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16.
Nel Tigre
tra doganieri, militari e belve.

arrivo al Takazzè,
e vi passiamo la notte.
Da Waldubà in tre giorni già eravamo a passare il fiume Takazè, il quale ci presento nessuna difficoltà, essendo nella stagione del suo maggiore abbassamento; l’abbiamo passato diffatti che l’aqua in nessun punto arriva a mezza gamba.

notizia di Agirisch. [p. 225] Mentre noi stavamo passando il fiume discendeva dall’altra parte una piccola carovana di gente che veniva da Adoa; ho domandato notizie di ciò che si passava dall’altra parte, e mi dissero che alla stazione dei doganieri, con questi si trovava Agirisch, un negoziante egiziano, detto volgarmente il fratello dell’Abuna, perché faceva il commercio in gran parte per il Vescovo Salama. Questa notizia mi sconcertò non poco. Come si faceva notte, ed anche i mercanti venuti pensavano [di] passarla sul bordo del Takazzè ho risolto anche io di restarvi per aver tempo a riflettere sul partito migliore da prendere.

seria conferenza con servi.
chi è Agirisch.
Agirisch era uno di questi Copti furbi, persona venduta ad Abba Salama; questi coll’appoggio dei doganieri, per poco che avesse dubitato non avrebbe mancato di farmi legare. Appena fatta un poco di cena ho preso i miei due servi da parte, e senza esternare loro i miei timori per non metterli in sospetto più di quello che [che] potevano pensare: come se la passeremo coi doganieri[?], dissi loro; questa sorta di gente per mangiare [p. 226] sono capaci di fare tutte le bassezze immaginabili; quando poi vedono un Frangi (1a) credono che abbia dei carichi di talleri, e possono darci dei disturbi. Ditegli che io sono un poveracio che me ne parto disgustato dall’Abissinia, in questo modo aggiustate le cose; per parte mia io non so la lingua e non darò loro risposta. Prima /139/ tagliata la barba, annerito il volto, e vestito di straci che cadono in pezzi, ho salito la riva. ancora di separarmi dal P. Giusto mi era tagliato un poco la barba, e colla soluzione di nitrato d’argento aveva fatto certe macchie nella figura che potevano ingannare anche coloro che casualmente mi avevano veduto prima. Le mie vesti poi facevano compassione: due pantaloni ed una camicia tutte straciate con sulle spalle una tela più grossolana di quella dei servi.

In questo stato, e con queste intelligenze ci siamo messi in viaggio ed abbiamo salito la montata abbastanza lunga del Takazzè. Arrivati in cima, appena messo il primo piede sull’alto piano, abbiamo veduto là le capanne dei doganieri, e mentre io con uno dei servi continuavamo la nostra strada, l’altro dei servi s’incamminò verso la dogana alquanto scartata dalla strada, ed io benché un poco zoppo per una piaga che aveva nel piede, pure mi faceva coraggio a camminare, felice di passare quel pericolo; il doganiere sortito dalla sua capanna esaminò un momento gli otri del carico, e vedendo che non c’era altro che un poco d’orzo da una parte ed un poco di farina dall’altra, con poche masserizie di cucina per fare il pane, e per [p. 227] far bollire un poco di caffè, ricevette il suo sale (sal gemma (1b) che serve di moneta) e congedò il servo. Io che aveva passato la notte in timori che non mi arrivasse qualche cosa, quando viddi il servo [a] venire in pace esultai di contentezza nel mio cuore, ed affrettava il passo quanto poteva. mentre andavamo veniamo chiamati, Agirisch viene, io non so rispondere, sono disprezzato e lasciato, bella risposta del servo. Eravamo già a circa mezzo kilometro di distanza, quando dalle capanne ci chiamarono dicendoci di aspettare, allora un brivido mi assail; dissi al servo che conduceva l’asino di aspettare, egli, mentre noi cercavamo di continuare il’nostro viaggio; ecco che viene Agirisch, il quale molte domande al servo, ma il buon servo se la cavò molto bene; io era già lontano, ma sentiva tutto; gli domandò di Abba Messias dove era, ed egli rispose che aveva sentito dire che lo aspettavano, a Gondar, e che il Governatore aveva ricevuto ordine da Ras Aly di mandarlo per la via di matamma; poi, gli domandò[:] chi [è] quello[?], segnando me colla mano, allora egli quasi sdegnato rispose: è un mezzo matto che non sa parlare; allora Agirisch fece un’atto di disprezzo, e se ne ritornò; così finì la gran questione.

