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9.
La missione di Aden
aggregata al Vicariato Apostolico dei Galla.

[questo 2° viaggio ad Aden va posticipato al marzo 1849] [p. 119] Una volta finiti tutti questi affari ho fatto cercare una barca per Aden direttamente per me. Halil Bey Governatore, tutto amico della missione me la cercò, e d’acordo col Console Degoutin fissarono il prezzo ed il giorno della partenza, obligando il Reïs a tenere sempre la costa dell’Africa sino a Bab-Elmandel, perché essendo la barca un poco piccola non voleva si gettasse in alto mare, ma ogni giorno la sera si mettesse l’ancora e si riposasse tranquillo; partenza per Aden con un servo, e col piccolo ragazzo Paolo
[mar. 1849].
ho preso con me un domestico, ed il più piccolo ragazzo Paolo venuto da Gualà, lasciando il più grande Pietro a Fr: Pasquale. Partiti, se non erro, sui principio di Luglio 1848. da Massawa siamo arrivati la sera a passare la notte ancorati in un piccolo porto di Dalak, dove vi erano dei pescatori delle perle. Fr: Pasquale in Massawah mi procurò tre o quattro ovi di struzzo, e colla metà di uno il mio cuoco mi fece una bellissima fritata con una buona minestra di riso. Così abbiamo passato la notte molto tranquilli. L’indomani il Reïs levò l’ancora sul fare del giorno, ed invece di prendere la costa, come eravamo d’accordo, la barca ha tenuto il largo, ma la giornata, grazie a Dio, fu anche buona, motivo per cui no[n] ho voluto sollevare la questione, e la sera non avendo trovato luogo da gettare l’ancora si camminò tutta la notte [p. 120] con un bel venticello quasi in poppa. La mattina ci siamo trovati perfettamente in alto mare, e la terra non era più visibile; ancora il terzo giorno fummo fortunati, tolta un’ora poco presso di calma la mattina, le due notti ed i due giorni furono bonissimi. Con tutto questo il mio cuore non riposava trovandomi in alto mare con una barca molto piccola. La mattina del quarto giorno incomminciò una calma tale, che la barca appena si moveva, e durò tutto il giorno, e quasi tutta la notte seguente, pendente la quale [si produsse] un’infiammazione fosforica tale, che ci pareva di essere in mezzo ad un lago di fuoco, la quale durò tutta la notte. La /71/ mattina continuò la calma quasi sino a mezzo giorno, ma poi incomminciò ad increspare il mare, e la nostra barca camminava a vele gonfie, ma il venticello andava sempre crescendo ed il mare incomminciava ad agitarsi in modo che tutta la notte poco si poté dormire. Terribile tempesta che durò tre giorni di vera agonia L’indomani l’agitazione del mare sempre crescente divenne tale che la nostra povera barca faceva dei voli spaventevoli. Tutto il giorno e tutta 1a notte le unde che parevano montagne qualche volta s’incontravano, e la povera barca presa frammezzo riceveva molta aqua, e minaciava di essere sommersa; il povero piccolo Paolo era travagliato dai vomiti, e da due giorni non mangiava più, eppure così, ammalato teneva stretta la sua medaglia [della Madonna] nelle mani e non la lasciava, e qualche volta con una voce che moveva a compassione gridava[:] oh madre mia! [p. 121] alla sua medaglia rivolto, e ciò a tutti i colpi di vento: si passò ancora un giorno più terribile; la vela da quasi due giorni non manovrava più, di modo che la barca era in balia dei venti; da due giorni gli uomini non facevano che gettare aqua nel mare per scaricare la barca che era piena, lo stesso piccolo Paulo vedendo gli altri, da una mano teneva la medaglia, e dall’altra con una piccola tazza di zinco gettava anche lui [aqua]. la burrasca cessata ci manca l’aqua mescolata coll’aqua del mare. Dopo tre giorni di tempesta orribile verso sera il vento si raddolcì e si poté manovrare un poco la vela per fare stentatamente qualche movimento; dopo il gran vento la borrasca dura ancora quasi un giorno con un movimento fatuo, ma molto disgustoso; solo la mattina del quarto giorno un vento regolare si spiegò da levarci ogni perico[lo]. Sgraziatamente in tutta quella crisi era penetrata molta aqua del mare nelle giarre dell’aqua dolce in modo da renderla salmastra. In tutti questi trambusti io aveva detto niente, passata la notte nella baja di Assab. ma il capitano nostro che sapeva il contratto fatto voltò la prora della barca verso la costa, e la sera ci trovammo in facia ad Assab, ove abbiamo passata la nette ancorati in quella baja: chi avrebbe detto [p. 122] che quella sterile baja, dove non vi era vestigio d’umanità, doveva un giorno diventare una piazza italiana...! abbiamo passato il giorno in Assab, dove si trovò aqua dolce; là ho regalato i barcaïuoli colle mi[e] proviste. comunque fù appunto colà, che dopo tre giorni di morte quasi continua, abbiamo trovato salute. Il mio servo Salomone, un’israelita mezzo convertito pensò a farmi prima di tutto un buon caffè, ed ho ordinato che fosse dato a tutto il mondo della barca, massime al mio piccolo Paolo. Sgraziatamente però il caffè fatto anche senza economia pure non era buono, perché l’aqua era salmastra. Dopo il caffè Salomone mi fece una buona fritata [di uova] di struzzo, e me la sono mangiata con gusto. Ho comandato un buon riso per tutto l’equipaggio, cosa che fece molto piacere a quella gente, che invece temeva di essere gridata. Io aveva qualche bottiglia di vino, e fu molto preziosa per saziare la sete: dopo tre giorni di agitazione abbiamo dormito.

