/61/

8.
Esilio
ed esplorazione del littorale afro-arabico.

Già prima di salire in Abissinia l’anno precedente io aveva esternato al Signor Dejacobis alcuni miei timori sul mio ingresso in Abissinia, ed avrei amato di fare la cosa molto più secreta ed economica per evitare una crisi contraria, ma io era troppo straniero e privo d’esperienza per prendere sopra di me certe misure di prudenza: ho creduto perciò [di] rimettermi ciecamente al Signor Dejacobis, il quale conosceva il paese da molti anni. Egli poi per parte sua era anche da scusarsi, perché un’anno prima del mio arrivo a Massawa, avendo veduto tutto il paese sollevato contro il Vescovo Salama stato caciato da Gondar, giammai avrebbe creduto possibile ancora una crisi favorevole a lui contro di me, motivo per cui lasciò di prendere certe misure necessarie per schivare una crisi.

torbidi contro di me sollevati dal vescovo eretico
[25.10.1847].
Comunque sia però, il fatto è che le notizie dell’arrivo di un Vescovo, e le ordinazioni tenute essendosi moltipliaate, Salama non tacque e cercò di sollevare il suo partito: e Salama non cercava altro che di avere un documento legale per sollevare la questione; questo documento legale fù trovato da lui: [p. 105] Alcune lettere venute dalla S. C. di Propaganda al mio indirizzo, furono mandate al Console Generate Cerruti in Alessandria come Procuratore di detta S. C. per un sicuro recapito. Egli per assicurare di più l’arrivo a me delle medesime aggiunse sull’indirizzo un secondo indirizzo arabo con queste parole[:] all’Abuna Massaja Mutran [= Abuna Massaja Vescovo]; a questa imprudenza ne aggiunse ancora un’altra maggiore, quella cioè di consegnare dette lettere al piego del governo egiziano diretto al governatore di Massawah (1a), /62/ invece di metterle nel piego del Console Francese diretto all’Agente consolare Degoutin; ora il Governatore di Massawah egiziano amico di Salama mandò queste mie lettere a lui. Salama che non aspettava altro che un documento per sollevare la questione, avendolo trovato fece il suo colpo presso del governo di Ubiè in tutte le forme.

mia discesa a Massawah col P. Felicissimo
[23.11.1847; arrivo: 1.12]
Io avvertito qualche giorno prima da persone fide, senza nulla dire del motivo secreto: prendendo motivo del bisogno di discendere a Massawah per intendermi col Console Degoutin e passargli procura, per tutto ciò che sarebbe occorso, prima di allontanarmi di più verso il Sud, in compagnia del solo P. Felicissimo sono partito per Massawa, dove arrivato, passarono appena due o tre giorni, [p. 106] che mi seguirono P. Giusto mi annunzia il mio esilio dall’Abissinia
[25.11.1847]:
io ricevo il nome di Abuna Messia dal vescovo eretico
[30.11.1847]
lettere del Padre Giusto e del Signor Dejacobis, le quali mi dicevano, che, appena partito io, con tutte le forme e solennità Degiace Ubiè mandava [a] significarmi il decreto d’espulsione e di esilio con ordine alla forza di accompagnarmi sino alle frontiere. Quindi mi aggiungevano che abba Salama dubitando di Degiace Ubiè, come amico nostro, per sottrarsi dalle sue mani in caso di rifiuto, era montato sopra la fortezza di Devra Damò, e di là fulminava scomuniche a lui, ed a tutto il governo, quindi interdetto a tutte le chiese del Tigre se io non era subito espulso. Che [per] l’esilio però parlava solo di Abuna Messias (Massaja facendo Messia), e non si estendeva ai missionarii.

Vedendo così risposi subito al Padre Giusto ed al Signor Dejacobis facendo loro coraggio; diedi intanto tutte le istruzioni ai missionarii per la loro partenza verso il Sud chiamando solo Fr. Pasquale a restare con me, dopo aver preso tutte le misure opportune per il bagaglio: diceva finalmente loro, che il Vescovo eretico Salama avendomi fatto conoscere a tutto il Tigrè col nome di Abuna Messia, intendeva che questo fosse in seguito il mio nome, trovandomi troppo onorato del medesimo.