Liberato da questo impicio, abbiamo raddoppiato il passo fortunato io sopratutti di cavarmela senza imbrogli. Abbiamo camminato una buona mezz’ora per arrivare alla divisione delle strade di Adoa e dell’Amassen; /140/ presa quest’ultima, lasciando quella a diritta più al sud, a mezzo giorno ci siamo arrestati per fare un poco di pranzo, e lasciare mangiare [p. 228] un poco il povero asinello il quale la sera avanti vicino al fiume Takazè non aveva trovato di che mangiare. la sera di notte arrivo ad un piccolo villagio di pastori di abba Salama. Siamo partiti alle due, e camminammo sino a notte per raggiungere un piccolo villaggio nel quale ci siamo rifugiati, e trovammo appena un poco di pane ed un poco di latte per nutrirci.

Mentre mangiavamo quel poco che si è trovato io stava quieto ascoltando attentamente i discorsi che si stavano facendo da alcuni che parlavano coi miei servi, e mi sono accorto che eravamo proprio in un villagio appartenente al Vescovo Salama, dove ogni giorno veniva da Adoa un suo servo per il controllo del latte, veniva la sera, e veduto il latte della sera e quello del mattino, se ne ritornava in Adoa col medesimo. Vedendo che esisteva anche là un servo del Vescovo Salama, allora secretamente rivolto ad un paesano vecchio gli dissi che io aveva molta premura di partire nella notte, che si trovasse pronto al primo canto del gallo per accompagnarmi sino al giorno, gli avrei dato un sale. Quindi dissi ai [ai] due servi di mettersi subito a dormire, perché voleva partire al primo canto del gallo, non avendo più che quattro giorni di tempo per arrivare a Massawah. (1c)

prendo una guida e parto al canto del gallo. Per assicurarmi ho voluto che l’uomo che doveva guidarci dormisse vicino a me; ho riposato un poco, ma dormire non mi è stato possibile. Appena ho sentito che il Gallo batteva le ali per cantare mi sono alzato, ho fatto alzare la guida, ma i due ragazzi vinti dal sonno mi fecero tribulare, ma poi si alzarono, e così siamo partiti subito senza salutare nessuno.

[p. 229] Partiti coi benefizio della luna nella notte siamo entrati in un bosco di così detti bambu, e camminavamo sulla cresta di una collinetta; il sentiero era coperto, e umbregiato da questa specie di canne che impedivano anche il chiarore della luna. era l’aurora,
un poco avanti tutto solo passa un leopardo.
Come si approssimava l’aurora io camminava avanti tutto solo facendo le mie preghiere, a bassa voce stava cantando le litanie della Madonna, e sento da una parte cammina- /141/ re un non so che facendo un rumore confuso; guardai indietro e nessun segnale dei ragazzi; a misura che l’animale si avvanzava, dapprima l’ho creduto una jena e non mi fece grande impressione, ma non tardai ad accorgermi che era un leopardo, allora mi sono fermato inviluppandomi bene nella tela sino ai piedi, lasciando solo un buco ad un’occhio, onde vedere il mio conto. L’animale arrivò sul sentiero a tre o quattro mettri avanti di me e restava a guardarmi. La [mia] mano sotto le vesti teneva stretta la croce e replicava benedizioni; come era la prima volta che m’incontrava con un’animale simile tutto solo, e di notte, il cuore mi batteva, in modo che se avesse tardato ancora non saprei cosa mi sarebbe accaduto; per fortuna dopo un poco di tempo [il leopardo] continuò il suo viaggio discendendo dall’altra parte della collina. Se fosse oggi non mi farebbe niente, perché sono accostumato, ma l’impressione di quel momento mi durò più di un’anno, e quando mi veniva, massime di notte mi sentiva un brivido.

