Massaja
Lettere

Vol. 2

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Al signore Andrea Terret
presidente della Propagazione della Fede – Lione

P. 48Signor Presidente,

Gemma – Lagamara, li 8 dicembre 1856.

Nelle mie ultime lettere vi dava alcuni ragguagli intorno ai progressi della missione che mi è affidata. Quindi in poi, il principe Cassa, nuovo conquistatore dell’Abissinia, è venuto a Gojam, e mi ha forzato di abbandonare il Gudrou, ov’io aveva edificato quattro chiese e battezzato molte persone. Ma se ne togli queste perdite, abbiamo potuto, ad onta della guerra, conservare tutti gli altri luoghi, e dare il battesimo con tutte le usate solennità. Il numero de’ nostri nuovi cristiani monta a quattrocento, e fra questi, poco meno di cinquanta hanno ricevuto i sacramenti dell’Eucaristia e della Confermazione.

Lagamara, ov’io sto di presente, possiede due chiese; l’una, di pietre, è opera de’ giovani allievi e mia; l’altra è fabbricata in istile del paese. Gran numero di cristiani vi si raccolgono a suon di tamburo i giorni di festa, per udire la messa e la spiegazione del Vangelo.

P. 49 A Limu, si celebrano i santi misteri in luogo provvisorio. Il re musulmano del paese ha mille volte promesso di darci un terreno per fabbricarvi una cappella, e non abbiamo ancora ottenuto né il sito né la permissione. Alle nostre istanze oppone le circostanze politiche. Si sono, in fatti, ordite contro la sua persona parecchie /99/ congiure, dietro le quali egli condannò a morte tre figli suoi ed un principale ministro. In questa parte dunque del mio vicariato, i maomettani adoperano tutti gli sforzi loro ad inceppare la missione.

Abbiamo a Nonno una casa, ove i nostri sacerdoti si recano vicendevolmente a confessare ed ammaestrare. Ivi pure sarebbe molto necessaria una chiesa; ma ci mancano i mezzi per farla edificare.

Non sì tosto saranno cessate le guerre del Gudrou, faremo ritorno in quella provincia, che è una delle nostre più importanti stazioni.

Vedete per tanto, Signor Presidente, che noi siamo qua siccome servi inutili ad aspettare, che piaccia a Dio di renderci la libertà, per ripigliare i lavori cominciati in suo nome e per sua gloria. Presso di me stanno tre sacerdoti paesani, ed abbiamo in questi primi quattro anni formato un suddiacono, cinque chierici e sei giovani seminaristi, su cui si fondano tutte le mie speranze per propagare il Vangelo; conciosiacchè i sacerdoti del paese hanno sui compatrioti loro influenza molto più grande che i missionarj europei.

Quando lasciai l’Europa per venire nell’Abissinia, mi pensava entrare in un paese spoglio di credenze e di pregiudizi, e quindi m’immaginava, che la nostra santa religione toccherebbe facilmente il cuore dei Galla. M’ingannava, poiché ho trovato anzi [p. 50] un popolo idolatro, reso stupido da un culto assurdo, e imbevuto di superstizioni d’ogni maniera, che mi è d’uopo combattere di continuo. Il Galla adora tutti gli esseri creati, si prosterna davanti a tutti, ed a tutti paga un tributo. Non ho in quattro anni potuto ancora conoscere il numero degli dei che s’adorano qua: ne incontro ogni giorno de’ nuovi, sì che un grosso volume non basterebbe a registrarvi i nomi.

Ciascuna famiglia possiede un albero, che è il suo dio tutelare, e a cui, chi il crederebbe! dà uno di que’ nomi, che sono oggetto della nostra cristiana venerazione. Dio, la santa Vergine, S. Michele adorano e credono presenti in quegli alberi. Sono altre piante a cui danno il nome di Abbo, antica divinità abissiniana, ed altre, ch’essi credono possedute dal demonio o dal serpente tentatore. Non cessano mai di offrir loro oblazioni, e ciascuna famiglia si aduna una volta l’anno per immolare al suo dio pecore e buoi. Depongono al loro piede butirro, e birra in un gran vaso. Guai a chi questi antichi usi negligentasse! la sua freddezza sarebbe punita da mille flagelli. Alcuno fra questi alberi è divenuto celebre santuario, a cui vengono in pellegrinaggio da lontanissimi luoghi: grandi casse appese ai rami di quello, ricevono le limosine dei pellegrini. Povera gente! ivi, appiè d’un albero vengono a cercar consolazione, rimedio ai loro mali!

Ma se il tributo che i Galla offrono a questi dei è grave alle loro strettezze; quegli che al tutto gl’impoveriscono sono Callicia. Nella cultura Oromo vi sono sacerdoti-sciamani, denominati Qaalluu. Appartengono allo strato superiore delle tribù, e garantiscono la conservazione delle relazioni sociali. A partire dal XIX secolo si diffonde un’altra categoria di operatori sacri, amar. ቃልቻ qalləčča orom. qalličča; sono persone di condizione umile, che in seguito a possessione diventano capaci di operare magie. impostori, nel paese chiamati Callicia. Il Callicia è un mago, che pretende a suo talento disporre dell’avvenire: per danaro, il demonio che lo /100/ invasa, uccide quelli che muojono e rende la vita a quelli che guariscono. Dichiara la pace e la guerra, né alcuna [p. 51] cosa s’imprende mai, se prima non l’abbiano consultato. Muore egli un gran personaggio? «L’ho ucciso io, dice il Callicia, e ne farò morire un altro fra poco, se non mi placano con qualche offerta.» E tosto la famiglia del defunto va a deporre a’ piedi del mago quanto si trova avere di più prezioso. Malattie, guerre, viaggi, sono altrettanti fonti di ricchezze per questi astuti stregoni: però formicolano in questo paese: io ne conto più di cento nel mio distretto di Lagamara.