Il console mi fabrica una casa in Umkullu, Spedito che ebbi il corriere, io pensai a stabilirmi in Umkullu, ed ho pregato Degoutin di farmi una casa in legno vicino alla sua, ove potessi restare [p. 107] fino a tanto che fosse finita la mia missione in Tigre, potendo con tutta facilità esercitare alla costa il mio ministero secondo il bisogno, e ciò per non prolungare di più i disturbi alla casa del console. Degoutin fu compiacentissimo ed in due settimane una gran capanna per me, ed un’altra per la cappella furono subito fatte. il vescovo eretico la fa distruggere Abba Salama avendo sentito che io aveva fatta la casa, e che pensava [di] stabilirmi in Massawah spedì regali al Governatore suo amico e cercò [d’]impegnarlo a farmela distruggere per obligarmi così a lasciare ancora Massawa, difatti il Governatore un bel giorno mandò i suoi soldati, e la fece distruggere. Questo affare diventò poi un grande affare /63/ diplomatico, perché, fatta relazione al Console Generale d’Alessandria, e questi mandando[la] a Parigi, dopo alcuni mesi fù mandato un nuovo governatore per nome Halil Bey coll’ordine di mandare in Egitto incatenato Ismaele Effendi suo predecessore, di darmi una soddisfazione e farmi fare la casa a spese del governo.

mia partenza da Masawah per Aden sopra un bastimento di Brème
[16.1.1848]
Io intanto, appena veduto questo atto di persecuzione nel luogo stesso del mio esilio, volendo deviare un tantino l’opinione publica, coll’occasione che un bastimento mercantile di Brème, comandato dal Capitano Hern, persona molto garbata, venuto in Massawah pel commercio, ritornava in Aden mi sono imbarcato per Aden, collo scopo di visitare [p. 108] la costa di Zejla e vedere, se dopo che sarei stato svincolato dalla missione lazzarista avrei potuto tentare da quella parte il mio passaggio ai paesi Galla. Io era partito di Massawah col P. Felicissimo, lasciando colà Fr: Pasquale coi due ragazzi stati comprati a Gualà. arrivo a Hodeida. Partendo da Massawah il bastimento andò direttamente in Hodejda capitale dell’Arabia Felice.

lettera mia al ministro degli esteri di Parigi. In quel tempo l’Arabia Felice era patrimonio del gran Scierif della Meca, e dominata dal medesimo, ma in seguito a certi tentativi di rivolta di questo gran Scierif (come Papa dei mussulmani) la Porta Ottomana stava per prender[ne] possesso dell’Arabia Felice. Per questa ragione il rappresentante del gran Scierif al nostro attivo ci fece molte feste, e voleva ad ogni costo incaricarci di trattare questo affare in Francia, onde ottener[ne] la Protezione della medesima, e così salvare il paese da un’usurpazione della Porta: Avrebbe voluto che io andassi in Francia, ma non potendo, ho scritto una lettera al ministero degli esteri per fargli piacere (1b). arrivo a Berbera
[22.1.1848].
gran mercato.
[partenza: 27.1.1848]
Partiti da Hodejda, come incomminciava allora il mercato di Berbera, il quale incommincia[va] a Novembre e continuava sino al mese di Aprile, il Capitano, senza toccare Aden, andò direttamente a Berbera, dove ha fatto una gran[de] compra di Gomme, e restammo colà otto giorni; passati questi il Capitano partì per Aden per scrivere al suo Armatore, ed ottenere da lui altre somme [p. 109] per continuare il mercato di Berbera molto favorevole.

arrivo in Aden
[28.1.1848].
P. Marco dei servi di Maria.
/64/ Arrivato in Aden, siamo andati alla missione cattolica, allora sul suo principio, rappresentata colà provisoriamente da un [certo] Padre Marco Gradenigo veneziano dell’Ordine dei Servi di Maria, il quale ci ricevette molto gentilmente. Dopo qualche giorno dal nostro arrivo in Aden arrivò colà un sacerdote genovese Don Luigi Sturla, il quale, caciato da Genova come gesuita dai liberali, si era rifugiato a Roma, e perseguitato anche in Roma dai medesimi, storia di don Luigi Sturla perseguitato dai liberali
[7.3.1848]
la S. C. di Propaganda lo mandava provisoriamente in Egitto, raccomandato a Monsignor Guasco. Questi vedendo che anche in Egitto i liberali incomminciavano a perseguitarlo, lo mandò provisoriamente in Aden raccomandandolo al P. Marco; ma sgraziatamente anche il P. Marco avendo ricevuto contemporaneamente qualche lettera da un’amico liberale contro il povero P. Sturla protestava di non volerlo ricevere. mia lettera al Card: Prefetto per don Sturla
[29.5.1848].
Allora preso io da compassione, l’ho preso sotto la mia protezione, dicendo al P. Marco, che nel caso non avrei avuto difficoltà di tenerlo con me. Così finì la questione, ed il povero Don Luigi Sturla restò in Aden sotto di me. Ne scrissi di ciò al Cardinale Prefetto di Propaganda, il quale ne fù molto contento.