Dopo poco arrivarono i giovani e parlando con essi il cuore si calmò. Allo spuntare del giorno la guida ricevette il suo sale e se ne ritornò. Noi poi sortiti dalla boscaglia [p. 230] siamo entrati in una vastissima pianura piena di erba matura e secca di un’altezza tale che noi camminandovi dentro eravamo come sepolti. I paesani, secondo l’uso loro quando incommincia la primavera, quando detta erba è matura e secca, sogliono appiccare il fuoco, perché altrimenti venendo poi le pioggie marcirebbe e produrrebbe le febbri, oppure anche per purgare quei terreni dai serpenti, ed altri cattivi animali o insetti; di quella stessa mattina avevano appiccato il fuoco in molti punti dell’estremità; cattivo passo di una pianura di erba in fuoco. abbiamo camminato là dentro sino alle dieci senza nessun pericolo, perché il fuoco era molto lontano; tutto all’improvviso una buffera di impet[u]osissimo vento simile a certe così dette trombe marine, le quali sono molto communi in simili pianure frammezzo colline o montagne per l’incontro di varie correnti, propagò così repentinamente quel fuoco, che ci trovammo circondati dovunque, e non sapevamo più dove fuggire; correvamo a galoppo tenendo sempre il nostro sentiero, e ci riuscì con gran stento di salvarci in un torrente che aveva il letto largo e sabbioso; l’asino che fù un poco pigro soffrì, ed ebbe la coda abbruciata.

un serpente che salta in aria e ricade nel fuoco. Mentre eravamo frammezzo al fuoco abbiamo veduto certi scherzi curiosi di animali che furono vittima: frà gli altri un serpente, vedendosi assalito dal fuoco dovunque, si lanciò in aria ad un’altezza straordinaria, ma poi, come è chiaro, cadde vittima nel fuoco. Alcuni animali ci seguivano vicinissimi senza temerci. Arrivati nel torrente trovandovi un poco /142/ d’aqua abbiamo fatto un poco di pranzo, e preso un poco di [p. 231] riposo: noi eravamo così stanchi che desideravamo più di dormire che non di mangiare. Dopo qualche ora di riposo ci siamo rimessi in viaggio per trovare un villaggio, e ci siamo arrivati verso le cinque; era quel villaggio sull’estremità della Provincia di Gondet.

arrivo a Gondet l’indomani;
consiglio per attraversare l’Amassen,
ma degiace Escetu vi girava colla sua armata.
L’indomani abbiamo camminato solamente qualche ora per arrivare a Gondet villaggio principale, dove vi era un poco di mercato per comprarci qualche cosa; ed abbiamo riposato tutta is giornata. Stavamo facendo consiglio sulla strada da prendere l’indomani per attraversare l’Amassen, ma fummo ben imbarazzati, perché Degiace Escietù primogenito di Ubiè si trovava in giro nell’Amassen unicamente per far mangiare del pane ai suoi soldati; le popolazioni perciò erano tutte in fuga coi loro bestiami verso le frontiere, ed in simili circostanze sia il popolo, che lo stesso soldato è meno subordinato, epperciò più pericoloso per i viandanti. In queste circostanze i mercati cessano per timore delle rappresaglie, i grani si nascondono, i bestiami non ci son più, ed i villagi sono vuoti, appena si trova qualche custode delle loro capanne.

ragioni per cui l’Abissinia non può prosperare,
ne restare in pace,
Questa è la gran piaga della povera Abissinia. Da quasi due secoli a questa parte non è più la legge che governa, ma la forza del momento, e la forza brutale; non vi è più successione ne diritto ereditario, e fintanto che dura la forza di uno dura il suo go- [p. 232] verno, ma dal momento che un’altro ha potuto guadagnarsi la simpatia dei soldati e può misurarsi, col principe regnante, incommincia la guerra civile, flagello terribile, perche allora vi sono due leoni che di disputano la preda, fino a tanto che riesca ad uno di vincere, allora incommincia una finta tregua, perché la malattia non è curata, ed ecco il perché:

