Columbanus Hibernus

Regula Coenobialis

Regola cenobiale
  1. De confessione ante mensam sive lectorum introitum, et custodienda benedictione ad mensam, similiter et silentio. I. Della confessione prima del pasto o del riposo; della benedizione a mensa e dell’osservanza del silenzio.
  2. Ut lucerna signata fiat, et qui suum proprium aliquid dixerit, et de observatione cultelli ad mensam, et qui ministrando aliquid perdiderit, et de humiliatione in sinaxi, et qui perdiderit micas. II. Della benedizione della lampada, di chi dice essere sua proprietà qualcosa, dell’uso del coltello a tavola, di chi spreca qualcosa nel compiere il servizio, dell’inclino in segno di umiltà alla sinassi, e di chi lascia cadere delle briciole.
  3. De eo qui aliquid neglegenter perdiderit, et qui effuderit aliquid super mensam, et qui egrediens domum non se humiliaverit ad orationem, et qui obliviscitur orationem ante opus, et qui comedit sine benedictione, et qui regrediens domum non se curvaverit, et de eo qui haec omnia confessus fuerit. III. Di chi spreca qualcosa per negligenza, di chi versa qualcosa sulla tavola, di chi uscendo dal monastero non si inchina per la preghiera e di chi dimentica la preghiera prima del lavoro, di chi prende il pasto senza la benedizione, di chi tornando in monastero non si inchina, e di colui che non confessa tutte queste mancanze,
  4. Qui in exordio psalmi bene non cantaverit, et qui calicem domini dentibus pertunderit, et qui ordinem suum non custodierit, et qui riserit in sinaxi, et qui eulogias accipit, et qui obliviscitur oblationem facere. De fabulis otiosis et de excusatione et de consilio contra consilium et de altare concusso. IV. Di chi all’intonazione del salmo non canta bene, di chi tocca il calice del Signore con i denti, di chi non osserva il suo posto secondo l’ordine di anzianità, di chi ride durante la sinassi, di chi riceve il pane benedetto e di chi dimentica di preparare l`offerta. Del parlare ozioso, dello scusarsi, dell’opporre consiglio a consiglio e dell’urtare l’altare.
  5. De eo qui profert sermonem altum, et qui se excusat, et qui fratri aliquid indicando contradicit, et quod excusantes se non sint filii dei. V. Di chi parla ad alta voce, di chi si scusa, di chi contraddice il fratello con qualche sua affermazione, e perché coloro che si scusano non sono figli di Dio.
  6. De eo qui superbum verbum dixerit, et qui profert sermonem altum, et qui abscondit alicuius crimen donec proferat illud in malum, et qui reprehendit alterius opera, et qui profert correptionem contra correptionem. VI. Di chi dice una parola arrogante, di chi alza la voce nel parlare, di chi nasconde la colpa di qualcuno finché la renda nota a scopo perverso, di chi critica l’operato di un altro, e di chi oppone correzione a correzione.
  7. De eo qui detrahit alterum et de contentioso, et qui reprehendit superiorem sibi, et de eo qui tristis fuerit, et qui consanguineum suum sollicitat ad malum, et qui vituperat alterius obsequium. VII. Di chi sparla di un altro e di chi è polemico, di chi denigra un suo superiore e di chi rimane nella tristezza, di chi spinge al male un suo parente e di chi critica un altro per la sua obbedienza.
  8. De eo qui docet consanguineum suum contra seniorem suum, et qui priori suo causam suam contradicit, et qui non postulat veniam cum corripitur, et qui visitator vult esse aliorum, et qui coquinam visitant iniussi, et qui extra claustra egrediuntur, et qui conlocuntur invicem prohibiti, et qui dicunt quod non licet eis facere rogata, et de his qui dicunt ‘Facimus quod dicis,’ et qui scientes transgrediuntur, et cui ceciderit suum crismal. VIII. Di chi istruisce un suo parente contro il suo proprio anziano, di chi si difende nei confronti del proprio priore, di chi non chiede perdono quando viene rimproverato; di chi vuol far visita ad altri e di chi si reca in cucina senza averne ricevuto l’ordine; di chi esce dalla clausura e di coloro che parlano tra di loro quando è proibito; di coloro che dicono che non è loro lecito fare ciò di cui vengono richiesti; e di coloro che dicono: «Facciamo quel che dici»; di coloro che consapevolmente commettono una trasgressione e di colui che lascia cadere il suo crismale.
  9. De eo qui profert verbum otiosum, et de paenitentibus fratribus, et de minutis paenitentiis. IX. Di chi dice parole inutili, dei fratelli che fanno penitenza e delle penitenze non gravi.
  10. De fratre qui inoboediens fuerit, et qui dicit et non facit, et qui murmurat, et qui veniam non petit aut se excusat, et qui duos fratres ad iracundiam provocat, et de mendatio, et qui contradicit fratri, et qui interrumpit mandatum, et qui neglegenter facit opus sibi iniunctum, et qui detractaverit abbatem suum, et qui aliquid obliviscitur foras vel perdiderit. X. Del fratello che disobbedisce, di chi dice e non fa, di chi mormora e di chi non chiede perdono o si giustifica; di chi provoca all’ira due fratelli; della menzogna; di chi contraddice il fratello, di chi non porta a termine ciò che gli è stato ordinato e di chi compie con negligenza un lavoro che gli è stato assegnato; di chi denigra il proprio abate e di chi dimentica fuori qualcosa o lo perde.
  11. De eo qui loquitur cum saeculare, et qui opus suum perficit et postea sine iussione aliquid fecerit, et de eo qui bilinguis fuerit, et qui manducaverit in domo aliena, et qui narraverit peccatum praeteritum, et qui de saeculo rediens et saecularia narraverit, et de eo qui consentit ei qui aliquid facit contra regulae praeceptum. XI. Di chi parla con un secolare; di chi termina il proprio lavoro e poi fa qualcosa senza permesso; di chi si mostra ipocrita e di chi prende il cibo in casa di estranei; di chi parla di una colpa passata e di chi, tornando dal mondo, racconta dei fatti del mondo; di chi si mostra consenziente con uno che fa qualcosa contro una prescrizione della Regola.
  12. De eo qui suscitat furorem fratri suo, et de eo qui non venit ad orationem super mensam, et qui dormierit ad orationem, et qui non responderit ‘Amen’, et qui transgressus fuerit horam, et qui non audierit sonitum orationis, et qui cum nocturno cingulo communicaverit. XII. Di chi provoca la collera di un suo fratello; di chi non è presente alla preghiera a mensa; di chi dorme durante la preghiera e di chi non risponde Amen; di chi tralascia di recitare un’ora; di chi non sente il segnale della preghiera e di chi si comunica con il cingolo della notte.
  13. De eo qui quarta et sexta feria ante nonam manducaverit, et qui dixerit mendacium, et qui dormierit cum muliere in domo una, et qui non claudit ecclesiam post se, et qui sputaverit in ecclesia, et qui psallendi obliviscitur. XIII. Di chi mangia prima di nona il mercoledì e il venerdì; di chi dice una menzogna; di chi dorme nella stessa casa in cui dorme una donna; di chi non chiude la porta della chiesa dietro di sé; di chi sputa in chiesa e di chi dimentica di salmodiare.
  14. De eo qui tardius ad aliquod signum venerit, et qui sonaverit post pacem, et qui velato capite intraverit, et qui non petit orationem, et qui manducat sine oratione, qui sonum fecerit dum oratur, et qui vel iram vel tristitiam retinet. XIV. Di chi giunge troppo tardi quando viene dato un segnale e di chi fa rumore dopo la pace; di chi entra col capo coperto; di chi non chiede una preghiera; di chi mangia senza aver pregato, di chi fa rumore mentre si prega e di chi conserva la collera o la tristezza.
  15. De neglegentia sacrificiorum. XV. Della negligenza nel trattare le specie sacramentali.

