/339/

39.
Peccatori e lebbrosi.
Incontro con p. Cesare da Castelfranco.

spedizione del servo Giuseppe al p. Cesare. Ritornando ora alla storia, ho scritto una lettera al P. Cesare da Castelfranco, annunziandogli il mio arrivo a Basso, ordinandi di tenere secreta la cosa, e di prepararmi un luogo tutto vicino al Nilo per passare in Gudrù che il fiume sarebbe stato passabile con una certa sicurezza. Ho dato questa mia lettera al servo Giuseppe, con istruzioni particolari, onde assicurarmi del secreto. Egli partì tre giorni prima.

Il P. Cesare in Gogiam aveva fatto molta amicizia con Ras Aly, epperciò aveva preso una posizione molto onorata, creduto da molti il Confessore del Ras. preparativi fatti dal p. Cesare a Zemiè presso Workie Jasu. Ricevuta che ebbe la mia lettera discese a Zemmiè [p. 527] capo luogo di una piccola provincia dei paesi bassi sulle rive del Nilo dirimpetto al Gudrù. In Zemmiè esisteva un rispettabile mercato, al quale venivano i mercanti del Gudrù quando il Nilo era passabile. Regnava colà Fitorari Workie Jasu, come in paese ereditario bensì, ma tributario di Ras Aly. Il P. Cesare suddetto prese tutte le intelligenze con lui per il mio arrivo, presentando il mio nome di Bartorelli, come una persona, sua amica, la quale desiderava di passare in Gudrù per il commercio.

ragioni per le quali non ho visitato la chiesa di Mota In tutto sono rimasto in Mota sei giorni, e [non] sono mai andato alla Chiesa, perché non poteva prendere un’aspetto religioso troppo visibile senza entrare in questioni dogmatiche con tutti quei Deftari molto portati alla disputa ed anche molto critici e faziosi nel loro fanatismo. Per altra parte poi non avrei potuto andate per il bisogno che aveva di custodire i miei giovani, e sottrarli, per quanto poteva, dal contatto di quel clero molto corrotto e superbo. Mota passava come una specie di università per le dottrine religiose. Benché non andassi alla Chiesa, pure le visite di quella razza di Farisei si erano già troppo moltiplicate da lasciarmi temere qualche cosa [di noto] al Ras da compromettere il mio secreto. Io non trovava più un momento libero per coltivare i giovani.

/340/ partenza da Mota per Cranio. Per questa ragione ho dovuto accelerare la mia partenza per la strada di Kranio, altra piccola città con Santuario che portava questo nome, il quale significa Calvario.

[p. 528] Per andare in linea retta a Basso il nostro viaggio sarebbe stato poco presso al sud, ma invece abbiamo dovuto declinare all’est e qu[i]ndi fare una specie di semicircolo per girare intorno alla montagna del Ciocchè poco sicura. Dopo quattro ore di viaggio siamo arrivati a Cranio situato sopra una collina, e siamo entrati in una casa di un Deftera, a cui eravamo raccomandati. Il paese era più piccolo, ed anche la casa dove siamo entrati più ristretta, cosa molto migliore per i miei ragazzi, i quali amavano di essere tranquilli per trovare qualche conferenza di più.

esame sull’onanismo dei miei giovani;
loro confessione sincera.
In Motta non ho avuto più tempo, come sapete, [dissi loro,] e neanche ho potuto occuparmi di voi gran cosa, ora che trovo un poco di tempo voglio sapere da te, (diretto al ragazzo dell’onanismo) cosa facevi in quel momento quando io sono andato in collera con te di notte, e ti ho preso la mano per arrestarti? [Rispose:] Padre mio, adesso parlo avanti [a] Dio, e dico la pura verità: io ho fatto allora quello che facio sempre, una cosa che siamo assuefatti da piccoli, e mi sono divertito per scapriciarmi una volta e levarmi la gran tentazione che mi travagliava da tutta la sera per causa di quelle figlie. Sapevate voi che ciò era male? [soggiunsi io.] Quando eravamo piccoli non credevamo che era male, [riprese quello,] ma dopo che siamo stati grandi non lo facevamo più avanti [a] tutti ma da solo, oppure coi compagni soliti, [p. 529] con tutto ciò noi non crediamo di fare gran male; difatti quando l’ho fatto in letto vicino a Lei non ho cercato di nascondere, anzi noi crediamo che lo faciano tutti; solamente dopo che l’abbiamo fatto il cuore resta stanco e dispiacente, ed allora tutte le tentazioni cessano. Quando siamo sortiti con Lei, ella andò lontano per i suoi bisogni, e noi abbiamo fatto anche i nostri bisogni insieme, ed allora l’abbiamo fatto insieme col mio compagno, perché eravamo travagliati dalla tentazione di quelle figlie. Quando eravamo in letto per dormire la tentazione essendo ritornata, io l’ho fatto, e credo che l’ha fatto anche il mio compagno.