il capitano Henz fundatore della colonia inglese di Aden
[19.1.1839]
avendomi fatto una raccomandazione sono partito per Zeila
[arrivato: 1.7.1848].
viaggio a Tagiurra
[arrivato:11.7.1848].
informazioni sosopra gli Hitto galla
In quel tempo si trovava alla testa del governo di Aden il Capitano Henz, come fundatore [p. 110] di quella piazza forte, ed io avendo fatto conoscenza con lui ottenni una lettera di raccomandazione presso Syr Markeb Emir-Governatore di Zejla, e presa una barca mi sono recato a Zejla in compagnia del P. Felicissimo, e di Don Luigi Sturla. Prima di partire da Aden ho detto al P. Marco di mandarmi le lettere in Zejla.

Siamo rimasti in Zejla circa tre mesi. L’Emir Syr Marcheb ci ha dato un alloggio molto commodo in proporzione del paese. Dopo dieci giorni circa abbiamo noleggiato una barca, ed abbiamo visitato tutta la costa da Zejla sino a Tagiurra. In Tagiurra siamo rimasti tre giorni per prendere tutte le notizie sul viaggio per l’interno verso i paesi Galla. Abbiamo preso le informazioni sugli Hitto Galla, i quali sono i più vicini del littorale; sarebbero stati quelli dai quali conveniva incomminciare [la missione], ma ci hanno spaventati dicendoci che erano la più parte mussulmani; d’altronde la nostra missione fundata sulle relazioni di Antoine d’Abbadie doveva quasi per necessità incomminciare dai Galla dell’Ovest, come quelli visitati da lui.

storia curiosa arrivataci. Come quei popolani mangiano molti ovi di anitre marine, i quali si trovano a comprare sullo stesso mercato di Zejla, e sono buonissimi, i marinari ci condussero ad un’isola lontana dal littorale, dove se ne trovavano molti, e là ci arrivò una farsa molto curiosa. nella stessa isola, dove fu ucci[so] il v. console Lambert tre anni dopo
[1858].
Siamo sbarcati tutti anche i marinaj, e ci siamo dispersi alla cerca; mentre eravamo tutti in- /65/ tenti a cercare non pensavamo più alla barca, il solo D. Sturla genovese [p. 111] e conoscitore del mare teneva l’occhio alla barca; tutto all’improvviso vediamo don Sturla mettersi [a] correre e gridare a noi; [era successo] niente meno che i nostri barcajuoli avevano già levata l’ancora e tiravano la vela; si getta subito in mare monta furioso sulla barca ed imbranca il timone. Allora abbiamo capito che questi barcajuoli avevano combinato d’impadronirsi di tutto quello che avevamo e lasciarci là nudi lontani da tutti in un luogo dove non si trovava ne da bere ne da mangiare. Questi selvaggi dopo hanno cercato di coprire la cosa dicendo che era per ridere, e noi stessi frà di loro e lontani da tutti abbiamo finto di credere, ma chi conosce quella gente ha diritto di dubitare. Ritornati poi in barca parlavamo tra noi cosa sarebbe accaduto nel supposto che fossimo rimarsi là; ancora attualmente dopo trenta e più anni mi viene quel truce pensiero. Questo fatto ci consigliò ad usar prudenza e cercare di ritornarsene al più presto alla nostra casa di Zejla, dove siamo arrivati dopo quasi tre settimane di corsa.