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Diversitas culparum diversitatis paenitentiae medicamento sanari debet. Itaque, fratres karissimi

[Colpe diverse devono essere guarire con la medicina di una penitenza diversa. Pertanto, fratelli carissimi]

1

Statutum est, fratres carissimi, a sanctis patribus, ut demus confessionem ante mensam sive ante lectorum introitum aut quandocumque fuerit facile de omnibus non solum capitalibus criminibus sed etiam de minoribus neglegentiis cf. Caesar. Arelat. Serm. 235. 4 quia confessio et paenitentia de morte liberant. Ergo nec ipsa parva a confessione sunt neglegenda peccata, quia ut scriptum est, Qui parva neglegit paulatim defluit, seq. Ecclus. 19. 1 ut detur confessio ante mensam, ante introitum lectulorum vel quandocumque fuerit facile dare.

I. È prescritto, fratelli carissimi, dai santi padri, che prima dei pasti o prima di andare a letto, o comunque quando ve ne sia l’opportunità, noi facciamo la confessione [non solo di tutte le colpe gravi, ma anche delle trasgressioni più lievi], poiché la confessione e la penitenza liberano dalla morte. Pertanto, neppure le colpe di poco conto sono da tralasciare nella confessione, perché, come sta scritto, chi trascura le piccole cose a poco a poco traligna [La confessione si faccia prima dei pasti, prima di coricarsi o quando la cosa riesca facile].

Ergo qui non custodierit ad mensam benedictionem et non responderit ‘Amen’, sex percussionibus emendare statuitur. Simili modo qui locutus fuerit comedens non necessitate alterius fratris, VI emendare statuitur. Qui dixerit suum proprium aliquid, sex percussionibus. Et qui non signaverit coclear quo lambit sex percussionibus et qui locutus fuerit in plausu, id est altiore sono solito sonaverit, VI percussionibus.

Perciò si dispone che il monaco che non è presente alla benedizione a mensa e non risponde Amen, venga corretto con sei colpi. Allo stesso modo, chi parla mentre si prende il pasto, se non lo richiede la necessità di un fratello, sia corretto con sei colpi. [A chi dice che qualcosa è suo, sei colpi]. E a chi non fa il segno di croce sul cucchiaio con cui mangia [sei colpi], e a chi parla rumorosamente, cioè in tono più alto del normale, sei colpi.

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2

Si non signaverit lucernam, hoc est cum accensa fuerit a iuniore fratre et non exhibeatur ad seniorem ad signandum, VI percussionibus. Si dixerit suum proprium aliquid, cf. Basil. (transl. Rufin.) Interrog. 29, Cassian. Inst. iv. 13 VI percussionibus. Si aliquod opus vanum fecerit, sex percussionibus. Qui pertunderit cultello mensam, X percussionibus emendetur. Quicumque de fratribus, cui sollicitudo coquinandi vel ministrandi commissa est, quantulum quid effuderit, oratione in ecclesia post expletum cursum, ita ut fratres pro eo orent, emendare statuitur. Qui humiliationem in synaxi, id est in cursu, oblitus fuerit, haec est humiliatio in ecclesia post finem cuiuscumque psalmi, similiter paeniteat. Simili modo qui perdiderit micas oratione in ecclesia emendetur; ita tamen haec parva paenitentia ei iudicetur, si parvum quid effuderit.

II. Se non si benedice la lucerna, cioè quando viene accesa da un fratello più giovane e questi non la porta ad uno più anziano perché la benedica, sei colpi. Se ci si arroga la proprietà di qualcosa, sei colpi. [Se si fa qualche lavoro inutile, sei colpi]. Chi rovina la tavola con il coltello, sia punito a scopo di correzione con dieci colpi. Si dispone che, se uno dei fratelli, al quale è stato affidato l’incarico di cucinare o di servire, versa qualcosa, per poco che sia, venga corretto con una preghiera in chiesa, terminato l’ufficio, così che i fratelli preghino per lui. Chi dimentica di inchinarsi durante la sinassi, cioè la recita dell’ufficio – si tratta dell’inchino che si fa in chiesa alla fine di ogni salmo – faccia la medesima penitenza. Allo stesso modo, chi lascia cadere delle briciole sia corretto con una preghiera in chiesa. Questa lieve penitenza, però, si infligga soltanto a chi spreca qualcosa in piccola quantità.

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3

Quod si ex neglegentia vel oblivione seu transgressione securitatis tam in liquidis quam in aridis amplius solito perdiderit, longa venia in ecclesia dum duodecim psalmos ad duodecimam canunt prostratus nullum membrum movens paeniteat. Vel certe si multum est quod effudit, quantos metranos de cervisa aut mensuras qualiumcumque rerum intercidente neglegentia effundens perdidit, supputans tot diebus illud quod in sumptus proprios rite accipere consueverat, sibi ea perdidisse sciat, ut pro cervisa aquam bibat. De effuso super mensam decidenteque extra eam veniam in discubitu petere dicimus sufficere.

III. Se invece qualcuno per negligenza o dimenticanza o trascuratezza versa una quantità abbastanza consistente di liquido o di solido, si sottoponga a una lunga penitenza in chiesa, rimanendo prostrato, immobile, mentre si cantano dodici salmi alla dodicesima ora. O, se è molto quello che spreca, sappia che quanti litri di birra o quante misure di qualsiasi altro alimento saranno andati perduti a causa della sua negligenza, per altrettanti giorni non gli verrà data la razione consueta che gli sarebbe toccata, e berrà acqua invece della birra. Per quello che viene versato sulla mensa e cade per terra, diciamo che basta chiedere perdono al momento di andare a coricarsi.

Qui egrediens cf. Hieron. Epist. xxii. 37 domum ad orationem poscendam non se humiliaverit et post acceptam benedictionem non se signaverit, crucem non adierit, XII percussionibus emendare statuitur. Similiter qui orationem ante opus aut post opus oblitus fuerit, XII percussionibus. Et qui comederit sine benedictione, XII percussionibus. Et qui regrediens domum orationem petens non se curvaverit intra domum, XII percussionibus emendetur. Qui vero frater haec omnia confessus fuerit et cetera usque ad superpositionem, semipaenitentia id est media paenitentia, et de his similia; sic temperare interim.

Per chi uscendo di casa non si inchina per chiedere una preghiera, non si segna quando gli viene data la benedizione, e non si avvicina alla croce, si dispone che venga corretto con dodici colpi. Similmente dodici colpi a chi dimentica la preghiera prima o dopo il lavoro. Dodici colpi anche a chi prende il pasto senza la benedizione. Venga punito con dodici colpi chi, di ritorno al monastero, entrandovi, non si inchina a chiedere una preghiera. Ma al fratello che confessa tutte queste colpe ed altre ancora fino a quelle che meritano un giorno di privazione della parola o del cibo verrà inflitta una semipenitenza, cioè mezza penitenza, e altrettanto per colpe analoghe; sarà però bene, ormai, astenersene.

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4

Qui tusse in exordio psalmi non bene decantaverit, VI percussionibus emendare statuitur. Similiter qui pertunderit dentibus calicem salutaris, VI percussionibus. Ordinem ad sacrificium qui non custodierit ad offerendum VI percussionibus. Sacerdos offerens, qui ungulas non dempserit, et diaconus cui barba non tonsa fuerit, de rustro sacrificium accipientem ad calicem accedentem, sex percussionibus. Et qui subridens in sinaxi, id est in cursu orationum, VI percussionibus; si in sonum risus eruperit, superpositione, nisi veniabiliter contigerit. Sacerdos offerens et diaconus sacrificium custodientes cavere ne vagis oculis oberrent; quod si neglexerint, sex percussionibus emendari. Qui oblitus fuerit chrismal pergens procul ad opus aliquod, quinis quinqueis percussionibus; si super terram in agro dimiserit et invenerit statim, denis quinqueis percussionibus; si in ligno illud levaverit, ter denis, si ibi maneat nocte, superpositione. Eulogias inmundus accipiens, XII percussionibus. Obliviscens oblationem facere usque dum itur ad offerendam C percussionibus.