/72/ L’indomani noi desideravamo un poco di riposo, ed i barcajuoli lo desideravano più di noi, anche per riparare un tantino la barca; due che più conoscevano il paese sono discesi con due vasi vuoti, e dopo quasi un’ora ritornarono po[r]tandoci dell’aqua, non totalmente dolce, ma più bevibile della nostra; con quella Salomone poté fare un poco di buon caffè per tutti ed un poco di buona minestra pel pranzo.

[p. 123] Passata la giornata e la notte in Assab con un buon venticello abbiamo passato lo stretto di Babelmandel, e come non trovammo un buon luogo per gettare l’ancora abbiamo camminato anche la notte ed il giorno seguente con un buon vento e verso sera già eravamo in vista di Aden, arrivo in Aden
[metà mar. 1849].
incontro di don Sturla e del p. Marco.
ma non siamo entrati nel porto che a notte avvanzata; ancora della sera ho potuto mandare una letterina alla Missione. L’indomani mattina mi vennero all’incontro [i missionari]. Don Luigi Sturla prese il piccolo Paulo in groppa sul suo borricco, ed io col P. Marco siamo andati direttamente alla missione, mentre Don Sturla restava con Salomone per consegnare il bagaglio a qualche cameliere.

notizie di Venezia divenuta r[e]publica. Il Padre Marco fù impaziente di darmi subito la notizia che Venezia era divenuta Republica, e che egli aveva ottenuta la facoltà di ritornarsene in Patria. I parenti del P. Marco Gradenigo, vedendo un momento proclamata la republica, han creduto di vedere domani il loro doge, e dopo domani [pensavano:] potremo sperare di avere un’altro Doge ad illustrare la famiglia; ma povera gente non badavano che il secolo decimonono governato da gran mastri e grandi orienti, imperatori, Re, dogi, republiche, e quanti altri sistemi politici inventati non sono altro che diaconi, suddiaconi, [p. 124] accoliti, e chierici per servire la messa al gran despota del mondo, il quale regna minaciando [col] coltello alla gola degli stessi imperatori così chiamati. Il Padre Marco esaltato da certe illusioni non vedeva il momento di rivedere la sua Patria. Era difatti richiamato dai suoi superiori e dalla S. C. di Propaganda, la quale mi scriveva che la missione provisoriamente era unita al Vicariato Galla.