Arrivati in Zejla non pensammo più ad altro che a coltivare le persone che venivano dall’interno per le informazioni che cercavamo, ed istruire qualche ragazzo, oppure qualche forestiere, perché gli indigeni di quei littorali sono tutti fanatici mussulmani, coi quali nulla si può fare. contratto di compra di una casa per una procura andata a male
[28.9.1848].
Dietro le notizie avute da diversi negozianti venuti dall’interno [p. 112] la posizione di Zejla non sarebbe stata cattiva per aprirci la strada all’interno, ma in tal caso sarebbe stato conveniente stabilire ivi una procura. A tale effetto stavamo cercando di comprarci una casa. Syr Marcheb ci lasciava trasparire una certa disposizione di venderci quella in cui eravamo; si parlò più volte sempre per vie indirette, alla fine si entrò nel discorso diretto, e dopo molte difficoltà siamo venuti d’accordo sul prezzo di 400. talleri di Maria Teresa; si convenne che uno di noi sarebbe rimasto, e che io con un’altro saremmo partiti per Massawah, di dove avrei mandato la somma per pagare e per fare il contratto in modo stabile; egli intanto mi avrebbe dato ricevuta della caparra, e scritto il contratto come era stato fatto.

Fatta questa convenzione abbiamo aspettato ancora circa dieci giorni per aspettare ancora alcune informazioni che dovevano venire dall’interno, e per disporre le cose nostre, sia per chi restava, sia per chi partiva. Prima della nostra partenza arrivò da Aden un corriere con molte lettere d’Europa, e dell’Egitto. I documenti per la consacrazione di Dejacobis erano arrivati. Il nuovo governatore di Massawah, incaricato dal governo d’Egitto per darci una soddisfazione, e rifarci la casa si trovava già in strada; ritorno a Massawah con P. Felicissimo per la via di Hodeida
[30.9.1848].
arrivo di lettere.
che perciò conveniva che io al più presto ritornassi a /66/ Massawah. Nolegiata quindi la barca ho lasciato Don Sturla in Zejla [p. 113] ed io col P. Felicissimo siamo partiti direttamente per Massawah, obligato nel contratto col padrone della barca a passare per Hodejda. Come il vento non era troppo favorevole il nostro viaggio durò quasi un mese, e mentre calcolavamo di arrivare per Pasqua siamo invece arrivati molto dopo, cioè verso il fine di Aprile.

arrivo a Massawah
[9.10.1848].
grandi feste.
Il nostro arrivo fù un vero trionfo per tutti i nostri: Fr. Pasquale coi due ragazzi Pietro e Paolo erano là sul bordo del mare che ci aspettavano; con loro il Vice Console Degoutin e la sua famiglia con alcuni venuti dal Tigrè. Il Governatore per parte sua mi aspettava per farmi le scuse sull’accaduto sotto il Governatore precedente, e così [ricevemmo] molte carezze, e molti complimenti. Seppi allora che il P. Giusto e il P. Cesare erano partiti da Gualà per Gondar, [29.5.1848] e che già si sapeva il felice loro arrivo [colà]. In Umkullu la nostra casa era già incomminciata e fra poco sarebbe stata finita.

lettera a Dejacobis. Fr. Pasquale aveva preso alloggio in Massawah e mi stava aspettando in una casa situata sopra il mare molto grande e molto commoda. Scrissi subito al Signor Dejacobis il mio arrivo, pregandolo di venire al più presto.

mio dubbio che Dejacobis nascondesse le lettere di Roma
[brevi di nomina: 6.7.1847].
[p. 114] Parlando cogli uni e cogli altri seppi poi molti detagli sull’accaduto in Tigrè. Le lettere andate nelle mani di Abba Salama, e che servirono di documento contro di me erano appunto le lettere venute da Propaganda, e probabilmente sull’affare di Dejacobis. Il Vice-Console Degoutin poi mi assicurò essere venuto un piego al Signor Dejacobis nominato Vescovo di Napoli (per sbaglio prese Nilopoli per Napoli), ma che le aveva sepolte, e nessuno seppe più nulla; tutte queste notizie incomminciarono ad inquietarmi, temendo che l’uomo di Dio volesse nascondermi ogni cosa, armato poi tanto più dalla [scusa della] nuova persecuzione.

