/237/

28.
A Rosseres e nel Fazògl. La scorta militare.
Le montagne dei Tâbi.

mia partenza da Cartum
[27.11.1851];
Fatalla mi da un suo servo;
pensa a tutte le proviste;
mi accompagna;
arrivo a Sabba.
La mattina seguente io sono partito, e non so come alla fine sia stata finita la questione. Mardrus intanto avendomi conosciuto non sapeva darsi pace, come avesse passato due mesi senza conoscermi; egli pensò a provedermi di tutto, e mi diede un suo domestico per accompagnarmi, e farmi da dragomanno; egli stesso volle accompagnarmi sino a Sabba, antica città sulle rive del Nilo azzurro, dove siamo arrivati dopo tre giorni di barca. Montando il Nilo azurro, a diritta si trovava un piccolo villaggio che oggi è chiamato con altro nome, ed a sinistra si trovavano alcuni ruderi dell’antica Sabba. Colà si trovava un’uffiziale egiziano con una compagnia di soldati, i quali lavoravano a demolire i ruderi di Sabba per cavarne materiali che si caricavano sulle barche e si mandavano a Kartum, dove si stava fabricando la casa del governatore.

sono ripreso dalle febbri;
visito i ruderi di Sabba.
croci trovate in due sepolcri.
Essendomi venuta la febbre abbiamo dovuto passare là due giorni per prendere il decotto di tamarindo ed il kinino. Ancorché ammalato, pure ho voluto visitate i ruderi di Sabba, dei quali più poco ve ne restava, essendo stati quasi tutti distrutti dagli egiziani per la costruzione [p. 377] della città di Kartum. Poco prima del nostro attivo erano stati trovati due sepolcri, nei quali si trovarono ancora vestigia di ossa, che furono gettate via, ma ciò, che più importa sono state trovate due croci, una di rame un poco più grande, e l’altra di argento. Quella di rame non [aveva] nessun rimarco; ma quella d’argento, poco presso della stessa forma quasi latina, colle quattro estremità quasi in forma di croce, come sono molte delle nostre croci vescovili, aveva nel centro e nelle quattro estremità teche con cristallo, come luogo di reliquie, a segno che io ho creduto che dovesse essere stata una croce vescovile, oppure abbaziale.

L’interiore del sepolcro poi era tutto in larghe tavole di terra cotta: iscrizioni trovate in detti sepolcri;
sono da me coppiate.
io ne ho veduto alcune intiere, lunghe quasi un mettro, ed alte mezzo /238/ mettro. Le altre erano state quasi tutte fracassate, perché intorno al sepolcro vi era un muro quasi incarnato alle tavole. Queste tavole erano tutte scritte con lettere, alcune delle quali avevano del Copto, ed alcune dell’etiopico. Io benché ammalato, pure ne aveva coppiato un’intiera linea nel mio portafoglio, che poi fù perduto in Kafa. Aveva incaricato Fatalla Mardrus di fare il possibile per ottenere sia le croci che le tavole, ed ho fatto scrivere persino al governatore di Kartum, affinché fossero mandate a Roma, assicurandolo che sarebbe stato riconosciuto dal Papa, ma poi io sono andato nell’interno, e [non] ne seppi più nulla.

città di Sennar all’ovest del Nilo;
all’est strada di Gadaref.
Sabba era sulla riva orientale dell’Nilo, dalla parte occidentale del medesimo, alla distanza di qualche ora di viaggio si trova la città di Sennaar in mezzo al delta dei due fiumi azzurro, e bianco, [p. 378] quasi ad eguale distanza dai medesimi, e dal Nord dalla città di Kartum. La città del Sennaar, benché non l’abbia veduta, da quanto dicevano, ha un notabile mercato. Dalla parte orientale poi del fiume azurro, venivano le carovane di Gadaref, città centrale del Suddan, di cui si parlerà poi dopo.

Fatalla ritorna a Cartum
[1.12.1851].
In Sabba mi sono separato da Fatalla Mardrus, il quale ritornò a Kartum, mentre io ho continuato a salire il Nilo azurro. A destra e sinistra del fiume di quando in quando non mancavano i villaggi di poca importanza, anticamente più grossi, ma abbandonati dagli indigeni per causa dei soldati egiziani, i quali gli depredavano. mio viaggio per Rosseres;
vi arrivo in 12. giorni.
Da Sabba per arrivare a Rosseres abbiamo messo circa dodeci giorni di barca. Rosseres è l’ultimo punto dove arrivano le barche di Kartum, perché qui vi si trovano delle cataratte che impediscono la navigazione. Io perciò ho dovuto restare qualche giorno in Rosseres per scaricare la barca, e prendere dei cameli, onde continuare il viaggio.