resa dei conti, e consegna della missione a me.
[partenza di p. Marco: 2.7.1849]
Dopo un giorno di riposo si lavorò a fare l’inventano degli oggetti che si potevano considerare come appartenenti alla missione, separando quelli che dovevano appartenere al P. Marco ed all’Ordine dei Padri Serviti. Finita questa operazione il P. Marco aggiustò i suoi affari per essere pronto a partire col primo vapore inglese, il quale dopo pochi giorni venne da Bombay e partiva per Suez; così ci siamo separati da questo buon Padre, il quale nella sostanza era buono, ma sgraziatamente giovane, ed in un’epoca che il movimento del così detto progresso sapeva vestirsi anche da prete, per ingannare non solo i semplici, ma /73/ ancora certiuni di grandi calcoli; l’Italia di quei giorni ancor novizia in queste evoluzioni poté essere ingannata, e confondere la zizania col fromento; oggi i due partiti hanno, troppo tardi per molti, spiegata la loro bandiera d’iniquità, il povero paese si è veduto preso nella rete massonica, e mentre credeva [di] regnare conobbe di essere schiavo.

Partito che fù il Padre Marco ho incomminciato subito a fare serie conferenze col P. Sturla [p. 125] che la forza delle circostanze l’obligava [a] divenire il missionario Cappellano Cattolico di Aden. storia di don Luigi Sturla terziario nostro In Decembre 1845. passando in Genova ho voluto baciare la mano a Sua Em. il Cardinale Taddini, allora Arcivescovo di Genova. Aspettando nell’anticamera era seduto presso di me un pretocolo piccolo e mal vestito, il quale parlava col Segretario di S. Em. di molti affari di beneficienza; come era prima di me fu chiamato, ed io restai col Segretario ad aspettare, e come questo prete mi aveva lasciato una certa idea di se, ho domandato chi era, ed egli mi disse queste parole: è Don Luigi Sturla, se vuole conoscerlo legga la vita di S. Vincenzo de Paoli, e lo chiami Sturla, non potrei farglielo conoscere diversamente. Tanto mi bastò per canonizzarlo nel mio cuore, ma come io doveva partire l’indomani per Roma, neanche ho pensato di procurarmi una conoscenza particolare di lui: chi avrebbe creduto che questo santo uomo dovesse cadermi nelle mani...! basta questo per far conoscere il regalo che Iddio aveva preparata alla missione di Aden, dove restò sette anni, divenuto[ne] l’apostolo, il Padre dei poveri, e l’idolo del governo stesso; [ritorno: 1857:
morte: 19.4.1865]
partì pianto da tutti per ritornare in Genova a morire quasi subito venerato come un santo; quando arrivò in Aden mi sono ricordato delle parole suddette del Segretario, ed ho ringraziato i liberali che me lo mandavano.

stato della missione di Aden Ciò detto [proseguo,] ritornando alle nostre conferenze con Sturla sulla missione di Aden, missione nuova, dove tutto era da farsi. [p. 126] In quel tempo Aden contava solo qualche anno, e la Missione fin là era stata sempre amministrata provisoriamente da Preti di passaggio. La Missione non aveva casa, non aveva chiesa e [era] senza risorse dal Governo, fuor che qualche sussidio secondo la generosità del Governatore. La Messa si diceva dentro una gran capanna di paglia, ed il Prete abitava una capanna; da un momento all’altro un fuoco poteva distruggere tutto. Ma questo era ancora il meno male: tutto compreso, la colonia contava al più mille cattolici, ma di nazione talmente diversi che vi sarebbe stato il bisogno almeno di tre sacerdoti per istruire, predicare, e confessare i cattolici. Don Sturla parlava sufficientemente bene la lingua inglese e la lingua francese. La lingua inglese serviva per la maggior parte degli impiegati, e dei soldati irlandesi, ma restavano i soldati in- /74/ diani, per i quali sarebbe stato necessario saper due lingue, l’indostano e il madrastese; una gran parte dei piccoli impiegati e di domestici erano portoghesi in Goa, dei quali una parte sapeva un poco d’inglese. In fine rimaneva la popolazione indigena per la quale l’unica lingua era l’araba. In una Babilonia simile un povero Prete solo come può cavarsela?