seguita la confessione degli altri. Rivolto quindi ai nipoti di Abba Desta ho domandato se lo facevano anche essi, e con tutta candidezza mi dissero di sì; l’avete fatto oggi[?], [Risposero:] in viaggio no, ma questa notte due volte. Rivolto a quell’d’Iffagh, [gli domandai:] e tu lo fai anche? in Iffagh non lo faceva più perché non ne aveva più bisogno, [rispose,] oggi qualche volta lo facio ancora, ma temo molto [di] farlo, perché Ella mi ha [s]gridato nel /341/ paese dei Zellan; lo [ho] fatto l’ultima volta nella casa di quei ragazzi vicino al Nilo, ma ho pianto per averlo fatto.

predica ai giovani sull’onanismo. F[i]gli miei, [dissi loro,] fin qui [non] ho mai avuto coraggio di domandarvi questo, temendo d’insegnarvi quello che forse non sapete. Oggi che ho veduto io stesso, e che so che lo fate tutti sono obligato a parlarvi chiaro, altrimenti tutti i peccati vostri diventano [p. 530] peccati miei, ed io sarò condannato all’inferno per i peccati vostri. Voi stessi al giorno del giudizio universale griderete vendetta contro di me, perché non vi ho corretti, ed istruiti. Figli miei, cosa vi servirà di avermi seguito col corpo, se poi coll’anima andate presso il diavolo? Parliamo dunque chiaro, ciò che avete fatto fin qui Iddio vi perdonerà facendone penitenza, perché non siete stati istruiti, ma guai se tornerete a farlo, perché è un peccato molto grande. Quel dispiacere, quella pena, quella voglia di piangere che sentite nel vostro cuore dopo di avervi preso il piacere sapete cosa è? è Iddio che è in collera con voi, e l’anima vostra che grida vendetta, perche tradita, è il vostro angelo custode che piange, perché vi ha veduto [a] fare un cattivo contratto, con cui avete venduto il Paradiso per un piacere di un momento. Prima di fare una cosa simile, venite [e] amazzatemi prima, perché amo meglio morire che vedervi precipitati all’inferno dopo tante fatiche; se mi amazzerete avrete amazzato il vostro Padre, ma facendo questo pensate che amazzate il vostro figlio, sì il vostro figlio.

seguita la predica sopra lo stesso soggetto. Figli miei, quando il diavolo entra nel vostro cuore, e vi mette in testa questi e simili piaceri della carne, vi dico io come dovete rispondere al diavolo, e come dovete pensare nel vostro cuore: questo pezzo di carne non è roba mia, appartiene a Dio, [p. 531] il quale l’ha creato non per i miei piaceri, ma per altri suoi altissimi fini, epperciò, fuori il caso di pura necessità voi non dovete stendervi le mani sopra per nulla, come roba tutta sua, che voi non dovete osare ne guardarlo ne toccarlo, fuori il caso del vero matrimonio cristiano e del Kurban, altrimenti siete un ladro che rubate quello che non è vostro, ma che è una proprietà delle più sacre del nostro Dio, la quale entra nell’ordine il più elevato della sua providenza, quale è quello della propagazione del genere umano, di dove siamo sortiti noi stessi. fine della predica;
conseguenze.
Figli miei, Iddio odia chi fa queste cose, e lo odia appunto perché lo ama; Iddio odia l’uomo che fa questo, perché egli ne sa più di noi, e sa che facendo questo l’uomo distrugge se stesso, e stravolge l’ordine economico da Dio stabilito nella propagazione dei suoi figli; in poche parole Iddio lo odia, perché [gli] è padre di lui, e della sua posterità che egli solo governa.