Come il governo non ha finanze, e non ha capitali per pagare i soldati; per altra parte ha bisogno di molti soldati per sostenersi, il temporaneo principe deve accaparrarseli permettendo di gettarsi sopra i popoli a rubare, a prendere e ad minus per mangi[i]are; altrimenti i suoi soldati lo tradiranno e si metteranno con un’altro che gli lascii mangiare. In questo stato di cose, ne il principe non può più pensare al bene dei suoi popoli, ne i popoli possono amarlo, come loro vero distruttore.

si sperava sempre che l’Europa avrebbe educata l’Abissinia,
invece l’Europa corre gran passi alla rovina in cui si trova l’Abissinia.
Primo passo l’aumento delle truppe, e degli impiegati, moltiplicando i tributi.
secondo passo: abbandonando l’ente religioso e morale,
e sollevando l’orgoglio popolare.
In Europa l’abitudine dei popoli di vivere con un governo organizzato salva ancora per qualche tempo il paese dall’anarchia abissina, ma si corre là a gran passi; a misura che non è più la legge che governa, ma la forza brutale del più forte; le pretenzioni del popolo che tendono a mangiare senza lavorare, hanno moltiplicato in modo straordinario i pretendenti, che per dare da mangiare a tutti questi si sono moltiplicati /143/ dei quattro quinti gli impiegati e soldati, unicamente [p. 233] per mantenere precariamente ancora per qualche tempo l’organismo sociale in piedi moltiplicando i debiti all’infinito, debiti che non si pagheranno mai più: si grida contro i governi, si grida contro i ministri per imposte divenute impossibili, ma tutto inutile, non è il Re, non sono i ministri [i responsabili], è vizio di sistema, è malattia di società che ci conduce alla morte sociale, che è l’anarchia; come in Abissinia tutti cercheranno di fuggire lo stato della classe passiva, o emigrando, oppure passando ad un stato nominale di servizio publico.

Ora [siamo come] una macchina in cui tutti gli ordegni sono sortiti dal posto suo e si sono gettati in uno stato violento. Avete bell’inventare termini ampollosi di civiltà, di progresso, di libertà, e via dicendo, per ubbriacare i popoli e stabilire e rendere normale lo spirito di vertigine; ma badate che non sono i termini che riformano la società, ma i costumi, le azioni, le operazioni, i calcoli, e sopratutto la fede che ne è la base, la quale scopre una monarchia invisibile ed una forza che tutto move e tutto governa; quella che tiene la base delle masse al posto loro per mantenervi, ed impone alle autorità per governarle paternamente e con giustizia; quella che tiene l’equilibrio nei cuori, e calma le pretenzioni di salire più in alto; quella finalmente che apre la porta ad una speranza futura che basta per tutto compensare.

[p. 234] Ma una volta scomparsi tutti questi bei capitali, fino a tanto che vedrete i poveri contadini oppressi che emigra[no] o all’estero, oppure alle città centrali in cerca del piaceri materiali, sappiate che vi sovrasta un brutto avvenire. Quando le campagne vostre saranno deserte chi vi darà più del pane? dove troverete i milioni per mantenere le truppe sempre più crescenti per mantenete l’ordine interno?

terzo passo esagerando i bisogni della vita,
tanto materiale della persona, quanto sociale
Ma non è ancora qui tutto il male: Questa società montata tanto in alto con tutte queste ultime invenzioni, mentre si sta gonfiando continuamente il cuore delle masse a pretenzioni innaudite; che non arrivi poi come a quel pallone che crepò per essere montato troppo [in] alto, e che Iddio permetta di ascendere sempre, come a Simon mago per trovare la sua morte nella vergognosa caduta. Sopra dicevamo[:] chi vi darà del pane? Qui per tacere di tante classi di operaj che conducono una vita infelice, domanderemo solo[:] chi si risolverà ancora a passare la vita come bruti dentro le cave e le mine sotto terra per somministrare tanti milioni di tonnellate di carbone? I diversi scioperi di operai ci avvertono che un tale sbilancio non è impossibile.