providenze per Aden. Si decise che la predicazione e l’istruzione in Chiesa si dovesse fare in lingua inglese: come lingua del governo che tutti chi più chi meno dovevano sapere. Per tutte le altre lingue si cercarono subito dei catechisti per istruire nelle diverse lingue, ma per questi diversi catechisti bisognava pensare a dare qualche [p. 127] cosa, perché tutti dovevano vivere ed in Aden tutto era caro. buone disposizioni dei cattolici di Aden. Abbiamo radunato i più ferventi fra i cattolici e si sono fatti parecchi congressi, sia per eccitare il zelo per istruire destinando qualcheduno in tutte le diverse colonie; sia ancora per fare delle questue. Bisogna dire, che, sia riguardo all’istruzione, sia riguardo alle questue i cattolici si prestarono molto. Io sono rimasto in Aden circa tre mesi, ed ho amministrato il battesimo parecchie volte, una volta ho battezzato dodeci soldati indiani. Riguardo alle questue in quei tre mesi si radunarono circa sei mille franchi; la metà di quello che si raccoglieva era per mantenere i catechisti, e [con] l’altra metà si doveva fare un capitale per fabbricare la Chiesa e la casa.

ricorso alla Propagazione di Lione
[30.9.1849]
e agli amici d’Europa
Per parte mia poi ho scritto a Lione, affinché mandasse a parte qualche cosa per questa missione, e mandò subito dieci mille franchi. Scrissi pure a molti amici e benefattori d’Italia e di Piemonte dai quali ho radunato circa altri dieci mille franchi. Lo stesso fece il P. Sturla scrivendo ai suoi amici di Genova. Di modo che in un’anno già contavamo circa 50. mille Franchi per la casa e per la Chiesa. Ciò fece molto coraggio al zelante P. Sturla, il quale anche dopo la mia partenza proseguì con gran zelo l’opera incomminciata. promesse e regolamenti per la casa di Aden. Per tutto il resto ho promesso ai Cattolici che sarei andato anche in Europa [p. 128] e particolarmente in Inghilterra per trattare gli interessi di questa missione, sopratutto per domanda[re] una sussistenza al missionario, ed un’ajuto per fabbricare la Chiesa. Come poi il Padre Sturla desiderava di essere terziario nostro gli ho dato l’abito, e non contento di un semplice scapulare volle sempre portare l’abito cappuccino, però ho voluto che fosse più leggiero, perché altrimenti in Aden sarebbe stato impossibile [durarla] (1a) Poscia a sua istanza ho fatto regolamenti a lui particolari, e poi per /75/ la casa, ed anche per [i missionari] europei, subito che vi sarebbero stati. Non bastava ancora, gli ho fatto venire da Roma il titolo di Vice Prefetto, e per parte mia l’ho nominato Vicario Generale e Procuratore per tutto ciò che sarebbe occorso, tanto in Aden che nei luoghi circonvicini, dove io non mi sarei trovato.

partenza per Massawah, sopra un bastimento di Morizio
[30.9.1848]
Date tutte queste disposizioni per la missione di Aden, e data una solenne benedizione Papale a tutti i nostri cattolici radunati in Chiesa per la solennità di tutti i Santi, essendo venuto dall’isola di Morizio un bastimento che andava in Massawa a caricare [dei] muli sono partito col medesimo per Massawah, dove Roma mi ordinava di andare per la consacrazione di Dejacobis. Il Capitano del bastimento non conoscendo bene il mare rosso, non ostante che avesse il Piloto, pure, eccetto le grandi traversate, dove non vi sono banchi, [pure] evitava quanto poteva il viaggio di notte, [p. 129] e quando la sera trovava un buon ancoragio ivi passava la notte; così ho potuto visitare tutta la costa affricana da Babelmandel sino a Massawah. Ho riveduto Assab, ho veduto Heth, ho veduto Anfila, ed ho veduto la gran bella baja di Zula. Per questa ragione siamo arrivati a Massawah dopo la metà di Novembre; in Massawah mi aspettavano lettere venute dall’Europa, e dai compagni missionarii dell’Abissinia.

Dejacobis viene a Massawah con molti ordinandi
[23.10.1848].
Appena Monsignore Dejacobis seppe il mio arrivo subito è disceso dall’Abissinia, portando con se una gran quantità di ordinandi, fra i quali un gran capo di Monaci per nome Abba Tekla-Alfa, il quale in Abissinia era venerato come un santo (1b).