/342/ Terminata questa energica conferenza a quei giovani, onde troncare un’abitudine che mi constava da una confessione fattami da tutti, abitudine incompatibile colla mia sequela, sia per la loro salute, sia per i fini che io aveva sopra di loro; pene esternatemi dai nipoti di abba Desta relativamente a questo loro zio;
conferenza particolare per questi due.
della stessa sera mi presero a parte di due figlii di Abba Desta: oggi Ella ci [ci] ha spaventati, mi dissero, non solo per noi due, perché noi oggi incomminciamo [a] sperare di poter lasciare queste cose, [p. 532] ma siamo in gran pena per il nostro Zio e Padre Abba Desta, persona venerata come un santo da tutti, e che noi dobbiamo amare e venerare, persona che in questo non è migliore di noi, perché dopo aver passata la giornata in Chiesa a pregare, la sera e la notte la passava con noi, Dio solo sa come! se è così, come egli si salverà? Figli miei, dissi, pensate oggi a voi, perché ancor siete deboli ed in pericolo, e temo di voi stessi, che per questa ragione il Diavolo non incomminci qualche [tranello] secreto per ricondurvi al peccato. Credete voi che io non pensi a lui? voi siete piccoli arboscetti, e col mio solo coltello di sacoccia posso p[u]otarvi, ma egli è un grand’albero, ci vogliono grandi istromenti, e quando voi sarete divenuti grandi nelle vie di Dio, mi aiuterete in questa grande operazione; per ora pregate per lui, e pensate solo a salvar[var]vi, eccovi la risposta per oggi. La malattia è una malattia del paese non del vostro zio solo; il paese crede [di] santificarsi barbottando qualche libro, senza osservare la legge di Dio.

continuazione del viaggio. La conferenza fece una vera crisi in tutti i cinque ragazzi, i quali passarono la notte a pensarvi. L’indomani abbiamo lasciato Cranio, tenendo sempre Sud-est, lasciando le montagne a diritta per un piano leggermente undegiato da colline abbastanza popolate. Come non mi ricordo più dei villaggi, pei quali siamo passati, lascio di nominarli, dico solo che nel terzo giorno andavamo direttamente al Sud, e più verso sera al Sud-Ovest, arrivo alle vicinanze di Dewra Work. ed abbiamo passato la notte in un Villagio, il quale era ad una piccola giornata [p. 533] da Dewra Work gran Santuario, di cui ho parlato nella mia andata al Ras, ed un’altra piccola giornata a diritta da Nazaret, di cui pure ho parlato ritornando dal Ras in viaggio per Mota. Io schivava la sinistra per non andare alla città di Ras Aly, appena un giorno lontana da noi.

I paesi per dove eravamo passati, erano paesi poco popolati da contadini, molto più calmi, e meno pericolosi per i m[i]ei ragazzi, ai quali [non] ho lasciato mai le mie conferenze, sempre fatte con molta soddisfazione: essi stessi mi esortarono a riposarmi di notte, e non più passarle in tanta pena e sollecitudine per loro. Essi stessi non mi nascondevano più i pericoli, e le relative tentazioni. Ci restavano ancora tre buo- /343/ ne giornate per arrivare a Basso al nostro Sud-Sud-Ovest; abbiamo tenuto il centro del Gogiam per schivare i soldati ma per schivare il movimento dei soldati ed impiegati che andavano e venivano [d]al Ras, eravamo costretti [a] lasciare la strada della sinistra detta di Liban che sarebbe stata più asciutta, e ci tenevamo più al centro del Gogiam paese piano con l’aqua a mezzo ginocchio in molti luoghi, paesi quasi deserti e [con] pascoli coperti di bestiami.

Ma prima di lasciare il villagio suddetto debbo raccontare due fatti colà arrivati. storia di un lebbroso che minacia di dormire con me. La sera arrivando in quel villagio, si presentò a me un lebbroso, e [p. 534] mi domandò un cordone azurro, che i Cristiani sogliono portare al collo, come distintivo dei cristiani, detto matev. Se non me lo date, disse, preparatevi a dormire con me stanotte. Io conosceva già questa razza impertinente all’eccesso, ho ordinato al ragazzo che gli teneva di darglielo, perché non vi è rimedio, possono farvi qualunque dispetto, e nessuno osa ne batterli ne castigarli, godendo questa razza una perfetta immunità in tutto il paese, per una falsa compassione: quando ebbe ricevuto il cordone, passò più avanti e domandò un tallero coll’istessa minacia. Avendo fatto qualche difficoltà, egli colle sue mani tutte piagate si avvicinò a farmi delle carezze. Cercava di farmi violenza a soffrirlo pensando al mio Serafico P. S. Francesco, ma mi sono accorto che io mi trovava ancora cento passi più indietro della sua conversione; allora dibattendomi per liberarmene sorsero tutti i miei giovani a diffendermi, ma questa razza è mai battuta in Abissinia, ed è sempre vincitrice; sortirono i paesani, e [a] forza di fare, mi fecero far la pace con un sale, valore equivalente al decimo di un tallero.

