/21/

3.
Al Cairo:
monumenti, piena del Nilo e «ramadan».

Oggi il viaggio da Alessandria al Cairo si fa in poche ore sulla strada ferrata, ma in quel tempo in Egitto non si parlava ancora ne di vapori, ne di strada ferrata, epperciò bisognava rassegnarsi di andare o a cavallo di cameli o [di] asini, oppure in barca sul canale della Maomedia, così chiamato perche fatto da Mahumed Aly da Alessandria al Caïro. partenza da Alessandria
[28.7.1846]
ed arrivo al Cairo
[31.7.1846].
Preparati perciò tutti i nostri affari, e nolegiata una piccola barca, in due giorni circa siamo arrivati in vista delle famose Piramidi, e poco dopo al Caïro, dove i religiosi del Convento di Terra Santa, avvertiti prima per posta, vennero ad incontrarci, e così, rimasto con loro il solo Fr. Pasquale [p. 38] noi abbiamo preso direttamente la via del Convento, dove fummo ricevuti colla massima cordialità da quei buoni Padri Osservanti di Terra Santa. Come questo convento non aveva un numero sufficiente di stanze, il P. Giusto ed il P. Cesare passarono al piccolo Convento dei riformati tutto vicino, a segno che la sera andando sul terazzo a prendere il fresco potevamo incontrarci, e passeggiare insieme.

Sia detto una volta per sempre, in questa storia io non mi trattengo in descrizioni geografiche, o istoriche di qualsiasi genere, come cose già dette e ridette le mille volte, e che si possono trovare altrove con tutta facilità; fuori del nostro viaggio, mi contenterò di notare le cose che possono, o direttamente oppure indirettamente interessare la causa delle missioni e delle anime, per il resto noto solo le cose [per] di più elementari e di prima necessità.

