziale di saluto, «il bene in questo mondo e nell’altro».
Da notare la disposizione del testo della lettera, in forma decrescente verso il basso, continuato poi nel margine, così come era consuetudine nelle lettere dei sovrani del Marocco.
La data del testo è quella del 18 rabī 648 dell’Egira, corrispondente al 10 giugno 1250 dell’era cristiana.
Rozone, prima di essere vescovo di Asti, era stato accolito della Chiesa di Pavia. Infatti nel 945 Liutfredo, vescovo di Pavia, concedeva a Rozone due abbazie in quella città. L'imperatore Oddone I dava facoltà al vescovo Rozone di edificare fortificazioni e difese per contrastare scorrerie saracene, ma soprattutto per tenere sotto controllo i movimenti commerciali e di curare il mercato nel territorio di Quargnento come dimostra l’atteggiamento messo in atto per contrastare le velleità offensive dei signori laici che miravano allo stesso tipo di dominio economico. Anche in questo caso i saraceni si presentano come concorrenti commerciali più che come avversari religiosi.
Durante l’episcopato di Rozone ebbe luogo l’unione della diocesi di Alba con quella di Asti decretata da un sinodo di Roma del 26 maggio 969, approvata da Ottone I il 9 novembre dello stesso anno e poco dopo da un altro sinodo tenutosi a Milano. Tuttavia l’unione non si realizzò se non dopo 13 anni. Quest'unione era concepita sempre con l’intento di arginare le incursioni saracene più intense nell’albese e meno importanti nell’astigiano. Tuttavia il vescovo di Alba Fulcardo dilazionava nel tempo l’attuazione dell’unione che, infatti, fu realizzata alla sua morte.
È evidente che questa unione aveva interessi economici rilevanti, infatti alla morte del potente vescovo Rozone Alba riprese la sua autonomia.
Vi era in Asti l’Ospizio (Albergo?) del Saraceno, collocato in una piazza di Asti non ancora identificata, nel quale, nel maggio del 1387, furono redatti documenti ufficiali importanti relativi alle Fidelitates Astenses.
Occorre inoltre sottolineare che vi furono insediamenti agricoli condotti probabilmente da saraceni divenuti stanziali essendo dovuta a loro l’introduzione della cultura del gelso nelle terre subalpine e in particolare nell’agro alessandrino.
Tra i frequentatori delle fiere nelle varie località della Champagne vi erano numerose famiglie astigiane e tra di esse i Macaluffo di indubbia origine saracena.
L'esistenza di rapporti amichevoli fra re Adalberto, figlio di Berengario II, ed i Saraceni del Frassineto non è trascurabile e si inserisce nel quadro di più vasti avvenimenti storici di quel periodo.
Esistevano accordi tra i Saraceni e determinate forze politiche cristiane la quali, in cambio di vantaggiosi servizi, li dichiaravano padroni dei valichi alpini col diritto di riscuotere tributi sui passanti.
Re Corrado riuscì a scagliare Saraceni contro Ungheri dopo essersi protestato alleato degli uni e degli altri. Il capitolo I del V libro parla di due Saraceni che, fatti prigionieri da Antonio Gabrione conte di Torino dal 943 al 975 riuscirono a fuggire e a metter fuoco nel monastero di sant'Andrea cagionando tra l’altro la distruzione della maggior parte dei libri ivi trasportati dalla Novalesa. I due mori furono presi e crocifissi.
Di rado i Saraceni aggredivano i centri urbani dell’interno ancora cinti di mura e provvisti di un'organizzazione militare sotto la guida dei vescovi; le devastazioni e le rapine subite dalla città furono il frutto, come è il caso documentato di Torino, dell’alleanza tra i Saraceni e i «perfidi cristiani»
Ubaldo Formentini
Molti dei saccheggi avvenuti in Liguria, Provenza e Piemonte, ed attribuiti ai Saraceni, sembra siano invece stati compiuti a scopi di rapina o per ragioni politiche o religiose da elementi non forestieri.
Molti Saraceni dopo la loro sconfitta rimasero in Europa come schiavi.