casta dei lebbrosi in tutta l’Abissinia;
qualità della lebbra dominante.
Tutta l’Abissinia è piena di questi lebbrosi, forze più ancora di quello che fosse la palestina nei tempi di nostro Signore. In Abissinia vi sono due specie di lebbra, l’elefanziaca che s’impadronisce di tutta la cute, ma questa è meno frequente; la più frequente è quella che lascia in pace tutto il resto [p. 535] della persona, e si stabilisce nell’estremità delle mani, e dei piedi, quali in uno spazio più o meno lungo rode, e rende il povero lebbroso munco affatto delle dita, e qualche volta anche di tutta la mano, e [del] piede. Il Gogiam è proprio il paese che a buon diritto si potrebbe chiamare la [la] sede di questa malattia.

immunità che gode questa razza; Sarà indispensabile di parlare una seconda volta di questa malattia, quando dovrò parlare dei tentativi che ho fatto per guarirla; ora dirò solamente che questa razza, tollerata ed onorata in Abissinia per una specie di umanità mal’intesa, gode di una specie di immunità totale, che la rende insopportabile, di modo ché può impunemente bestemmiare, ingiurare, o fare altri eccessi [impunemente] senza tema di castigo per parte delle autorità. La cosa è arrivata ad un punto, che molti anche /344/ non lebbrosi lo fanno per speculazione, e si mettono nel novero per godere di questa, e per guadagnare.

storia di un taskar, o pranzo mortuario. Mi sono trovato casualmente presente ad un taskar (pasto mortuario) nel quale si trovavano più di 200. o 300. persone invitate, epperciò si fecero preparativi proporzionati in pane, carne, birra, pietanze, e simili, secondo la condizione. Le persone che concorrono senza essere invitati, e che vi hanno diritto sono i lebbrosi. Ora questi non essendosi trovati soddisfatti nella ripartizione, secondo l’uso del paese [p. 536] colle loro mani immunde e purulenti hanno toccato la maggior parte del pane, della birra, della carne, e delle pietanze, in modo da rendere tutti quegli immensi preparativi quasi esclusivamente per loro, ed una parte degli invitati hanno dovuto andarsene. Un simile fatto è arrivato sop[r]a il mercato di Basso, dove si presentarono questi lebbrosi alla questua del miele e del butirro; non essendo stati esauditi misero le loro mani purolente in molti vasi di miele e di butirro da renderli invendibii con grave danno dei poveri venditori.

arrivo di due giovani da Basso mandati dal padre Cesare. Il secondo fatto che arrivò la sera del nostro arrivo in quel paese è l’arrivo di due servi del P. Cesare, i quali erano andati sino a Mota a cercarci, e poi ritornarono sui nostri passi, e là ci raggiunsero proprio nel momento in cui stavamo disputando col lebbroso suddetto. Erano questi un giovane per nome Berù mio antico allievo, il quale un’anno dopo poi, essendo stato spedito [come] corriere al P. Giusto, morì nel passaggio del Nilo sulla strada di Mota, mangiato dai cocodrilli per aver voluto passare il Nilo a nuoto vicino al ponte rotto, dove siamo passati noi. Il secondo era Giovanni Morka, mio antico allievo [1849] da me stato battezzato in Guradit ritornando dallo Scioha, come sopra ho narrato, essendo padrino il suddetto Berrù. Questo Giovanni Morka era uno schiavo Galla [p. 537] stato comprato in Gondar dal P. Cesare da Castelfranco nel [1847] 1849., il quale mi accompagnò in tutto il viaggio dello Scioha, e dopo dovendo io partire per l’Europa l’aveva lasciato al P. Cesare; fù fortunato di sentire il mio arrivo e mi venne all’incontro col suo Padrino suddetto.

di questo giovane Morka se ne parlerà molto dopo;
a lui ho consegnato i nuovi proseliti.
Di questo individuo dovrò in seguito parlarne molto, perché divenne Prete zelantissimo, mio classico cooperatore, la cui storia è molto edificante, e nel tempo stesso poetica e romantica; alla fine del 1867. essendo andato di mio ordine sulle frontiere di Fadassi e Fasuglu per lavorare all’apertura di una strada alla missione da quella parte, si imbatté frà due tribù Galla in guerra, e secondo il suo solito essendosi innoltrato per far fare la pace, [† fine 1866] prima di essere conosciuto fù amazzato, e finì come martire di zelo.