Cairo capitale dell’Egitto Il Cairo è la vera capitale dell’Egitto, dove risiede abitualmente il governo, e dove il Viceré passa la maggior parte dell’anno, e particolarmente nella stagione fredda, come paese più caldo; nel forte dell’estate se ne sta in Alessandria come paese più fresco. I consoli generali delle potenze, e lo stesso nostro Monsignore Delegato hanno casa in Alessandria ed in Cairo, e seguono per lo più lo stesso sistema, benché il Cairo /22/ abbia in particolare [p. 39] anche un console di secondo ordine, e subordinati ai Consoli generali, la gran cancelleria dei quali è sempre in Alessandria, come porto di mare. Il Cairo è la città vicina alla Memfi antica, ma non è nello stesso luogo; essa vi era già in tempo dei Cesari e di nostro Signore; probabilmente era il luogo dove si stabilirono i giudei profughi dalla Palestina nelle varie circostanze di torbidi, e specialmente in tempo della schiavitù di Babilonia, è il luogo dove oggi si dice il Cairo vecchio, casa della Madonna dove esiste la casa della Madonna, la quale oggi è una Chiesa appartenente ai Copti eretici; la gran Città del Cairo, chiamata la città della cento moschee, è di una data molto posteriore, stata fabricata sotto il dominio mussulmano, detta perciò città di Kaliffi, ossia dei nobili mussulmani. antico convento dei Cap.ni Anticamente esisteva in Cairo ancora un nostro Convento, di dove si suppongono partiti i Cappuccini andati in Abissinia circa mezzo secolo dopo l’espulzione dei Gesuiti, e martirizzati in Gondar. albero della Madonna Oltre all’anzidetto in Caïro avvi di particolare l’albero della Madonna, cosa veramente che ha del prodigioso; è un ficomoro vicino ad una fontana, dove si suppone rimasta la Madonna qualche tempo mentre S. Giuseppe andò alla Città per cercare il luogo di dimora frà gli ebbrei. le piramidi
[25.8.1946]
e la selva impietrita
Di monumenti vi sono le Piramidi [p. 40] dalla parte opposta del Nilo, vicino al luogo dell’antica Memfi. Io con tutti i miei missionarii le abbiamo visitate, e siamo montati sopra alla più alta, dove fece la collazione Napoleone. Di altre cose notabili esiste ancora la selva impietrita, cosa che interessa le persone che si occupano di queste specialità. calcolo aprossimativo della popolazione di Alessandria, e di Caïro. Quando venni la prima volta in Alessandria i cattolici appena si contavano poco più di tre mille, oggi se ne contano più di 15. mille; prima la città non arrivava ai cento mille, oggi farà 150. mille. Il Caïro contava 300. mille [abitanti], dei quali 50. si dicevano cristiani di tutte le sette; oggi la colonia europea è molto cresciuta in Cairo; la città prima era quasi tutta araba mussulmana fanatica; gli europei restavano in un borgo a parte chiuso di notte per la sicurezza; oggi è divenuta città europea. stabilimenti religiosi di Caïro. Oltre i Padri di Terra Santa, i quali contano oltre il Convento, tre cappellanie in città; avvi il picolo Convento che si occupa dei Copti già sopra citato; vi sono i Gesuiti che stanno fabricando; vi si trovano i Fratelli della dottrina cristiana, vi sono le monache del buon Pastore di Anger[s], vi sono le clarisse, le suore di S. Giuseppe dell’apparizione, e le Dame di Francia. numero di vescovi e patriarchi cattolici ed eretici Vi sono quattro vescovi cattolici dei diversi riti; e poi cinque Vescovi eretici, e due Patriarchi. Vi è niente da fare in Cairo frà i mussulmani, ma la missione avrebbe molto da fare colla popolazione eretica dei diversi riti; sgraziatamente però il clero orientale cattolico è molto deboluccio, [p. 41] e se ne cura molto poco, vede anzi mal volontieri il clero latino quando ne prende parte; se a /23/ questi riesce di far proseliti poca speranza di conversioni difficoltà per causa dei riti diversi. il povero missionario latino non può amministrare al nuovo proselito i Sacramenti, ma dopo di essersi affaticato deve consegnarlo al clero orientale altrimenti siamo a guai, perché la giurisdizione è [affidata] a loro; un missionario che abbia un domestico di rito orientale non può amministrargli i Sacramenti, e se muore il prete levantino viene a prendere il cadavere in casa sua. Tutte queste cose inceppano molto il ministero.

In tutto il tempo che sono rimasto in Cairo ho conosciuto due Vescovi cattolici, uno era Monsignore Abocarim, venerando vecchio, vescovo dei Copti Cattolici, il cui nome è in benedizione ancora attualmente dopo 25. anni circa dacché è morto. L’altro è Monsignore Basilio Vescovo greco, anche questi persona molto zelante. Essendo entrambi antichi allievi della Propaganda che sapevano bene l’italiano, ed essendo io nuovo missionario, con nuovo zelo non gli lasciava vivere in pace, sempre facendo loro questioni: sentenze di due venerandi vescovi levantini di Cairo Monsignor mio, Lei non conosce l’oriente; anche noi sortiti dalla Propaganda siamo venuti con gran buona volontà, col cuore pieno di zelo, ma creda pure che il prete levantino [p. 42] dopo che ha detto la sua Messa ha fatto tutto e non vuole sapere più ne di predicare, ne d’istruire: noi predichiamo, noi raccomandiamo; il popolo sarebbe ancora ben disposto a sentire, ma i Preti non ne vogliono sapere; anzi se mai qualcheduno incommincia [a] mostrare un poco di zelo la critica degli altri lo vince, e finirà per lasciare.