IV. Per chi, tossendo all’inizio di un salmo, non canta bene, si prescrive la punizione di sei colpi. Così pure sei colpi a chi lascia il segno dei denti sul calice della salvezza. Sei colpi anche a chi non rispetta l’ordine d’anzianità nel recarsi alla comunione [all’offerta]. [ll sacerdote celebrante, che non si sia tagliato le unghie, e il diacono, che non si sia raso la barba, se riceve l’ostia dall’altare e si accosta al calice venga punito con sei colpi]. Anche a chi sorride durante la sinassi, cioè durante l’ufficio, sei colpi; se qualcuno scoppia in una risata, sia punito con un giorno di privazione, a meno che si tratti di una irriverenza perdonabile. [Il sacerdote celebrante e il diacono che custodiscono le specie sacramentali devono astenersi dal guardarsi attorno; se non ottemperano a questa norma, siano puniti con sei colpi. Chi dimentica il crismale nella fretta di andarsene lontano a qualche lavoro, sia punito cinque volte con cinque colpi; se lo lascia per terra in un campo e subito lo trova, venga punito dieci volte con cinque colpi; se l’appende ad un albero, gli si diano tre volte dieci colpi; se ve lo lascia per tutta la notte, la punizione consista in un giorno di privazione]. A chi riceve il pane benedetto con le mani sudice si infliggano dodici colpi. Chi dimentica di preparare le offerte prima che ci si rechi all’ufficio, venga punito con cento colpi.

Fabulas otiosas proferens ad alterum, statim semet ipsum reprehendens, venia tantum; si autem se non reprehenderit sed detractaverit qualiter eas excusare debeat superpositione silentii aut L percussionibus. Excusationem proferens cum simplicitate quando in aliquo discutitur et non dicat statim veniam petens, ‘Mea culpa, paenitet me,’ L percussionibus. Consilium contra consilium cum simplicitate promens, L percussionibus. Qui altare concusserit, L percussionibus.

Chi tiene con un altro una conversazione futile e subito se ne accorge e tronca il discorso, basta che chieda perdono; se però non smette [ma va cercando come scusarsene], lo si punisca con un giorno di privazione della parola o con cinquanta colpi. Se uno che adduce delle scuse, senza ponderazione, quando viene rimproverato per qualche fallo, non dice subito chiedendo perdono: Mea culpa, mi pento, sia punito con cinquanta colpi. A chi, senza riflettere, a un avvertimento ne contrappone un altro, cinquanta colpi. A chi urta l’altare cinquanta colpi.

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5

Proferens sermonem altum sine suppressione, nisi ubi necessitas fuerit, superpositione silentii aut L percussionibus. Excusans ad veniam similiter paeniteat. Qui fratri aliquid indicanti responderit, ‘Non ita est ut dicis,’ praeter seniores iunioribus dicentes simpliciter, superpositione silentii aut L percussionibus; nisi hoc tantum licet, ut respondeat coaequali fratri suo, si veratius est aliquid quam ille dicit et recordatur, ‘Si bene recolis, frater,’ et alter haec audiens non adfirmet sermonem suum, sed humiliter dicat, ‘Spero quod tu melius recorderis; ego per oblivionem in verbo excessi, paenitet me quod male dixi.’ Ecce verba filiorum Dei, si nihil per contentionem, [ut ait apostolus,] neque per inanem gloriam sed per humilitatem spiritus alter alterum existimans superiorem sibi. Phil. 2. 3

V. Se uno alza la voce senza ritegno, a meno che non vi sia costretto dalla necessità, gli si infligga un giorno di privazione della parola, oppure lo si punisca con cinquanta colpi. Se uno si scusa invece di chiedere perdono, subisca lo stesso castigo. Se uno, a un fratello che afferma qualcosa, risponde: «Le cose non stanno come tu dici» – all’infuori del caso di anziani che stiano semplicemente parlando con fratelli più giovani – gli si infligga un giorno di privazione della parola, oppure lo si punisca con cinquanta colpi. Soltanto questo è consentito: che uno risponda a un fratello coetaneo, se si ricorda di qualcosa in modo più preciso di come l’altro dice: «Se ben ricordi, fratello», e questi, a tali parole, non insiste nella sua affermazione, ma umilmente dice: «Spero che tu ti ricordi meglio di me; io, per dimenticanza, ho sbagliato nel parlare e mi pento di non aver detto secondo verità». Queste sono le parole dei figli di Dio che non fanno nulla per spirito di rivalità – come dice l’Apostolo – né per vanagloria, ma con tutta umiltà considerano gli altri superiori a se stessi.

Ceterum qui se excusaverit non filius Dei spiritalis sed filius Adam carnalis iudicetur.

Invece chi si scusa non sia ritenuto un figlio spirituale di Dio, bensì un figlio carnale di Adamo.

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6

Quique non cito ad portum requiei humilitatis dominicae confugerit, nimie contradictionis aditum aliis aperiens in superbiae verbo persistens, de libertate sanctae ecclesiae in cellula ob paenitentiam agendam separetur, usque dum bona eius voluntas cognoscatur atque per humilitatem denuo sanctae congregationi inseratur.

VI. Chi non si rifugia subito nel porto della pacificante umiltà del Signore, e invece apre agli altri la via di una accanita contestazione ostinandosi nel suo dire pieno di superbia, privato della libertà della santa Chiesa, venga segregato in una cella per fare penitenza, finché non dia prova di buona volontà e per la sua umiltà possa essere di nuovo reintegrato nella santa comunità dei fratelli.

Qui profert sermonem altum ad reprehendendum opus hostiarii, ut hostiarius horas non bene custodierit, superpositione silentii aut L percussionibus. Et qui abscondit aliquod crimen videns in fratre suo, usque dum corrigatur de alio vitio vel de ipso, et tunc profert illud adversus fratrem, tribus superpositionibus. Reprehendens aliorum fratrum opera aut detractans, tribus superpositionibus paeniteat. Proferens correptionem contra correptionem, hoc est castigans castigantem se, similiter tribus superpositionibus paeniteat.

Chi alza la voce per criticare l’operato del portinaio, quasi che costui non osservi scrupolosamente le ore, venga punito con un giorno di privazione della parola o con cinquanta colpi. E a chi nasconde qualche colpa che vede in un suo fratello, fino a quando costui venga ripreso per un’altra mancanza o proprio per la colpa tenuta nascosta, e allora si fa accusatore del fratello parlandone, sia inflitta la punizione di tre giorni di privazione. Chi critica o scredita l’operato di altri fratelli incorra nella medesima punizione. Analoga sanzione per chi oppone rimprovero a rimprovero, vale a dire corregge chi lo corregge.

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7

Qui detrahit alicui fratri aut audit detrahentem, non continuo corrigens eum, tribus superpositionibus. Qui aliquam contemptionem cum tristitia promit, simili modo tribus superpositionibus paeniteat. Qui aliquid reprehendens praeposito suo non vult indicare, usque dum patri seniori indicet, tribus superpositionibus, nisi haec omnia a confessione verecundiae fiant. Si quis frater tristis fuerit, si fieri potest, consolationem accipiat si sustinere valet, subprimat interim confessionem, ut verecundius dicat, quando tristitia cessaverit orent pro eo fratres.

VII. A chi sparla di qualche fratello o sente qualcuno che ne sparla, e non interviene [subito] a correggere il detrattore, tre giorni di privazione. Analogamente faccia la penitenza di tre giorni di privazione chi, rattristato, mostra disprezzo verso qualcuno. Chi ha qualcosa da riprendere e non vuole dirlo a chi gli è preposto riservandosi di farlo presente, quando gli sarà possibile, al padre superiore, sia punito con tre giorni di privazione, a meno che agisca così per un motivo di pudore. Se qualche fratello è triste [se è possibile, venga consolato], si astenga per il momento dal farne la confessione, se è in grado di sopportare il peso, al fine di parlarne con maggior pacatezza, quando si sarà rasserenato [i fratelli preghino per lui].

Si quis dicat ad consanguineum suum, sollicitans eum in loco optimo habitantem, ‘Melius est, ut nobiscum habites aut cum aliquibus,’ tribus superpositionibus. Et qui vituperat alicui fratri obsequium dandum, similiter paeniteat.

Se qualcuno dice a un suo parente, che abita in un luogo privilegiato, come per sollecitarlo: «È meglio che tu dimori con noi o con altri», incorre in tre giorni di privazione. La stessa penitenza per chi si mostra contrariato per un servizio da prestare a qualche fratello.

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8

Qui consanguineum docet aliquam discentem artem aut quodlibet a senioribus impositum, ut melius lectionem discat, tribus superpositionibus.