suo arrivo a Masswah
[23.10.1848].
Appena egli seppe il mio arrivo subito si dispose a discendere alla costa, e quando ricevé la mia lettera partì sul momento. Come il suo viaggio era sempre interrotto da molte persone che lo incontravano e lo trattenevano, e dove passava la notte [non] lasciava mai il sacro ministero della parola, essendo per lo più il suo viaggio poco presso sul modello di S. Vincenzo Ferreri vi volevano molti giorni, ma alla fine arrivò sempre accompagnato da molti suoi allievi. Quando seppi che doveva arrivare io sortij ad aspettarlo al porto, dove ci siamo abbraciati, e camminammo verso la casa [p. 115] Passato appena il periodo dei compli- /67/ menti e delle visite io mi aspettava che egli sortisse [a trattare] di qualche cosa, ma nulla, e nessun segnale delle lettere ricevute da Roma. Gli ho domandato se aveva ricevuto lettere per me, e mi disse di no; come immancabilmente doveva sapere [del]le lettere di Roma a me dirette, le quali erano cadute nelle mani del Vescovo Salama, perché il Signor Biancheri fù quello che nella disputa alla presenza di Degiace Ubiè aveva preso le nostre difese, e di necessità ha dovuto tutto sapere, ed anche parlare a Dejacobis, ma egli tacque di tutto. Dejacobis confessa la venuta dei documenti, ma disse che aveva scritto aspettando risposta. Vedendo che egli non sortiva affatto, allora ho creduto bene di fargli vedere una lettera di Roma, nella quale si parlava della sua promozione. Vendendosi così preso allora lasciò andare qualche parola come se Roma avesse precipitato in questo affare, e che intanto aveva scritto ed aspettava risposte. Come le bolle venute da Roma, dirette al neo nominato sogliono sempre lasciate a lui la scielta del consacratore, ho creduto per allora di non innoltrarmi di più, tanto più poi che dalla lettera che gli ho fatto vedete doveva pensare che io era venuto a Massawah espressamente per consacrarlo. Per allora la cosa passò così, e non se ne parlò più; poteva anche darsi che la scoppiata persecuzione [p. 116] abbia messo un poco in riguardo il povero Dejacobis per timore di venire anche egli personalmente esiliato.

Il mio esilio l’ha molto afflitto, tanto più che egli sa[peva] che io avrei avuto motivo di lagnarmene con lui, come cosa sulla quale io ho richiamato più volte l’attenzione, ma non è mio uso di ritornare sopra una cosa consumata in buona fede e che potrebbe inutilmente affliggere una persona che amo, e che molto venero. ultimi tentativi per la consacrazione, ma inutili.
le ragioni sono state da me conosciute 15. anni dopo in Parigi.
[De Jacobis accetta: 4.11.1848]
Più tardi facendo [io] ancora altri tentativi per finire questa questione [De Jacobis] lasciò fuggire certe espressioni, dalle quali io deduceva che vi fosse qualche difficoltà dalla parte dei superiori della sua Congregazione, come religioso molto rispettoso dei suoi superiori, ma anche per questa parte io non conosceva abbastanza la portata della sua Congregazione relativamente a queste promozioni. Più tardi in Parigi ho potuto odorare qualche cosa di questo genere, ma il nostro santo Dejacobis era già con Dio, e già l’aveva seguito il suo immediato successore Monsignor Biancheri, ed io mi trovava chiamato dal Signor Etienne Generale come primo assistente nella Consacrazione di Monsignor Bel secondo successore di Dejacobis; nel momento che scrivo tutte queste persone si trovano, come spero, tutti insieme e ben intesi fra loro in Cielo, epperciò [è] inutile parlare; lo stesso Monsignor Franchi consecratore di Monsignor Bel, poscia Cardinale, oggi non c’è più; per me oggi è questo più argomento di meditazione, che non materiale di storia, come troppo vecchia.