arrivo del P. Felicissimo
[21.7.1846],
elezione di Pio IX.
[16.6.1846],
ovazioni, ordine di Propaganda di recarmi a Massawa
[13.8.1846],
e somme ricevute dal Papa defunto.
Dopo la metà di Luglio arrivò da Roma il P. Felicissimo da Cortemilia mio studente destinato come terzo missionario. Portava da Roma notizie molto consolanti sull’elezione di Pio IX. fatta nei terzo giorno del conclave e grandi feste in Roma; il partito liberale faceva grandi ovazioni al nuovo Papa per indurlo all’amnistia: l’eco di quelle ovazioni incomminciava anche in Egitto frà i liberali. Alcuni esiliati erano come furiosi ed avrebbero voluto partire, ma contrastavano i rispettivi consoli. Io poi in modo particolare fui consolato per una somma che mi fù spedita dalla commissione incaricata dell’esecuzione testamentaria del defunto Pontefice Gregorio XVI. il quale si ricordò di me, come ultimo vescovo fatto da lui. Una lettera ricevuta dalla S. C. di Propaganda finì la questione sul progetto del nostro viaggio per la via del Nilo; in questa lettera vi era l’ordine di partire direttamente per Massawah, essendo io incaricato di andare [p. 43] al più presto al Tigrè, regno al nord dell’Abissinia, dove il Signor Dejacobis Prefetto della missione aveva bisogno del mio, ministero. In conseguenza di ciò scrissi subito al Signor Cerruti che non poteva aver luogo più la nostra partenza per la via del Nilo, trovandomi obligato da ordini superiori a prendere invece /24/ la strada di Suez e del mare rosso per recarmi a Massawa. opposizioni [di] Valieri Il Signor Vallieri che già era venuto in Cairo si trovò molto contrariato, e scrisse al suddetto Console Generale Cerruti, ma tutto fu inutile. Questo Signor Vallieri mi oppose che aveva già delle spese fatte a nostro conto, ma a questo [riguardo] gli ho risposto di presentarmi le note, e che tutto si sarebbe aggiustato (1a). Scrissi pure al Console Generale Francese ed a Monsignore Delegato, annunziando loro la mia prossima partenza per Suez, e per Massawah pregandoli di ottenermi dal governo le opportune raccomandazioni, sia per il tragitto del deserto sino a Suez, si ancora per il Governatore di Suez, e per il Vice console francese di detta Città.

[7.8.1846] Per mezzo del Vapore ultimo venuto ho ricevuto risposta del Consiglio centrale di Lione, il quale mi spediva una cambiale di 15. mille franchi, accompagnata da una lettera del Marchese d’Herculais, il quale mi assicurava di prendere sopra di se la causa della Missione nostra presso il Consiglio centrale suddetto.

[p. 44] Cangio della moneta fatto da Fatalla Mardrus. Ho ringraziato dunque Iddio che tutte le cose nostre fossero [tutte] come finite. Non ci restava altro più che organizzare il viaggio per Suez, e cangiare le monete, perché in Abissinia non corre altra moneta che il tallero di Maria Teresa. Per questa ultima operazione il superiore del Convento mi diede un bravo giovane armeno cattolico per nome Fatalla Mardrus, il quale in tre giorni mi procurò circa tre mille talleri di Maria Teresa, scielti per l’Abissinia con tutti i segni che si richiedono (1b) colà pagando il prezzo del cangio secondo il mercato.