Si pratica ancora, nelle famiglie, un’altra specie di furberie. Non sì tosto una donna è stanca delle cure domestiche, si dà a proferire parole incoerenti e a fare gesti strani: ed è segno, che lo spirito Callo è disceso in lei. Ed ecco il marito suo prosternarsi ed adorarla. Perde il nome di donna, e chiamasi Signore: non è più soggetta ad alcun dovere domestico, e la volontà sua è legge divina. Immaginate or voi, quanto debb’essere grande il numero di questi Calli.

E finalmente, i Galla hanno una terza specie di Budda ቡዳ. buda In tutte le culture etiopiche il termine indica sia uno potenza cosmica malvagia, sia la persona caduta sotto il suo potere. Il B. viene spesso identificato con categorie marginali della società, o con artigiani itineranti dotati di particolari capacità tecniche (fabbri, conciatori, vasai, tessitori...)
I B. sono considerati capaci di tramutarsi in iene e altri animali.
fattucchieri, che Budda son nominati. Questi, si dice, trasformansi in bestie feroci, e particolarmente in iene, che hanno potenza d’uccidere gli uomini col solo sguardo. Sono universalmente esecrati, e li perseguitano con tanto accanimento, che ogni anno infiniti innocenti vengono ammazzati per questo delitto. Non è guari, un principe galla, mortalmente ferito in battaglia, dichiarò in punto di morte, ch’egli era ucciso da Buddi nascosti in casa. E tosto, prima che rendesse l’ultimo respiro, svenarono in sua presenza tre schiavi, dopo averli sottoposti, per assicurarsi del loro delitto, ad una prova infallibile: ed è questa. Danno a bere all’accusato un beveraggio inebbriante, preparato dai dottori del paese. Se l’accusato resiste agli [p. 52] effetti di quella droga, è dichiarato innocente, ma se per lo contrario ei cada in una specie di sopore e vaneggiando dica, essere budda, è morto. Questa pozione preparano con una pianta che qui cresce in gran copia. La pestano, la chiudono ermeticamente in un vaso, che mettono due o tre metri sotterra, ed ivi la lasciano fermentare un anno. Ho assaggiato questa pianta, ed ho sentito un’incredibile agitazione in tutti i nervi, e voglia di dormire. Se i nostri chimici d’Europa potessero farne l’analisi, riconoscerebbero forse le misteriose proprietà d’un beveraggio che tanti mali cagiona ai Galla, e che potrebbe un giorno darci la morte, se a taluno cadesse in mente di accusarci di buddismo.

Non ne verrei mai a capo, se volessi numerare tutti gli dei di questi miseri popoli. Le strade, i fiumi ricevono onori sacri; il medesimo accade degli uccelli, dei serpenti, a cui attribuiscono i terremoti, e li placano a forza di doni e digiuni prescritti dai Callicia. Questi maghi, che sui Galla esercitano infinita potenza, ordinano altresì le feste: e le leggi loro sono strettamente eseguite.

Vedete pertanto, Signore, come la superstizione incatena la vita di questo infelice popolo. Cerca appoggio, protezione dovunque, salvo dove veramente si trova: tanto è vero, che l’uomo op- /101/ presso dalla propria debolezza, prova il bisogno di ricorrere ad un Essere Supremo, di che ha il sentimento, e il chiede a tutta la natura. Beato chi entrò fin dall’infanzia nelle vie del Signore, e la cui anima si formò sotto il benefico influsso della nostra religione divina!

Non vi dirò che una sola parola intorno le guerre [p. 53] che desolano questo paese e gli tolgono due terzi del popolo. Il Galla è di sua natura guerriero; ma nell’ardore del combattimento piglia tutta la ferocità del tigre e pone la sua gloria e la sua felicità nel versare il sangue nemico, eziandio per tradimento. Morire di malattìa è cosa indegna del suo valore. S’ei cade sul campo di battaglia, colto da non mortale ferita, gli si toglie la sua qualità d’uomo, e, compita tal cerimonia, diventa un essere così immondo, che nessuno, senza eccettuarne pure i figli, non può soccorrerlo: e debb’essere privato degli onori della sepoltura.

L’ultima guerra ci è stata propizia, e la ragione è questa: gli abitanti di Lagamara vinsero quelli di Celia, saccheggiarono la loro città e la ridussero in cenere. Or bene, questa vittoria attribuirono all’essere noi qui presenti: guai a noi, se fossero stati vinti: la colpa era nostra. Forse Iddio si serve di questo pregiudizio a piegare verso la nostra dottrina gli spiriti di questi poveri Galla.

Li raccomando alle vostre ferventi orazioni ed a quelle de’ vostri pii Associati; e pregandovi di gradire i sensi del mio profondo rispetto, sono, ec.

† Fr. G. Massaja,
vicario apostolico