partenza da Mahabub colla procura per la compra della casa in Zeila
[ott. 1848];
ma inutile.
/68/ [p. 117] Ritornando al filo della storia, appena arrivato a Massawah io doveva pensare alla parola data in Zejla di mandare qualcheduno per fare il contratto della casa e pagarlo; il caro Don Sturla era là che aspettava, epperciò era questo per me un pensiero troppo pressante. Nessuno [meglio] che il signor Degoutin poteva aggiustarmi questo affare; avendone parlato con lui, egli mi promise subito di mandare il suo segretario arabo, per nome Mahabub, persona molto capace per simili affari e di una probità al di là di quanto si può aspettare da un mussulmano. Si convenne della paga [d]a dargli per andare e venire, ed il Signor Degoutin, il quale teneva nelle mani qualche somma della missione, in mia presenza gli contò, oltre la paga sua 400. talleri di Maria Teresa, e se ne partì con una barca che partiva per Hodejda: così io non vi pensai più sino al suo ritorno circa due mesi dopo. Andato in Zejla non trovò più Don Sturla, il quale era stato chiamato dal P. Marco. ritorno di Mahabub da Aden con lettere di Roma che mi chiamavano in Aden. In quanto alla compra della casa il fanatismo mussulmano, o forze la politica aveva inceppato, anzi distrutto tutto il nostro operato. L’Emiro Syr Marcheb non volle più saperne, e restituita la caparra in parte rimandò indietro Mahabub, il quale imbarcatosi subito per Aden portò le lettere che aveva, e dopo due giorni avendo trovato un bastimento direttamente per Massawa ritornò con lettere di Roma, del P. Marco, e di Don Sturla, lettere che mi richiamavano subito in Aden.

[p. 118] Avendo esaminato la costa di Zejla per sapere, se nel caso avrei potuto passare di là per introdurmi fra i Galla senza passare per il Nord dell’Abissinia, dove io era esiliato; ho potuto rilevare che non avrei potuto sperare di passare per Zejla senza una conoscenza speciale col Re di Scioha, il quale chiamandomi avrebbe come obligato i Denakil ad accompagnarmi con tutta sicurezza. spedizione del P. Felicissimo in Scioha col deftera Abebaju
[1.11.1848].
Come il Padre Felicissimo non era esiliato in Tigrè, ho pensato di mandare lui direttamente allo Scioha con questa missione. La fortuna o meglio la Providenza volle che in quel momento mi arrivasse dall’Abissinia Deftera Abebaju, un’antico scrivano di Antoine d’Abbadie, il quale trovandomi in Gualà, venne col suo padrone e dopo molte conferenze avute in materia di religione si fece cattolico e fece la sua abjura in Gualà e la sua prima communione, colla condizione di dedicarsi alla nostra missione e di farsi nostro Prete; venuto questi l’ho mandato col Padre Felicissimo raccomandandogli d’istruirlo nelle lingua latina. Così, disposta ogni cosa, partì il P. Felicissimo col fervente nostro cattolico Abebaju; del quale in seguito se ne parlerà assai, come di un’apostolo nostro.

Fatta la spedizione al Re di Scioha, ho voluto fare l’ultimo tentativo col Signor Dejacobis (che per l’avvenire chiameremo Monsignore), ma l’ho /69/ trovato sempre fermo a resistere; gli ho detto che [io] doveva partire, e che perciò riflettesse bene, perché forze non sarei ritornato tanto presto, ma tutto [fu] inutile, egli mi disse chiaramente che io era libero di partire per i miei affari, ma che intanto non poteva assolutamente acconsentire.


(1a) mentre noi stavamo già in Abissinia, quasi subito dopo la nostra partenza da Massawah l’anno precedente, Massawah che apparteneva alla Turchia al nostro arrivo, il Sultano l’aveva ceduta all’Egitto, ed in quell’anno appunto il Governatore che prima era un turco immediatamente sotto Gedda e sorto Costantinopoli fù [sostituito] e mandato un’Egiziano, certo Ismaele Effendì per Governatore di Massawah, persona tutta amica del Vescovo Salama. [Torna al testo ]

(1b) Nell’anno 1850. l’Arabia Felice era stata presa dalla Porta Ottamana. Recandomi io in Europa, di passaggio per il Caïro, il gran Scerif della Mecca, di cui sopra, si trovava in Caïro prigioniere in viaggio per Costantinopoli, dove fù giudicato relativamente ad alcune accuse di tentata rivolta d’accordo col Viceré d’Egitto Abbas Pascià, il quale nella storia è conosciuto come radicale musulmano, colpevole di trame contro il sistema di progresso europeo introdotto in Egitto dal suo Padre Mahumed Haly, e dal suo [suo] fratello Hibrahim Pascià, morto prima avvelenato dal partito radicale. Questo fatto spiega [† 13.7.1854] la morte misteriosa di Abbas Pascià stesso, avvenuta alcuni anni dopo, trucidato anche egli da un suo famigliare. Questo partito radicale della Mecca lo veggo oggi ricomparire in Egitto, nel 1883. [Torna al testo ]