Ora in caso di uno sbilancio sociale simile, quale ne sarà il rimedio? dopo questo, rimedio unico la forza brutale Un solo per non morir di fame, e non privare la società di queste colossali /144/ invenzioni; sarà quella di arrivare alla forza brutale dei Faraoni, i quali con milliaja di schiavi fabbricavano le piramidi per abbellire un sepolcro, e degli imperatori Romani, [p. 235] i quali col mezzo dei schiavi costruivano i muri di Roma, le terme, ed il Colosseo. Così terminerà la libertà e l’eguaglianza che tanto si predica e si vagheggia; alle antiche dinastie Cristiane e paterne sortiranno altre pagane e senza misericordia. arrivo allo stato della civiltà araba ed abissina. Eccoci arrivati in Abissinia, dove abbiamo incomminciato, colla differenza che l’Abissinia non essendo montata tanto alta la caduta è più mite e meno sensibile. L’Abissinia [non] è mai arrivata a far la guerra diretta a Dio, campagna incomminciata nei nostri paesi, ed incomminciata appunto con questo calcolo, perché con Cristo in trono che ci ha liberati non si potrà mai arrivare là, dove vogliono arrivare ad ogni costo.

mentre degiace Escetu seguiva i popoli che fuggivano a ponente, noi siamo andati a levante arrivando a Cajacheur.
presa la guida siamo partiti.
gran solitudine, valle profonda e stretta,
eco spaventevole di leoni
Ritornando ora alla nostra storia, mentre Degiace Escietu seguiva le povere popolazioni dell’Amassen che fuggivano coi loro bestiami dalla parte dell’occidente, noi in due giorni di buona camminata ci avvicinavamo alle frontiere orientali, ed il terzo giorno colla protezione di Dio siamo arrivati a Caacheur villaggio di frontiera.

A Caacheur abbiamo preso la guida che doveva condurci frammezzo le tribu nomadi e pastori dei Soho, come al sortire di Massawah avevamo fatto in Arkeko venendo. La guida ci fece fare una buona camminata di discesa meno ripida della Taranta che avevamo montato venendo, ma più lunga assai. Ci siamo fermati un tantino per riposarci verso mezzogiorno, e poi ripreso il cammino, siamo arrivati la sera in una vallata molto stretta e profonda, nella quale sempre si trovano carrovane [p. 236] a passarvi la notte, epperciò speravamo di non trovarci soli; abbiamo aspettato nel luogo solito delle carovane sino [a] tardi, ma vedendo che nessuno veniva abbiamo pensato di metterci in una piccola isola del torrente ai piedi di un gran ficomoro, dove i servi hanno legato l’asino, e dove in caso potevamo fuggire sopra l’albero, come sopra una vera fortezza. Si radunò molto legno per fare fuoco tutta la notte. I bravi servi mi aggiustarono il letto sopra un banco di sabbia veramente delizio[so] per dormirvi, benché più vicino all’aqua. Appena la notte venne i leoni si facevano sentire sulle montagne vicine, e l’eco frà due precipizii rendeva più spaventoso ancora [il loro ruggito].

accampati in un’isola del torrente Mangiato che ebbimo la nostra misera cena, come io aveva ancora molte preghiere da fare ho detto che potevano dormire tutti, perché io avrei fatto la mia parte di guardia, e poi ne avrei chiamato uno; così fecero ed io restai più libero per le mie preghiere, occupandomi di /145/ quando in quando ad aggiustare il fuoco, ed a gettare qualche tizzone in lontananza per spaventare e tener lontane 1e bestie feroci.

Mentre stava dicendo le mie preghiere, fuori dell’orizzonte molto ristretto della valle ove eravamo un riflesso di lampo si lasciava travedere, ma non si sentiva il tuono, motivo per cui, come cosa lontana io neppur vi pensava. Finita la preghiera ho fatto alzare uno dei giovani, ed io mi sono posto a dormire; non aveva ancora preso il sonno, e sento il tuono molto lontano, e questa preoccupazione non lasciandomi dormire mi sono levato, ma il ragazzo che aveva chiamato, vinto dal sonno non si era levato; allora chiamai la guida, come persona che conosce meglio il luogo. arriva la piena, fuga sopra il ficomoro Questi non era ancora levato, che mi sento il letto come nell’aqua: chiamo la guida, ed egli che conosce [la situazione] si mise subito a chiamar tutti, ed intimarmi di montare sull’albero; diffatti [p. 237] appena abbiamo avuto il tempo di mettere in salvo il bagaglio, e legare bene l’asino affinché la piena non l’importasse che una piena straordinaria allagò tutto, ed il povero asino aveva appena la testa fuori.