VIII. Chi istiga un parente, che sta imparando qualche mestiere o qualsiasi altra cosa per ordine degli anziani, dicendogli che sarebbe meglio che imparasse a leggere, sia punito con tre giorni di privazione.

Qui ad praepositum audet dicere, ‘Non tu iudicabis causam meam, sed noster senior aut ceteri fratres,’ sive, ‘Ad patrem monasterii ibimus omnes,’ XL diebus castigari oportet in paenitentia, in pane et aqua nisi ipse dicat prostratus coram fratribus ‘Paenitet me quod dixi.’ Frater quilibet in aliquo opere detentus, quamvis fatigatus sit, ita tamen ad oeconomum dicat in propria causa, ‘Si tibi placet dicam ad abbatem, sin autem, non dicam’; in alterius causa, ‘Si tu iteras, non tibi difficile videatur, si forte ad abbatem dicam’; ut oboedientia custodiatur.

Se un fratello osa dire a chi gli è preposto: «Non giudicherai tu il mio caso, ma il nostro superiore o tutti gli altri fratelli», oppure: «Andremo tutti dal padre del monastero», deve essere castigato con una penitenza di quaranta giorni [a pane e acqua], a meno che dica [prostrato davanti ai fratelli]: «Mi pento di ciò che ho detto». [Un fratello occupato in qualche lavoro, anche se fosse molto stanco, dica tuttavia all’economo, se si tratta di un problema suo: «Se lo permetti, lo dirò all’abate, diversamente non lo dirò»; se invece si tratta di un altro fratello, dica: «Dal momento che tu sei un portavoce, non dovrebbe sembrarti inopportuno se ne parlo con l’abate». Ciò al fine di salvaguardare l’obbedienza].

Qui non reportat quod commodat usque in crastinum, si ipse reportat recordatus, VI percussionibus; si oblitus fuerit usque dum queratur, XII. Si quis oblitus fuerit interrogare debitum paenitentiae usque in crastinum, VI percussionibus. Qui murmurat, qui dicit, ‘Non faciam nisi dicat abbas vel secundus,’ tribus superpositionibus. Cursus non necessarios aut saltus XII plagis. Prohibetur ne quis alterius teneat manum. cf. Cassian. Inst. ii. 15

[Chi non restituisce fino all’indomani ciò che ha avuto in uso, se ricordandosene lo riporta, sia punito con sei colpi; ma, qualora se ne dimentichi finché non gli venga richiesto, gli siano dati dodici colpi. Se qualcuno si scorda di chiedere fino al giorno dopo quale penitenza debba fare, venga punito con sei colpi. Chi mormora, chi dice: «Non lo farò, se non è l’abate a comandarmelo o il secondo», incorre nella sanzione di tre giorni di privazione. Per corse non necessarie o salti, dodici colpi. È proibito che uno prenda la mano di un altro].

Procuret economus de humanitate advenientibus adhibenda tam peregrinis quam reliquis fratribus, et omnes fratres parati sint ad ministrandum cum omni famulatu propter Deum. Quamvis economus non senserit aut praesens non fuerit, ceteri faciant diligenter quod necesse est et custodiant utensilia eorum, donec adsignent ea parata custodi; sin autem neglexerint, paenitentia de his ut videatur adhiberi ad iudicium sacerdotis.

[L’economo procuri che si faccia premurosa accoglienza a chi arriva, sia ai forestieri sia agli altri fratelli, e tutti i monaci siano pronti a servirli in ogni loro necessità, con grande diligenza per amore di Dio. Anche se l’economo non ne fosse informato oppure fosse assente, tutti gli altri facciano con solerzia quanto è necessario e custodiscano i bagagli degli ospiti, finché non vengano consegnati in ordine all’incaricato; se si verificasse qualche trascuratezza, si rimetta al giudizio del sacerdote il valutare la penitenza da infliggere].

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8[bis]

Qui non postulat veniam correptus, superpositione paeniteat. Qui visitaverit alios fratres in cellulis eorum sine interrogatione, simili modo paeniteat; aut in coquinam post nonam sine ordinatione vel iussione ierit, superpositione; aut extra vallum, id est extra sepem monasterii, sine interrogatione ierit, superpositione. Iuvenculi quibus imponitur terminus ut non se appellent invicem, si transgressi fuerint, tribus superpositionibus. Hoc tantum dicant, ‘Scis quod nobis non licet loqui tecum.’ Et si quis praeceperit eis quod non licet, ipsi dicant, ‘Scis quod nobis non liceat;’ et si ipse praeceperit ultra, ipse damnetur tribus superpositionibus, ipsi tamen dicant, ‘Facimus quod dicis’, ut bonum oboedientiae servetur. Illis vero specialius cavendum est, ut quomodo inter se mutuo non loquuntur, sic nec per os alterius fratris conloquantur. Quodsi scientes transgressi fuerint, simili modo quasi inter se locuti fuissent, paeniteant.

Chi, corretto, non chiede perdono, faccia la penitenza di un giorno di privazione. La medesima penitenza per chi fa visita ad altri fratelli nella loro cella, senza chiederne il permesso; così pure per chi va in cucina dopo nona [senza l’ordine o il permesso]. Si infligga un giorno di privazione a chi, senza averne l’autorizzazione, esce dalla clausura, cioè dal recinto del monastero. Gli adolescenti, per i quali è fissato un tempo in cui non devono parlare tra di loro, se trasgrediscono questa norma, siano puniti con tre giorni di privazione [semplicemente dicano: «Sai che non ci è lecito parlare con te»]. E, se qualcuno comanda loro ciò che non è consentito, dicano: «Sai che non ci è permesso»; e [se] chi comanda, insiste, lui stesso sia punito con tre giorni di privazione, ma essi dicano: «Facciamo quel che dici, perché sia conservato il bene dell`ubbidienza». Gli adolescenti però, come non possono parlare tra di loro, così devono guardarsi in modo tutto particolare dal comunicare tra loro per bocca di un altro fratello. Nel caso in cui consapevolmente trasgrediscano tale norma, siano puniti come se avessero parlato tra loro direttamente.

Cui ceciderit crismal et nihil confringens, duodecim percussionibus emendetur.

A chi lascia cadere il crismale, [anche se] non si rompe, siano inflitti dodici colpi.

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9

Qui profert verbum otiosum, silentio inter duas horas consequentes condemnari, aut XII percussionibus.

IX. Chi dice parole inutili sia punito con il silenzio tra due ore consecutive o con dodici colpi.

Paenitentes fratres, quamvis opera difficilia et sordida faciant, non lavent capita nisi in die dominica, id est octava, sin autem, quintadecima die quaque, aut certe propter fluentium capillorum incrementum arbitrio senioris unusquisque in lavando utatur. Declinato de via sine interrogatione aut benedictione, VI percussiones. Paenitentias minutas iuxta mensam si scierit praepositus mensae imponat, et amplius quam XXV percussiones simul non dentur.

I fratelli penitenti, anche se compiono lavori duri e che insudiciano, non lavino la testa se non nel [giorno di] domenica, cioè l’ottavo; altrimenti ogni quindici giorni, a meno che singolarmente ottengano il permesso del superiore di lavarsi il capo, se i capelli divengono troppo lunghi e fluttuanti. [A chi prende una strada diversa senza averlo chiesto o senza la benedizione, sei colpi]. Chi presiede la mensa, se è a conoscenza che alcuni fratelli hanno meritato lievi penitenze, le infligga al momento del pasto, ma non si diano [in una sola volta] più di venticinque colpi.

Paenitentes fratres et indigentes paenitentia psalmorum – hoc est, cui necesse fuerit ut psalmos adhuc pro visione nocturna decantet, quia pro inlusione diabolica, aut pro modo visionis – alii XXX, alii XXIIII psalmos in ordine, alii XV, alii XII, indigentes paenitentia psalmorum, decantare debent; qui ergo in nocte dominica et tempore quinquagesimae paenitentes genua flectunt.

I fratelli penitenti e quelli che devono sottoporsi a una penitenza di salmi – cioè coloro che devono cantare altri salmi a motivo di un sogno fatto di notte: infatti, a causa di un inganno del diavolo o per la natura stessa del sogno, alcuni devono cantare trenta salmi, altri ventiquattro di seguito, altri quindici, altri dodici – tutti costoro, essendo in stato di penitenza, la notte della domenica e nel tempo pasquale s’inginocchiano.