/25/ difficoltà del deserto La gran difficoltà era quella del viaggio. Come allora non si parlava ancora di strade ferrate bisognava andare sopra i cameli, oppure sopra gli asini: per andare sopra i cameli commodamente vi volevano tre giorni di viaggio: alla presenza di un console si faceva il contratto con un capo di carovana approvato dal governo col prezzo in proporzione del bagaglio, e delle cavalcature o di asino, oppure di camelo, e poi egli si rendeva risponsabile di tutto; noi, non ancora abituati e troppo stranieri a tutti questi usi eravamo un poco in timore, ma Iddio venne in nostro soccorso. Conoscenza del signor Ennes impiegato al transito inglese. Alcuni amici mi fecero conoscere [con] un’impiegato del transito inglese da poco tempo stabilito per i soli inglesi che dall’Europa passavano alle Indie. Come i cavalli non potevano restare in Suez, paese molto caldo, dove non si trovava ne erba ne fieno, e neanche aqua [p. 45] buona per questi animali molto delicati, il gran deposito dei cavalli e vetture restava ordinariamente in Cairo, e si spedivano a Suez ed alle stazioni che vi erano nel deserto per il cangio solamente quando si avvicinava il giorno dell’arrivo a Suez del vapore che veniva dalle Indie coi passeggieri; ora con una grande raccomandazione presso l’amministrazione del Transito, con qualche riduzione di prezzo si poteva cogliere l’occasione che dette vetture discendevano vuote; avendo trovata questa raccomandazione, coll’ajuto del nostro bravo impiegato cattolico, abbiamo potuto aggiustare il nostro affare molto bene, aspettando solo qualche giorno di più.

Pontificale per l’Assunta. Apertura del Nilo, gran festa civile, e pagana. Prima però di narrare la nostra partenza dal Cairo debbo brevemente notare due cose. Correva la solennità dell’Assunta, nella quale ho fatto il Pontificale nella nostra Chiesa del Convento; mentre noi eravamo più in cielo che in terra per la dolce solennità della Madonna, la città del Cairo faceva anch’essa una grande festa che metteva in movimento tutta la popolazione, ma festa di tutt’altro ordine, perche solennità ne Cristiana ne mussulmana, ma sibbene pagana nel più rigoroso senso, celebrando la piena del Nilo arrivato [p. 46] al suo apogeo. la piena del Nilo misura dell’abbondanza. Per comprendere questa gran festa nazionale bisogna sapere che tutta la richezza dell’Egitto sta nella maggiore o minore pienezza del Nilo, e tutto l’opposto dei nostri paesi, là la piena del fiume è la vita del paese, mentre per noi qui la piena è un vero flagello; già dal tempo dei Faraoni si soleva misurare l’altezza dell’aqua, come segnale certo di abbondanza o /26/ di carestia. cerimonia nell’apertura del canale Nei tempi pagani quando il Nilo arrivava ad una certa altezza si faceva questa grande solennità con sacrifizii ed oblazioni di ogni genere; fra le altre cose una donzella vestita a nozze, e come pretendono alcuni anche un garzone vestito in gran gala erano gettati nel fiume (1c) con una quantità di animali di ogni specie. Costume però che si corresse in molte cose sotto i governi cristiani, benché la solennità [non] abbia mai cessato di farsi. Quindeci g[i]orni prima si assiuga il canale che parte dal Nilo, ed attraversa tutta la città e si purga, e così se ne sta preparato ad aspettare l’apertura, la quale ha luogo subito [che] tutte le autorità in gran gala han fatto le oblazioni di uso; a misura che il canale si riempie è incredibile la folla che si vede sulle rive del medesimo che si disputa[no] per bagnarsi in quelle aque benedette; nei luoghi dove vi sono fabricati sul bordo del canale [p. 47] ho veduto delle donne dal secondo e terzo piano con delle corde calare dei piccoli ragazzi di meno di un’anno per bagnarli. Dopo poi passati due o tre giorni, dopo che il canale è ben lavato, e passate le aque immonde da tutte quelle lavature, allora si riempiono poi le cisterne dei particolari per aver l’aqua più pura e fresca da bere.