tutta la notte sul ficomoro;
pioggia dirotta, fortuna che non fa freddo
Quando la piena incomminciò a diminuire, allora incomminciò una dirotta pioggia che durò quasi tutta la notte che abbiamo passato sull’albero; per non cadere la guida mi legò [in modo da non cadere], e così sospeso potei un poco sonnacchiare. Quanto è buono avere una persona sperimentata in quei luoghi! Senza di lui noi ci lasciavamo cogliere dalla piena, ma egli che ha veduto simili scene già molte altre volte non si sgomentò affatto, ma pensò a tutto. Per fortuna che in quei [luoghi] bassi fa gran caldo, del resto il restare tutta la notte bagnato e senza fuoco ci avrebbe fatto [del] male; invece era in certo modo delizioso. Verso mattina il tempo essendosi [ras]serenato abbiamo sentito un poco di fresco, o piuttosto freddo, ma la guida seppe trovare legna ed accendere il fuoco, estraendolo colla frizione di due legni secchi, cosa che i nomadi conoscono molto bene.

consolazioni in due accampamenti di pastori La mattina il torrente era vuoto come la sera precedente, e noi fatta un poco di collazione, e preso un poco di caffè siamo partiti, e per il mezzo giorno la guida ci condusse in un’accampamento di pastori, dove abbiamo trovato del latte in abbondanza, e ci hanno dato un bell’agnello, che io ho voluto compensare colla metà di provviste di farina che avevamo, cosa che fece loro molto piacere. Abbiamo dormito per compensarci della notte [insonne trascorsa], e verso sera siamo partiti ed in poco più di un’ora di viaggio siamo arrivati ad un’altro accampamento [p. 238] di pastori, i quali ci ricevettero con un vero trasporto di allegrezza, perché la guida che ci aveva preceduto qualche momento prima aveva detto loro che io era il fratello di Abuna Jacob (Monsignor Deja- /146/ cobis)[:] quanto un missionario può cangiare la natura di questi selvaggi! Tutta la sera non mi lasciarono più vivere, ed i piccoli ragazzi stessi mi erano sempre addosso. Vollero ad ogni costo ammazzare un castrato e prepararmi un poco di cena, nella quale in luogo del vino si beveva del latte. Sgraziatamente io non aveva la lingua per dir loro qualche parola di salute, e doveva servirmi di un dragomanno, parlando al dragomanno in lingua abissinese, nella quale appena incomminciava [a] farmi capire, e la mia parola arrivava per metà a quella povera gente.


(1a) Frangi, nome di disprezzo, che significa europeo, uomo senza fede e senza religione; nome, come di caricatura, inventato dagli arabi e musulmani, per staccarli da noi. L’abissino poi, veduto un’europeo, crede di aver trovato il tesoro dei denari inesausto. Arriva persino a credere che l’europeo possa magicamente creare denari a sua volontà. [Torna al testo ]

(1b) Pezzo di sal gemma lungo un palmo, largo quattro dita, del peso [di] circa una libra, esso serve per il piccolo commercio. Vicino al lago dava si taglia se ne danno più di cento per un tallero; in Gondar circa 50. ed in Kufa da 6. a 10. e molto più piccoli. [Torna al testo ]

(1c) Uno di quei miei servi era nativo di Adoa; questi parlando col servo del vescovo Salama esternava il suo desiderio di recarsi a quella città per vedere i suoi parenti; se il viaggiatore si contentasse di restare qui domani, diceva il mio servo al servo di Salama, io domani mattina verrei con voi, e domani sera tornerei qui. Queste parole mi fecero temere qualche trama, perché io nel fondo non conosceva il servo mio. Più tardi si vedrà, come questo stesso mio servo, partito da Massawah con un carico, con lettere, e con denari, per portare al P. Giusto, arrivato in Adoa, mi tradì, ed entrò da Salama, sollevando una gran questione diplomatica che occupò i consoli. I miei timori dunque non erano mal fondati. [Torna al testo ]