Si, cui iniunxerit abbas aut praepositus, idem fratribus iteraverit, ita observandum est ut seniori iunior oboediat; si tamen rectum fuerit quod eis indicaverit, observare studeat. Si quid praeceperit abbas vel economus maior, et aliud humilior iteraverit economus, ipse oboedire debet, indicans tamen in silentio quod praeceperit alius maior; infra monasterium vero nullus tamen alio imperio praecellente imperet, nisi qui praeest.

[Se l’abate o un preposto dà un ordine a qualcuno e questi lo ripete ai fratelli, si deve badare che il più giovane obbedisca al più anziano; ma si abbia cura di appurare se sia esatto ciò che è stato loro riferito. Se l’abate o l’economo principale dà un ordine, e un economo subalterno lo ripete in altri termini, si deve obbedire a costui, facendo tuttavia notare, a bassa voce, quale sia l’ordine dell’economo principale. All’interno del monastero, però, nessuno comandi qualcosa quando sia già stato dato un ordine da uno che ha maggior autorità, eccezion fatta per chi è a capo del cenobio].

Ab initio diei usque noctem commutatio vestimenti et altera in nocte; intermutentur separatim. Qui ministrat in die dominico aut in alio solemni ad lavacrum aut ad quamcumque necessitatem, unam orationem ante exitum et introitum eget. Interroget tamen. Si non procul exeat, signo crucis indiget. Quamvis ambulans signet se, non est autem necesse ad orientem se vertere. Exiens extra domum quilibet festinans et se signans, non eget ad orientem conversionem. Ita et in ambulando conveniens quemquam faciat, si festinet, postulans orationem et se humilians. In domu, in qua non congrua fiat genuflexio, curvatio tantum statuetur.

[Gli abiti che si indossano dall’inizio del giorno fino a sera, e gli indumenti che si indossano per la notte, vengano cambiati in privato. Colui che, la domenica o in altro giorno di festa, presta servizio al bagno o per qualsiasi altra necessità, ha bisogno di una sola preghiera prima di uscire e di entrare. La deve però chiedere. Se uno non deve andare lontano, gli basta un segno di croce. Sebbene sia in cammino, si segni; ma non è necessario che si volga verso Oriente. Chiunque esca di casa in fretta e segnandosi, non è necessario che si volga verso Oriente. La stessa norma vale se lungo il cammino s’imbatte in qualcuno e ha fretta: chieda una preghiera e s’inchini. All’interno di una casa, in cui non è opportuno fare una genuflessione, si stabilisce che ci s’inchini soltanto].

Si quis voluerit, in die sabbati praeparet oblationem dominicae; consummato lavacro commutare sacerdotes si facile fuerit, diacones autem aut ante praeceptum aut post praeceptum ministerium oportunum perficiant.

[Chi lo voglia, il giorno di sabato prepari l’offerta per la domenica. Fatto il bagno, i sacerdoti si cambino d’abito, se torna loro comodo; i diaconi, invece, compiano il loro proprio servizio prima o dopo l’istruzione].

Si quis viderit somnium inmundum aut coinquinatus fuerit aut penitens, quando detur praeceptum, stare praecipitur. In magnis autem sollempnitatibus quando audiant sonum sedere in cottidiano praecepto paene mediante iubentur sedere. Deinde sonum omnes audientes ad sinaxim initiantem diei conventus lavent ante oratorii introitus, nisi prius laverint. Primarius ut primus psallat statuetur et secundus; et non flectatur genu, sed tantum curvatio fiat. Ordines qui priores in medio fiant oratorii, ceteri dextra levaque adsistant, praeter offerentem eidemque adherentem. In omnique dominica sollempnitate hymnus diei cantetur dominice et in die inchoante pasche. Aut qui ad altare inchoaverit accedere, sacrificium accepturus, ter se humiliet. Et novi quia indocti et quicumque fuerint tales ad calicem non accedant, et quando offertur oblatio nullus cogatur coactus accipere sacrificium praeter necessitates. In omnique dominica die et sollempnitate, qui non fuerit in coetu fratrum ad dominum fundentium preces, oret ipse, aliqua necessitate cogente. Et quamdiu offeratur non multum discurratur. Paenitens quoque necessitate itineris occupatus ambulansque cum ceteris utentibus licito cibis, si advenerit hora tertia et longe proficiscantur, accipiat et ipse quiddam cibi pro modo quodam et quod ei defuerit accipiat ubi quiescat.

[Se qualcuno fa un sogno impuro o si macchia per una polluzione o si trova in penitenza, deve rimanere in piedi durante l’istruzione. Ma nelle grandi solennità, quando viene dato il segnale di sedersi, quasi a metà dell’istruzione quotidiana, è loro prescritto di mettersi a sedere. Poi, quando tutti sentono il segnale dell’inizio della sinassi per l’incontro del giorno, si lavino prima di entrare nell’oratorio, qualora non l’abbiano fatto in precedenza. È di norma che il primo di grado salmeggi per primo e poi salmeggi il secondo; e non si faccia la genuflessione, ma soltanto l’inchino. I più anziani prendano posto al centro dell’oratorio, tutti gli altri si dispongano a destra e a sinistra, all’infuori del celebrante e di chi l’assiste. Tutte le feste domenicali si canti l’inno proprio della domenica, cosi pure il giorno dell’inizio della Pasqua. Chi si avvia per andare all`altare a ricevere l’ostia, si inchini tre volte. Coloro che sono venuti in monastero da poco, non essendo ancora formati, e tutti coloro che si trovano nella stessa condizione, non si accostino al calice; e quando si offre l’oblazione, nessuno sia costretto a ricevere per forza l’ostia, se non in caso di necessità. Ogni domenica e in ogni solennità, chi, costretto da qualche necessità, non può prendere parte all’assemblea dei fratelli che innalzano la loro preghiera a Dio, preghi da solo. E mentre si fa l’offerta, si eviti quanto più possibile ogni andirivieni. Se un penitente si trova a doversi spostare ed è in cammino con altri ai quali è lecito prendere cibo, se all’ora terza c’è ancora molta strada da percorrere, prenda anche lui un po’ di cibo con parsimonia; prenderà il resto quando sarà arrivato].

In commune autem omnes fratres omnibus diebus ac noctibus tempore orationum in fine omnium psalmorum genua in oratione, si non infirmitas corporis offecerit, flectere aequo animo debent, sub silentio dicentes, Deus in adiutorium meum intende, domine ad adiuvandum me festina. Ps. 69. 1 Quem versiculum postquam ter in oratione tacite decantaverint, aequaliter a flexione orationis surgant, excepto diebus dominicis et a prima die sancti paschae usque ad quinquagesimam diem, in quibus moderate se in tempore psalmodiae humiliantes, genua non flectentes, sedule dominum orent.

Tutti i giorni e tutte le notti, quando si fa la preghiera, alla fine di ogni salmo, tutti i fratelli insieme devono inginocchiarsi di buonanimo in preghiera – a meno che una infermità fisica non lo impedisca – dicendo a bassa voce: O Dio, vieni a salvarmi, Signore, vieni presto in mio aiuto. Dopo aver cantato tre volte silenziosamente questo versetto nel corso della preghiera, insieme si alzino dalla loro preghiera fatta in ginocchio; ciò a eccezione della domenica e dal primo giorno della santa Pasqua fino a Pentecoste, giorni in cui, durante la salmodia, inchinandosi leggermente, senza piegare le ginocchia, pregheranno con cuore ardente il Signore.

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10

Si quis frater inoboediens fuerit, duos dies una paxmate et aqua. Si quis dicit, ‘Non faciam,’ tres dies uno paxmatio et aqua. Si quis murmurat, duos dies uno paxmatio et aqua. Si quis veniam non petit aut dicit excusationem, duos dies uno paxmatio et aqua. Si duo fratres contenderint aliquid et ad furorem venerint, duos dies uno paxmatio et aqua. Si alius contendit mendacium et distinctionem confirmat, duos dies uno paxmatio et aqua. Si quis contradicit fratri et non petit eum veniam, duos dies uno paxmatio. Si quis interrumpit mandatum et regulam frangit, duos dies uno paxmatio et aqua. Si quis cum iniungitur ei opus et neglegenter facit, duos dies uno paxmatio et aqua. Si quis detractaverit abbati suo, VII dies uno paxmatio et aqua; si quis fratri suo, viginti IIII psalmos, si saeculari, duodecim psalmos. Si quis obliviscitur aliquid foras, si minus, XII psalmos, si maius, XXX psalmos. Si quis perdiderit vel deciderit aliquid, sicut pretium eius, ita et paenitentia eius.