digiuno del ramadan
[22.8.1846]
e dell’egira
La seconda cosa curiosa è il digiuno del mese o luna detta Ramadan, il quale nell’anno 1846. era la luna di Agosto. Già si sa [che] l’anno dell’Egira è di dodeci mesi lunari, il quale conta solo 354. [giorni], perché la luna ha solo 29. giorni e qualche ora, ed ogni anno lunare ha 11. giorni in meno, i quali formano la differenza dell’Eppata per egualizzarlo coll’anno solare. Questo fa [che] le solennità mussulmane anticipano ogni anno di 11. giorni, e dopo 35. anni ritornano allo stesso punto, aggiungendo un’anno di più facendo 36. anni, mentre nel nostro calcolo solare sono solamente 35, ed in ogni secolo l’Eggira guadagna tre anni. Ciò detto venendo al digiuno mussulmano, è una curiosità il vedere i mussulmani prepararsi per il digiuno come noi usiamo prepararci per una gran festa con delle provviste più del solito; così nel paese mussulmano all’avvicinarsi del digiuno si vedono i poveri girare /27/ [p. 48] per il paese [girare] domandando [domando] l’elemosina per potere digiunare, cioè per poter comprare della carne e qualche cosa d’altro per poter fare il digiuno. La ragione è, perché il digiuno loro non è una mortificazione, ma una semplice osservanza esteriore, la quale ha una specie di valore sacramentale, non come mortificazione, come presso di noi, ma come semplice osservanza. Per questa ragione il digiuno per loro è un vero baccanale: solamente tutto si fa di notte dopo l’entrata del sole sino alla levata del medesimo; di giorno, ne mangiano, ne bevono, e neanche fumano tabacco, mentre di notte possono mangiare tutta la notte e fare tutte le stravaganze che vogliono: nei paesi puramente mussulmani non si fa che cangiare il giorno nella notte[:] si dorme di giorno e si veglia di notte, e gli stessi uffizii del governo di giorno sono chiuso (1d). È bene saper questo, perche in Levante il digiuno anche dei cristiani in certo modo nel fondo ha un valore simile; ed è un poco per questo che il levantino è molto rigoroso per il digiuno, e si vedono questi [ad] osservarlo rigorosamente, mentre non si fanno scrupolo a rubare o commettere altri misfatti; ed è anche per questa ragione che i levantini, (ben soventi anche i nostri cattolici) restano scandalizzati di noi latini, [p. 49] perché considerando noi il digiuno in diverso senso, in esso siamo più facili a dispensare, e siamo in esso meno schiavi della lettera, ma più del senso, voluto e inteso dalla legge; la natura, o meglio l’educazione levantina, divenuta come natura, è farisaica, ed amica della giustizia esteriore dell’antico testamento, e penetra meno all’interno secondo lo spirito del Vangelo.


(1a) Questo Signor Vallieri, specie di cavaliere d’industria cercava di mangiare il poco capitale che avevamo, almeno così io [ne] dubitava di lui dietro informazioni. Dopo la nostra partenza per il mare rosso, egli pure partì per Kartum in qualità di agente consolare sardo. Non so per qual motivo, dopo circa due anni, ebbe questioni col governo; la polizia d’egitto, probabilmente d’accordo col Consolato generale sardo, cercandolo, egli si ritirò in casa sua, proprietà della missione lazzarista, e ben armato ha potuto resistere due giorni alla questura; in capo a due giorni, mancando le proviste pagò tutti i debiti cogli uomini col suicidio. Io ho sentito tre anni dopo questa dolorosa notizia e ne ringraziai il Signore d’avermi liberato da questo pezzo d’ira di Dio, il quale certamente ci avrebbe rovinati; rovinato cioè nei fondi, ai quali egli più di tutto aspirava; rovinata poi la povera nuova missione nei suoi giovani missio- [p. 44] nari senza esperienza, sui quali già aveva preso molto ascendente nei pochi giorni che precedettero il mio arrivo in Alessandria. Il Signor Cerruti Console Generale Sardo era una persona molto buona e cara di Genova, ma appunto perché molto buono, forze troppo credulo, e fisso di farci un servizio mi [die]diede un gran disturbo proteggendo questo Vallieri; qualche anno dopo egli stesso ha dovuto conoscerlo, perché la questura egiziana [perché la questura egiziana], senza la sua approvazione non avrebbe potuto agire. [Torna al testo ]