/345/ All’arrivo di questi due giovani io fui consolato, e molto sollevato, perché essi conoscevano tutto il mio sistema di proselitismo, ed ho potuto rassegnare a loro tutta la cura dei miei giovani, i quali mi occupavano molto. I due vecchj allievi conoscevano il mio spirito, e tutte le debolezze dei nuovi proseliti abissini, a segno che io poteva essere tranquillo.

Così assistito da loro, e prevenuti del bisogno di mantenere l’incognito, abbiamo proseguito i tre giorni di viaggio che ci restavano per arrivare a Basso.

arrivo al santuario di Lieus;
Berrù parte a prevenire il p. Cesare.
[p. 538] La sera del secondo giorno siamo arrivati a Lieus, uno dei cinque gran Santuarii del Gogiam, un giorno lontano da Basso-Jebunna, dove restava il P. Cesare. Il servo Berrù con una mia lettera ci precedette per avvertirlo, affinché sapesse il luogo, dove io l’aspettava affinché mi conducesse al luogo da lui preparato.

nostra partenza per Naura: una bella cascata che serve da ponte. Partiti da Lieus, verso le dieci [di] mattino abbiamo passato un grosso torrente, il quale lasciando il piano cadeva in un precipizio di circa 40. mettri presentando una magnifica cascata. Discesi pochi mettri accanto [al]la cascata siamo entrati in una galleria naturale ed abbiamo potuto passare sotto il torrente stesso all’asciutto, però frammezzo ad una nube di aqua vaporizzata nel cadere. In Europa sarebbe una rarità degna di essere osservata; è bella incomminciando da luglio sino a tutto ottobre; dopo le pioggie, e quando tutti i depositi e stagni dell’alto piano sono esauriti, allora diminuisce l’aqua del torrente e perde della sua bellezza.

arrivo a Naura;
p. Cesare arriva;
passiamo la notte insieme.
arrivo a Zemiè;
Verso sera siamo arrivati a Naura paese nativo di Workie Jasu, dove eravamo intesi di aspettarci, e dove il P. Cesare arrivò difatti poco dopo con delle provviste per saziare la nostra fame vecchia. Abbiamo passato insieme la notte, e la mattina siamo discesi a Zemmiè alla casa di Workie Jasu, dove questo Signore ricevette il P. Cesare con grand’onore [p. 539] lasciando me alla porta ad aspettare fino a tanto che fossero ben accordati sul modo di ricevermi, dovendo io naturalmente figurare come un semplice raccomandato da lui, persona con nessuna posizione in paese.

il p. Cesare mi presenta a Workie Jasu;
ricevo una casa.
Quando tutto fù convenuto, fui chiamato anch’io un momento, e restan[do] egli sempre col P. Cesare, diede una persona che mi condusse alla casa assegnatami, casa che bastava per tutta la mia famiglia, essendovi di più una piccola capanna a parte, la quale poteva servire per me, ed anche per eriggervi un piccolo altarino per celebrarvi qualche volta la S. Messa di notte tempo; poiché di giorno sarebbe stato una cosa sospetta nella mia posizione.

/346/ il p. Cesare con Morka e Berrù ritornano a Basso per mandarmi servizio e proviste Il P. Cesare per non dare sospetto, dopo [aver] prese tutte le nostre intelligenze, se ne partì subito, ed io sono rimasto colla mia antica famiglia. I due servi Berrù e Morka sono andati col P. Cesare per prendere una donna, e molti altri oggetti necessarii per una casa provisoria, la quale doveva almeno durare sino dopo la metà di Novembre, epoca in cui il Nilo sarebbe stato passabile ad una carovana. (1a)


(1a) Essendo partito Morka la prima cosa che ho fatto è chiamare i miei giovani per fare loro una conferenza lasciata da molto tempo. Questi giovani avendo veduto lasciato Basso da una parte, io aveva tosto il motivo a sospettare che questi d’accordo mi avrebbero domandato di ritornarsene al loro paese; invece tutto all’opposto ho trovato che il mio Morka nei pochi giorni che passò con loro aveva esercitato un ministero più efficace del mio; la prima cosa che mi dissero fu the Morka non era un Galla ma un’angelo mandato loro dal cielo; avevano perciò deciso tutti di seguirmi ai paesi Galla; in prova [di ciò] tutti d’uccordo avevano sacrificato a Dio tutti i piaceri della carne; che le tentazioni incomminciavano a cessare; tanto può un bravo proselito...! [Torna al testo ]