X. Se qualche fratello disobbedisce, per due giorni a pane e acqua (un solo pane). Se qualcuno dice; «Non lo farò», tre giorni a pane (un solo pane) e acqua. Se uno mormora, due giorni a pane (un solo pane) e acqua. Se uno non chiede perdono o adduce scuse, due giorni a pane (un solo pane) e acqua. Se due fratelli discutono per qualcosa e finiscono con l’adirarsi, due giorni a pane (un solo pane) e acqua. Se un altro sostiene una menzogna e non recede dal suo punto di vista, due giorni a pane (un solo pane) e acqua. Se qualcuno contraddice un fratello e non gli chiede perdono, due giorni a pane (un solo pane) e acqua. Se qualcuno viola un ordine e infrange la regola, due giorni a pane (un solo pane) e acqua. Se qualcuno, quando gli si assegna un lavoro, lo esegue con negligenza, due giorni a pane (un solo pane) e acqua. Se uno sparla del suo abate, sette giorni a pane (un solo pane) e acqua; se denigra un fratello, ventiquattro salmi; se diffama un secolare, dodici salmi. Nel caso che qualcuno dimentichi una cosa fuori: se si tratta di una cosa da poco, dodici salmi, ma se si tratta di qualcosa di più importante, trenta salmi. Se qualcuno perde o danneggia qualcosa, gli si infligga una penitenza proporzionata al valore dell’oggetto.

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11

Si quis facit colloquium cum saeculari sine iussu, XXIIII psalmos. Si quis quando consummaverit opus suum et aliud non requirit et fecerit aliquid sine iussu, viginti IIII psalmos cantet. Si fuerit aliquis bilinguis et conturbet corda fratrum, I diem in paxmatio et aqua. Si quis manducaverit in domo aliena sine iussu et venerit domui suae, I diem in paxmatio. Si quis enarraverit praeteritum peccatum, unum diem cum paxmatio. Vel qui ambulaverit in saeculo et dicit de saeculi peccato, diem unum in pane et aqua. Et tepidus, qui aliquem audierit murmurantem et detrahentem aut facientem aliquid contra regulam et consentit a confessione, diem unum paxmatio.

XI. Se qualcuno si trattiene a parlare con un secolare senza esserne autorizzato, ventiquattro salmi. Se qualcuno, terminato il suo lavoro, non ne chiede [un altro] e fa qualcosa senza il permesso, canti ventiquattro salmi. Se qualcuno è ambiguo nel parlare e getta nel turbamento il cuore dei fratelli, un giorno a pane (un solo pane) e acqua. Se qualcuno mangia in casa di estranei senza permesso e rientra a casa sua, un giorno con un solo pane. Se qualcuno racconta una colpa passata, un giorno con un pane. Se qualcuno è stato fuori, nel mondo, e parla dei peccati che ha visto, un giorno a pane e acqua. E il fratello tiepido, che sente qualcuno mormorare e denigrare o lo vede fare qualcosa contro la regola e consente ad astenersi dal confessarlo, un giorno con un solo pane.

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12

Si quis suscitat furorem fratri suo et satisfaciet ei postea, et ipse non remittit ei sed mittit eum suo seniori, qui suscitaverit furorem viginti IIII psalmos, et ille diem I in pane et aqua. Si quis voluerit aliquid et prohibet oeconomus et iubet abbas, quinque dies. Si quis non venerit ad orationem super mensam et post cibum, XII psalmos cantet. Si quis dormierit dum oratur, si frequens, XII psalmos, si non frequens, VI psalmos. Si quis non dicit Amen, XXX verbera. Si transgressus erit horam, XV psalmos, cantica graduum, nisi matutina hiemis, XII psalmos. Et qui non audierit sonitus orationum, XII psalmos. Si quis veniet ad sacrificium et nocturnum cingulum vel vestis circa eum, XII psalmos.

XII. Se uno eccita all’ira un fratello e poi gli rende soddisfazione, e questi non gli perdona, lo manda dal suo superiore, ventiquattro salmi per colui che ha suscitato la collera, all’altro un giorno a pane e acqua. Se qualcuno vuole una cosa che l’economo proibisce e l’abate comanda, cinque giorni. Se uno non è presente alla preghiera che si dice prima del pasto e dopo, canti dodici salmi. Nel caso che uno dorma mentre si prega, se ciò capita frequentemente, dodici salmi, se di rado, sei salmi. Se qualcuno non risponde «Amen», trenta colpi. Se uno omette un’ora dell’ufficio, quindici salmi; se tralascia i quindici salmi graduali, eccezion fatta per l’ora di mattutino in inverno, dodici salmi. E a chi non sente il segnale della preghiera, dodici salmi. Se qualcuno viene alla comunione con addosso il cingolo o l’abito della notte, dodici salmi.

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13

Si quis ante horam nonam quarta sextaque feria manducat nisi infirmus, duos dies in pane et aqua vivat. Si quis dixerit mendacium nesciens, L verbera; si sciens et audax dicit, duos dies in pane et aqua. Si denegatur mendacium eius et ille contendit, VII dies in pane et aqua. Si quis monachus dormierit in una domu cum muliere, duos dies in pane et aqua; si nescivit quod non debet, unum diem. Si quis non claudit ecclesiam, XII psalmos. Si quis emittit sputum et attingit altare, XXIIII psalmos; si parietem attingit, VI. Si obliviscitur psallendi seu lectionis, III psalmos.

XIII. Se qualcuno, il mercoledì o il venerdì, mangia prima dell’ora nona, a meno che sia malato, [viva] per due giorni a pane e acqua. Se uno dice una menzogna senza saperlo, cinquanta colpi, ma se la dice consapevolmente e sfrontatamente, due giorni a pane e acqua. Se la menzogna viene smascherata ed egli si accanisce a sostenere quanto ha detto, sette giorni a pane ed acqua. Se un monaco dorme nella stessa casa in cui c’è una donna, due giorni a pane e acqua; se ignorava che non lo si può fare, un giorno solo. Se qualcuno non chiude la porta della chiesa, dodici salmi. Se qualcuno sputa e colpisce l’altare, ventiquattro salmi; se colpisce una parete, sei salmi. Se si dimentica di salmodiare o leggere, tre salmi.

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14

Si quis tardius veniat orationibus, L, vel plausu, L, vel segnius exequerit quod iubetur ei, L. Si post pacem sonaverit, L. Si contumaciter responderit, L. Si veniet velato capite in domum, L verbera. Si non petit orationem dum intrat domum, L. Si manducat sine oratione, L. Si locutus est aliquid in ore suo, L. Si sonum fecerit dum oratur, L verbera. Si quis iracundiam vel tristitiam vel invidiam retinet contra fratrem suum, ut tempus tenuerit, ita erit paenitentia eius in pane et aqua; si vero primo die confessus fuerit, XXIIII psalmos cantet.

XIV. Se qualcuno arriva in ritardo alle preghiere, cinquanta colpi, o rumorosamente, cinquanta colpi, o se esegue con eccessiva lentezza ciò che gli si comanda, cinquanta colpi. Se dopo la pace uno fa rumore, cinquanta colpi; altrettanti a chi risponde arrogantemente. Se uno entra nella casa col capo coperto, cinquanta colpi; cinquanta colpi anche a chi, entrando nella casa, non chiede una preghiera. Se uno mangia senza avere pregato, cinquanta colpi. Se parla con la bocca piena, cinquanta colpi. Se fa rumore durante la preghiera, cinquanta colpi. Se uno conserva collera, o amaro risentimento, o invidia nei confronti di un fratello, faccia penitenza a pane e acqua per tanto tempo quanto ha covato in cuore tali sentimenti; ma se lo confessa, il primo giorno, canti ventiquattro salmi.