/76/ Fr. Pasquale già aveva preso possesso della nuova casa che il Governatore mi aveva fatto fare vicino alla casa dell’Agente consolare Degoutin, dove restava abitualmente la sua famiglia. Per questa ragione anche io ho lasciato l’isola di Massawah e sono andato in terra ferma, luogo molto più fresco, e molto più al largo per tutti gli Abissini che stavano per arrivare. Là ho trovato una piccola Cappella sufficiente per le funzioni, e Monsignore Dejacobis aveva trovata una casa vicina per gli indigeni.

[p. 130] Appena arrivato Dejacobis mi presentò gli ordinandi, facendomi una descrizione del merito e capacità relativa di ciascheduno; Teklalfa non era ancora arrivato. notizie dei missionarii dell’interno. Mi portò lettere e notizie dei nostri missionarii dell’interno. Il Padre Giusto si era fissato in Tedba Mariam, città e gran monastero situato al di là del fiume Bascilò al Sud del Beghemeder, e quasi cerchiato dai Galla, cioè avendo i Borena all’Ovest ed al Sud, ed i Wollo all’Est. Il P. Cesare poi ha voluto fare una scorreria sino allo Scioha, di dove dal Governo di Sciaïfù Padre [di] Menilik fù quasi subito respinto, ed obligato a ritornarsene col P. Giusto in Te[d]ba Mariam. P. Felicissimo poi partito da Massawah, passò dal Principe Ubiè che lo ricevette e lo fece passare a Ras Aly, il quale lo ricevette molto bene come il mio inviato, e trattenutolo otto giorni ben accompagnato e raccomandato lo mandò in Scioha, benché ancora non si sapesse del suo arrivo colà.

Io poi alla costa con Monsignore Dejacobis ho avuto ben da faticare per le ordinazioni da farsi, ma più di tutto ciò che [più] mi diede fastidio era appunto la sua ostinazione nel resistere sempre ancora ai consigli ed alle persuasioni mie intorno alla sua consacrazione: sono arrivato a communicargli certe lettere [p. 131] di amici venutemi da Roma, nelle quali io era criticato come mi fossi rifiutato di consacrarlo. Oh[!] per questa ragione, egli mi disse le farò tante dichiarazioni quante ne desidera.


(1a) Aveva fatto dei regolamenti per quella missione, sperando sempre che quella missione avrebbe avuto uno sviluppo grande, sia nei numero dei missionarii, per le diverse lingue, e sia ancora /75/ rapporto ai nuovi cattolici. Ma ho dovuto convincermi in seguito, che la missione di Aden ha delle difficoltà insormontabili, fino a tanto che non avrebbe trovato una posizione più fresca. La posizione di Aden per i suoi gran[di] calori, non permettendo, sia ai missionarii, sia ai cattolici della [della] colonia una dimora oltre ai quattro o cinque anni, avrà sempre missionarii nuovi, ed una popolazioni fluttuante; appena il missionario ha potuto imparare le lingua, si trova spossato di forze, ed è costretto [a] partire. I soldati non restano più di due anni; gli impiegati civili della colonia anche essi al più possono restare cinque o sei anni. La parte araba che è la più stabile, essendo musulmana fanatica [non] presenta nessuna speranza per il ministero. [Torna al testo ]

(1b) In Abissinia quando una persona si dice santa s’intende nel senso di una santità più legale che mistica ed interna; come in parte dobbiamo interpretare il salutant vos sancti, ed il si pedes sanctorum lavit. La lingua di quei tempi vicini all’antico testamento chiamava santi quelli che avevano una regolarità esterna. Gli apostoli, benché circondati da veri proseliti santi, dei quali una gran parte furono poi martiri; pure dicendo santi, intendevano dire cristiani, anche non canonizzati. L’Abissinia è ancor più bassa di quei tempi, chiama santi quelli che digiunano, che recitano il Salterio, e simili esteriorità, poco curando la loro moralità in tutto il resto, massime interna: uno verbo, come quella del fariseo che diceva[:] ego sanctus sum. L’eretico privo della grazia non potendo avere la vera santità se la forma colle idee cristiane informi che ha, come un bimbo da l’importanza al fantocio con cui suol divertirsi; è un corpo senz’anima. [Torna al testo ]