Il Concilio di Tarragona del 1239 e nel 1368 in un'ordinanza da Vescovo si disponeva che « i Saraceni dell’uno e dell’altro sesso portassero un abbigliamento distinto nel colore e nella forma». Si deduce che erano tanti.
A Bagnasco di Ceva è il «castrum Saracinorum»
Presso Pesio sopra il colle del borgo, esiste una torre saracena, chiamata il Pilone del Moro; un'altra Torre dei Saraceni è conservata a Barchi, frazione di Garessio.
La Facciata della Chiesa di Santa Maria di Vezzolano
Le ciotole o bacini inserite nella facciata di S. Maria del Vezzolano
Ciotola o Bacino
Ciotola o Bacino posta al centro
Ciotola con iscrizione araba prima del restauro
Ciotola con iscrizione araba dopo il restauro
Particolare della formula ripetuta sul bordo della ciotola
«Si tratta di un'iscrizione in una forma piuttosto semplice, non particolarmente elaborata, di caratteri cufici. Sull’orlo è ripetuta la formula 'Allah Mohammad'. L'alef di Allah fa anche da scansione per gli spazi occupati dalla formula. La ciotola è stata chiaramente fatta in un ambiente sunnita, perché gli sciiti aggiungono alla formula almeno il nome di Ali. La ciotola potrebbe essere selgiuchide, ed anche il cufico sembra la forma semplificata usata dai turchi «
(Testo di Haydeh Eghbal)
Versione Lamia Hadda
Roberta Giunta, Dottore di ricerca in epigrafia islamica presso l’Université Aix-Marseille I Professore a contratto di Antichità islamiche e di Archeologia e Storia dell’Arte Musulmana presso l’Università degli Studi di Napoli «L'Orientale»
La fascia epigrafica che corre all’interno del bacino, sotto l’orlo, contiene la ripetizione della parola al-yumn (اليمن), «successo/fortuna», eseguita in uno stile di scrittura corsivo. I punti diacritici della yā’ si trovano al di sopra della lettera anziché al di sotto e sono tre invece di due. La nūn finale a «collo di cigno», con terminazione superiore bilobata, ricorda la forma che spesso questa lettera assume nello stile di scrittura cufico. L'iscrizione, opera di un artigiano musulmano, rientra nella categoria delle epigrafi di natura beneaugurale caratterizzate dalla sequenza di una, due, o più parole di auspicio dedicate al possessore dell’oggetto, particolarmente frequenti su ceramiche e metalli, realizzate sia in scrittura cufica, sia in scrittura corsiva. Nei casi più frequenti la parola al-yumn è seguita da al-baraka, «benedizione», ed è utilizzata per introdurre una sequenza di parole beneaugurali in cufico, mentre la formula al-‘izz wa l-iqbāl, «gloria e successo», introduce quelle in corsivo.
Una fascia epigrafica molto simile a quella che orna il bacino che presentiamo si ritrova su tre coppe in ceramica provenienti, la prima, dall’Iran o Transoxiana (X secolo), le altre due dalla Siria (XIII secolo).
Particolare della facciata della chiesa di S. Teodoro a Pavia, risalente alla seconda metà del XII sec.
Ravenna Campanile di Sant'Apollinare Nuovo Periodo Fatimita, XI-XII sec.
San Miniato (Pisa) Duomo (Assunta) Originariamente decorata con 31 bacini.
Bacini distaccati da varie chiese del pisano ora nel Museo Nazionale di San Matteo a Pisa
Roma Santa Maria Maggiore, Campanile
Roma Santa Maria Maggiore, Campanile Particolare
Roma Santa Maria Maggiore, Campanile Particolare
Roma Santa Maria Maggiore, Campanile Particolare
Roma. Saint Paul’s Within the Walls San Paolo Entro le Mura
Chiesa Americana Episcopale
Fu costruita nel 1873 con Roma Capitale. Riproduce un campanile romanico e i bacini sono di vetro
Ceramica odierna da Fès e da Safi (Marocco)
Chiesa di San Giorgio a Bagnasco
Mortai di pietra in luogo dei bacini ceramici
San Giorgio di Bagnasco particolare con mortaio lapideo