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15

Quicumque sacrificium perdiderit et nescit ubi sit, annum paeniteat. Qui neglegentiam fecerit erga sacrificium ut siccetur et a vermibus consumetur, ita ut ad nihilum devenerit, dimidium annum paeniteat. Qui neglegentiam erga sacrificium incurrerit, ut inveniatur vermis in eo et tamen plenum sit, igne comburat vermem et iuxta altare abscondat cinerem eius in terra et ipse paeniteat XL diebus. Et qui neglegit sacrificium et immutatum fuerit et panis amiserit saporem, si rubro colore, XX diebus paeniteat, si iacinctino, XV diebus paeniteat. Si autem non immutatum fuerit colore sed conglutinatum, VII dies paeniteat. Qui autem merserit sacrificium continuo bibat aquam quae in crismali fuerit; sacrificium comedat. Si de cimba vel de ponte seu de equo ceciderit, et non per neglegentiam sed casu aliquo, diem unum paeniteat; si autem per contemptum submerserit, id est exierit aqua et non consideraverit de periculo sacrificii, XL dies paeniteat. Si autem obtentu insoliti pinguioris cybi et non vitio saturitatis sed stomachi evomuit in die sacrificii coenam, XX diebus; si infirmitatis gratia, X diebus paeniteat in pane et aqua.

XV. Chiunque perda l’ostia o non ricordi dove l’abbia messa, faccia penitenza per un anno. Chi tratta l’ostia con negligenza così che si secchi e venga mangiata dai vermi, tanto che non ne resti nulla, faccia penitenza per sei mesi. Chi incorre in qualche trascuratezza verso l’ostia, così che si trovi in essa un verme e tuttavia sia ancora intera, bruci il verme sul fuoco e ne nasconda la cenere in terra vicino all’altare, e faccia penitenza per quaranta giorni. E chi non ha cura dell’ostia così che si alteri e perda il sapore del pane, se essa prende un colore rosso, faccia penitenza per venti giorni, se prende un colore violaceo, faccia penitenza per quindici giorni. Se invece l’ostia non ha cambiato colore, ma si è come conglutinata, faccia sette giorni di penitenza. Chi lascia che l’ostia si bagni, subito beva l’acqua contenuta nel crismale e consumi l’ostia. Se il crismale gli cade da una barca o da un ponte o da cavallo, non per trascuratezza, ma accidentalmente, faccia penitenza per un giorno; se però lascia che l’ostia si bagni per irriverenza, cioè se esce dall’acqua e non prende in considerazione il rischio che l’ostia corre, faccia quaranta giorni di penitenza. Se un monaco, avendo mangiato un po’ più del solito, vomita la cena in un giorno in cui si fa la comunione, ma non perché si sia satollato con ghiottoneria, bensì per indigestione, faccia penitenza per venti giorni; se invece ciò avviene a causa di malattia, faccia dieci giorni di penitenza a pane e acqua.

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15[bis]

Qui scit fratrem suum peccare peccatum cf. 1 Ioann. 5. 16 ad mortem et non arguit eum, legis evangelii transgressor notetur, donec arguat cum cuius malum reticuit et fateatur sacerdoti, ut quamdiu conscientia mala reticuit tamdiu in afflictione paeniteat. Qui parvum peccatum reticuit simili correptione non eadem adflictione paeniteat, sed plagis XXX aut XV psalmos canat. Si de reliquo spernens minima neglexerit in pane et aqua paeniteat, ut peccans [iuxta mandatum domini] corripiatur. cf. Matt. 18. 15 Qui vero arguit non leniter, notetur donec petat veniam a fratra correpto et plagis XXX aut XV psalmos. Qui peccatum pudendum alicui exprobrat priusquam inter semet ipsum solum cf. Matt. 18. 15 arguat, sicut dominus dicit, corripiatur donec exprobrato satisfaciat et tribus diebus in pane et aqua peniteat. Qui transgreditur regulam iussionis vel disciplinae generalis, maneat expulsus sine cibo ut in crastinum recipiatur.

[Chi è a conoscenza che un suo fratello commette un peccato che conduce alla morte e non lo corregge, sia considerato colpevole di trasgressione della legge del Vangelo, finché non riprenda colui di cui ha taciuto la colpa e si confessi al sacerdote, e faccia penitenza nell’afflizione per tanto tempo quanto la sua cattiva coscienza l’ha fatto tacere. Chi tace una colpa leggera, faccia la stessa penitenza, ma non nella stessa afflizione, bensì con trenta colpi, oppure canti quindici salmi. Se in seguito trascura queste lievi mancanze sottovalutandole, faccia penitenza a pane e acqua, affinché chi pecca venga corretto secondo il comandamento del Signore. Ma chi corregge senza mitezza, sia considerato colpevole finché non chiede perdono al fratello che ha corretto, e sia punito con trenta colpi o con quindici salmi. Chi rimprovera a qualcuno, alla presenza di altri, un peccato vergognoso prima di correggerlo da solo a solo, come dice il Signore, sia ripreso in attesa che renda soddisfazione al fratello messo alla gogna, e faccia penitenza per tre giorni a pane e acqua. Chi trasgredisce una norma derivante da un preciso comando oppure dalla disciplina generale, resti escluso dalla comunità, senza cibo, e vi sia riammesso il giorno dopo.]

Qui solus cum sola femina sine certis personis familiariter loquitur, maneat sine cybo vel duobus diebus in pane et aqua vel CC plagis.

[Chi parla familiarmente da solo con una donna sola, senza la presenza di persone fidate, rimanga senza cibo, oppure a pane e acqua per due giorni, oppure gli siano inflitti duecento colpi.]

Qui praesumit facere ambasciam non permittente eo qui praeest libera et ineffrenata processione absque necessitate, quinquaginta plagis inhibeatur. Operis peculiaris praesumptio cf. Cassian. Inst. iv. 16 C plagis, possessio cf. Cassian. Inst. iv. 16 alicuius rei quam non necessitas generaliter fratribus concessit, amissione eiusdem et C plagis coerceatur. Necessarium vero ac licitum aliquid facere dare accipere sine iussione XII plagis, nisi ratio aliqua defendat, ut supplex satisfactio remittat.

[Chi si azzarda a fare un viaggio senza il permesso del superiore andandosene con sfrenata libertà e senza necessità, sia punito con cinquanta colpi. A chi osa fare qualcosa a proprio vantaggio, cento colpi; chi è trovato in possesso di qualche cosa che non sia concessa a tutti i fratelli perché necessaria, ne venga privato e sia castigato con cento colpi. Fare, dare o ricevere qualcosa di necessario e consentito senza una specifica autorizzazione è colpa passibile di dodici colpi, se non ci sia un motivo che giustifichi la cosa, nel qual caso basta che si renda soddisfazione umilmente per essere perdonati.]

Qui comedens loquitur, VI plagis. Et cuius vox obstrepit de mensa ad mensam, sex plagis; si de domo foras vel de foris in domum sonuerit, XII plagis.

[A chi parla mentre mangia, sei colpi, a colui che fa udire la sua voce da una tavola all’altra, sei colpi; e dodici colpi a chi parla facendosi sentire dalla casa all’esterno, o viceversa.]

Egredi vel ingredi in domum aut opus facere sine oratione et signo crucis XII plagis, si aliter fuerit, V plagis.

[Uscire dalla casa o entrarvi o compiere un lavoro senza pregare e senza farsi il segno di croce è mancanza passibile di dodici colpi; diversamente, cinque colpi.]

Meum vel tuum dixisse, VI plagis.

[Venga punito con sei colpi chi dice ‘mio’ o ‘tuo’.]

Verbum contra verbum simpliciter dictum VI percussionibus, si ex contentione C plagis vel superpositio silentii.

[Se a una parola se ne contrappone un’altra alla buona, la punizione è di sei colpi; ma se lo si fa con spirito di contesa, la penitenza consista in cento colpi o in un giorno di privazione di parola.]

Si ordinem psallendi non servaverit VI percussionibus.

[Se qualcuno non osserva l’ordine della salmodia, sei colpi,

Si statuto tempore taciturnitatis loqui praesumpserit sine necessitate, XVII plagis.