(1b) Quando si dice tallero di Maria Teresa in Abissinia non s’intende qualunque tallero austriaco, ma bensì il tallero di M.a Teresa, come stampato nel 1780. ultimo anno di questa imperatrice[:] /25/ colla corona con un numero determinato di punti, colla stella nel petto parimenti con [un] numero determinato di punti che siano ben visibili; quindi colle due lettere S. F. a basso. Senza questi tre segni ben visibili, il tallero, anche di M. Teresa, può servire nei gran pagamenti fra i gran mercanti, ma non sui mercati indigeni senza esporsi a perdite. Io ho conosciuto molte leggi publicate contro questi pregiudizii, ma tutto fù inutile, perché si opporrebbe ad un traffico di cangio, sul quale molti guadagnano e vivono. [Torna al testo ]

(1c) È cosa certissima che il Nilo era una delle più notabili divinità dell’Egitto dei Faraoni, ed in questo senso si facevano queste oblazioni o sacrifizii che si vogliano chiamare. Il Cristianesimo solo ha potuto dominare tutte queste superstizioni, benché non dapertutto egualmente, ma solo nei luoghi dove ha potuto dominare per intiero il cuore dei popoli. Per questa ragione noi troviamo ancora segnali di questo culto dei fiumi in molti luoghi. lo l’ho trovato nel Fasuglu, e sopra Gassan; quindi venendo in Abissinia, benché meno visibile, pure non mancava; nei paesi Galla poi nei viaggi era una cosa come ordinaria, perché prima di passare il fiume sempre si gettava qualche cosa, ed il popolaccio non avendo altro vi gettava dell’erba. In Kafa [questo culto dei fiumi è in uso] più che ovunque, perché nel mio esilio del 1861. passando il Goggieb accompagnato dai soldati ho osservato anzi un certo cerimoniale, come dirò a suo tempo. [Torna al testo ]

(1d) Ho descritto in breve il digiuno dei mussulmani, non per una sola curiosità, e neanche [perché] io vegga qui dentro un’interesse di saperlo, ma unicamente per far conoscere sempre più il gran caos che ci separa da questa razza [di]sgraziata; è questa una delle malattie che la rende insanabile, servendo alla medesima moltissimo per acciecarla. Frà il basso popolo cristiano e mussulmano, quando si solleva fra loro la questione delle diverse religioni, non si parla più di dogma, cosa per loro affatto estranea. Il mussulmano esalta il suo digiuno, ed il cristiano loda il proprio digiuno, e per il basso popolo tutta la questione sta nel digiuno. Più i popoli si allontanano dai centri orientali verso il sud non si parla più di religione mussulmana o cristiana, ma si parla unicamente del digiuno: il tale è passato al digiuno mussulmano, per dire che si è fatto mussulmano; così all’opposto del mussulmano che si è fatto cristiano. Quando a suo tempo porterò le lunghe conferenze fatte in Kartum con un Bey ex ministro d’Egitto, allora dalla sua bocca si vedrà dei protestanti e dei Cattolici qual giudizio se ne fa dai mussulmani, taciando i nostri Protestanti come atei, perché mancano di religione esteriore sopratutto di digiuno.
Il Sacerdote che va ad evangelizzare il Levante deve conoscer bene queste cose per sapere come maneggiare queste popolazioni, non solo mus- [p. 49] sulmane, ma anche cristiane, le quali dal contatto han preso molto di questa malattia, se non vogliono vedere sterile affatto il loro ministero per una prevenzione contraria che senza saperlo fanno precedere. Io parlo per esperienza di 30. e più anni in Abissinia. Gli abissinesi pellegrini a Gerusalemme prendono più dai Greci che da noi per questa ragione, fra le altre molte. [Torna al testo ]