[Se uno nel tempo del silenzio si permette di parlare senza averne necessità, sia punito con diciassette colpi.]

Si quid de supellectile monasterii per contemptum amiserit vel dissipaverit quis, proprio sudore et operis adiectione restituat vel pro estimatione arbitrio sacerdotis superpositione paeniteat, aut una die in pane et aqua. Si non contemptu sed casu aliquo amiserit aut fregerit, non aliter neglegentiam suam quam publica diluat paenitentia, cunctis in sinaxi fratribus congregatis tamdiu prostratus in terram veniam postulabit, donec orationum consummetur sollempnitas, inpetraturus eam cum iussus fuerit abbatis iudicio de solo surgere. Eodem modo satisfaciat quisquis ad orationem vel opus aliquod arcersitus tardius occurerit. cf. Cassian. Inst. iv. 16

[Se uno per incuria perde qualcosa del materiale in dotazione al monastero oppure li rovina, compensi la perdita o il danno col proprio sudore, cioè con un lavoro supplementare, oppure in proporzione all’entità del danno, secondo la valutazione del sacerdote, faccia penitenza con un giorno di privazione o digiunando un giorno a pane e acqua. Se invece l’oggetto è stato smarrito o danneggiato non per incuria, ma accidentalmente, il monaco sconti la sua negligenza semplicemente con una penitenza pubblica, cioè quando tutti i fratelli sono riuniti per la sinassi, chiederà perdono rimanendo prostrato per terra finché sia terminato l’ufficio; lo otterrà quando l’abate, a sua discrezione, gli comanderà di alzarsi. La stessa penitenza faccia chiunque, chiamato alla preghiera o a qualche lavoro, arrivi in ritardo.]

Si decantans psalmum titubaverit, si superfluo, si durius, si contumacius responderit, superpositione. Si neglegentius obsequia iniuncta impleverit, superpositione. Si vel leviter murmuraverit, superpositione. Si lectionem operi oboedientiaeve preferens, superpositione. Si officia statuta segnius fuerit exsecutus, superpositione. Si demissa sinaxi non continuo ad cellam recurrerit, superpositione. Si cum aliquo ad modicum substiterit, superpositione. Si ad modicum temporis uspiam secesserit, superpositione. Si cum illo qui cellae suae cohabitator non est confabulari quantulumcumque praesumpserit, superpositione. Si alterius tenuerit manum, superpositione. Si oraverit cum illo qui est ab oratione suspensus, superpositione. cf. Cassian. Inst. iv. 16

[Se uno si mostra incerto nel cantare un salmo, se risponde in modo prolisso, troppo aspro o arrogante, sia punito con un giorno di privazione; un giorno di privazione anche per chi compie con negligenza dei servizi comandati. Un giorno di privazione per una mormorazione sia pure leggera. Un giorno di privazione a chi preferisce la lettura al lavoro o a un’obbedienza. A chi esegue con pigrizia i compiti assegnatigli, un giorno di privazione. Se uno, dopo lo scioglimento della sinassi, non torna immediatamente in cella, venga punito con un giorno di privazione. A chi si intrattiene con un altro per qualche istante, un giorno di privazione. Se uno si apparta sia pure per poco in qualsiasi luogo, un giorno di privazione. A chi si permette di chiacchierare anche soltanto per un momento con un fratello che non condivide con lui la cella, un giorno di privazione. Un giorno di privazione anche a chi prende la mano di un altro. Se uno prega con un fratello che è escluso dalla preghiera, un giorno di privazione.]

Si parentum quempiam vel amicorum saecularium viderit vel conlocutus ei fuerit sine iussione, si epistolam cuiuscumque susceperit, si tribuere presumpserit sine suo abbate, superpositione. Si inpedierit aliquem a necessarii facti expletione, superpositione. Si per ardorem mentis legitimum religionis excesserit modum, superpositione. Si alium ferventem a legitimo facto retinere teporis sui gratia praesumpserit, superpositione. cf. Cassian. Inst. iv. 16

[Se un fratello vede qualcuno dei suoi parenti o dei suoi amici secolari o con lui parla senza il permesso, se riceve una lettera da chicchessia, se si permette di spedirne una all’insaputa del suo abate, venga punito con un giorno di privazione. La medesima penitenza per chi impedisce a qualcuno di compiere un atto necessario. A chi, per l’ardore del suo spirito, oltrepassa la giusta misura in fatto di devozione, un giorno di privazione. Se però qualcuno si permette, per la sua tiepidezza, di distogliere un fratello fervoroso da quanto è consentito fare, sia punito con un giorno di privazione.]

Hucusque et in similibus admissis procedit animadversio spiritalis, cf. Cassian. Inst. iv. 16 ut increpatio quae fit a pluribus 2 Cor. 2. 6 peccanti proficiat in salutem et de cetero cautior et diligentior emendatione morum deo propitio salvatus existat.

[In questi casi e in altri analoghi va messa in atto la correzione spirituale, affinché la riprensione fatta da molti giovi alla salvezza del peccatore e costui, in futuro, reso più prudente e diligente, si salvi, correggendo, con l’aiuto di Dio, la propria condotta.]

Qui autem rixam commiserit, septem diebus peniteat. Qui vero suum praepositum dispexerit aut regulam blasfemaverit, foras repellendus est, nisi ipse dicat, ‘Paenitet me quod dixi.’ Si autem non se humiliaverit, XL diebus peniteat, quia superbiae morbo detinetur.

[A chi provoca un alterco, sette giorni di penitenza. Chi mostra disprezzo per il suo superiore o parla male della regola, deve essere espulso, a meno che dica: «Mi pento di ciò che ho detto». Ma se non si umilia, faccia penitenza per quaranta giorni, perché è nei lacci della superbia.]

Verbosus taciturnitate damnandus est, inquietus mansuetudine, gulosus ieiunio, somnolentus vigilia, superbus carcere, distitutor repulsione. Unusquisque iuxta quod meretur quoaequalia sentiat, ut iustus iuste vivat. Amen.

[ll ciarliero deve essere punito con il silenzio, l’irrequieto con la pacatezza, il goloso con il digiuno, l’amante del sonno con la veglia, il superbo con la segreta, il sovvertitore con l’espulsione. A ciascuno venga inflitta la punizione adatta e proporzionata alla colpa, affinché viva da giusto secondo giustizia. Amen.]

In omni loco et opere silentii regula magnopere custodiri censetur, ut omne quantum valuerit humana fragilitas, quae prono ad vitia praecipitari solet cursu oris, mundemur vitio, aedificationemque potius proximorum, pro quibus salvator noster Iesus sanctum effudit sanguinem, quam delacerationem absentium in pectore conceptam et otiosa [passim] verba, [de quibus iusto sumus retributori] rationem reddituri, cf. Matt. 12. 36 ore promamus.

[Si dispone che in ogni luogo e in ogni attività la regola del silenzio sia rigorosamente osservata, affinché, per quanto è possibile all’umana fragilità, che solitamente tende a cadere a precipizio nei vizi seguendo la lingua, ci purifichiamo da ogni vizio e proferiamo, invece, parole di edificazione per coloro che ci stanno vicino, per i quali il Salvatore nostro Gesù ha effuso il suo santo sangue, piuttosto che parole di denigrazione degli assenti, covate in cuore, e altresì quelle parole oziose di cui dovremo render come al giusto Giudice.]

Haec superum volentibus carpere iter tendens alti ad fastigia summa, Ovid Met. ii. 3 rudiumque hominum flagitiis atro ambientibus, uni adhaerere deo hac in tellure misso, statui visa. Immortalia nimirum sunt praemia accepturi cum gaudio summo nunquam decidente in aevum.

[Queste norme ci è sembrato bene stabilire per coloro che vogliono intraprendere il sublime cammino che conduce alle supreme altezze del cielo e che, mentre le malefatte degli uomini volgari li circondano con le loro tenebre, sono decisi ad aderire all’unico Dio, inviato sulla terra. Certamente riceveranno i premi immortali con quella suprema gioia che mai verrà meno.]

Explicit regula cenobialis sancti Columbani abbatis.
Deo gratiam.

[Termina la Regola Cenobiale di san Colombano abate. Deo gratiam].