villagio di Rosseres all’est del Nilo;
altro villagio con mercato all’ovest
Rosseres è un piccolo villagio sulla riva orientale del Nilo; sulla riva occidentale opposta [opposta], un poco nell’interno avvi un’altro villagio, di cui non mi ricordo del nome, dove esiste un mercato. A questo mercato vengono le popolazioni dei Dinka, e delle montagne di Tabi, di cui parlerò dopo. Dalle informazioni prese in Rosseres, questo mercato sarebbe stato un luogo importante per intavolare relazioni colle popolazioni di Tabi, popolazioni forti e bellicose [p. 379] non ancora dominate dagli egiziani, ed in perpetua guerra coi medesimi. Un missionario intrapprendente, ma furbo, da questo mercato con pazienza avrebbe potuto i[n] poco tempo mettersi in relazione con Tabi, e potendovi riuscire, guadagnate quelle montagne troverebbe là posizioni molto sane per stabilire una missione, forze l’unica in tutti quei contor- /239/ ni, come più sopra si parlerà, quando parlerò del viaggio da Fasuglu a Gassan, di dove questo paese è visibile.

cataratta di Rosseres;
la barca ritorna a Cartum.
parto per Famaca sopra i cameli;
strada per boschi di ebano.
Abbiamo dunque lasciato la barca a Rosseres, e formata una piccola carovana, nella quale ai trovavano anche alcuni mercanti di grani e di riso, e d’altri oggetti venuti parte da Kartum e parte da Gadaref, come il caffè ed il sale, siamo partiti per Famaca. La strada del primo giorno fù quasi tutta per boschi, nei quali il legno dominante era l’ebano, grandi alberi, i quali lungo la strada erano quasi tutti guasti dai viaggiatori, che, restando l’albero in piedi ne tagliavano grosse scheggie e se le portavano via; alcuni alberi anche atterrati e tagliati [stavano accatastati] in mucchi da trasportarsi a Rosseres per essere portati a Kartum, ed in Egitto.

La sera siamo arrivati in un piano fuori della selva vicini ad una fontana in poca lontananza da un villagio abbandonato per causa dei soldati egiziani, i quali non lasciano quelle povere popolazioni in pace, ma continuamente li [de]rubano. villagio abbandonato pieno d’insetti, e di serpenti. Come il villagio era abbandonato da molto tempo [p. 380] le capanne erano piene d’insetti molto cattivi, e ciò che è più, la maggior parte abitate da grossi serpenti, motivo per cui abbiamo scielto di dormire all’aperto sopra un terreno nudo e secco, perché in quei paesi caldi certi serpenti e scorpioni sogliono girare di notte, è perciò meglio restare in luoghi netti da sterpi, oppure dall’erba stessa. La si trova il serpente boa, non il grosso, il quale è più raro, ma il piccolo della lunghezza di due mettri e grosso come il bracio è molto frequente; sopratutto è molto frequente l’aspide sempre micidiale. In tutti questi terreni caldi si trovano poi grandi quantità di formiche bianche, le quali [non] si vedono mai, perché esistono sempre dentro terra, non potendo resistere all’aria.

storia curiosa delle formiche bianche. Io avendo aspettato a stendere la pelle per dormirvi dopo la rogiada serotina sul fresco, appena finito un poco di preghiera mi sono posto a dormire sortirono le formiche sotto la pelle, e la mangiavano. Il sonno essendo un poco più profundo per la stanchezza mi sono svegliato verso mattina, e mi sento mordere da tutte le parti. Avendo acceso il lume ho trovato la pelle su cui dormiva tutta mangiata e divenuta come un crivello, cosa che non è arrivata agli indigeni, i quali avevano stesa la loro pelle prima della rogiada, oppure perché usavano ungere la loro pelle con qualche medicina, stando a quanto dicevano.

arrivo a Famaca;
ritroviamo il Nilo;
Più tardi con maggior esperienza parlerò di queste formiche bianche, uno dei flagelli dell’Africa, per ora continuo il viaggio per Famaca, luogo dove di nuovo abbiamo ritrovato il Nilo [p. 381] azurro, lasciato a /240/ Rosseres; questo fiume a Fama[ca] fa una curva dall’ovest all’est per sortire da una piccola valle frammezzo [a] due collinette, dove scorre frà due rocche molte ristrette, là i cameli sono andati a passarlo in luogo molto più spazioso, ma noi l’abbiamo passato sopra una barca per montare al villaggio di Famaca, dove Mahumed Aly aveva fabricato un bel palazzo prima della guerra colla Turchia, come luogo di fuga in caso di essere caciato dall’Egitto. Il palazzo anzidetto è sopra una collinetta che sporge sul Nilo, e vi sono là ancora attualmente parecchi giardini. Il palazzetto però [non] è mai stato abitato, e senza essere terminato incommincia [ad] andare in rovina.

arrivo a Fasuglu;
città di Fasuglu;
detagli.
Abbiamo passato la notte a Famaca, e la mattina seguente in meno di due ore di viaggio piano siamo arrivati a Fasuglu, piccola città, se si può chiamar tale, perché fuori dei soldati, tutta la città non arriva a mille anime. Come è stazione di soldati vi sarà forze un centinaio di donne publiche, le quali stanno sempre in giro per vendere la loro merce. Il mio domestico incaricato particolarmente da me di prendere delle informazioni, domandava in mia presenza ad alcune di queste donne se facevano fortuna, e [esse] si lagnavano perché erano troppe, ed i soldati oppure anche gli impiegati amano a preferenza i ragazzi; questi ragazzi poi sono impertinenti, [concludevano,] e peggiori dei cani, appena ci vedono ci caciano.

detagli sopra l’armata egiziana del Suddan; [p. 382] Voglio dare qui un’idea della truppa del Suddan, Sennar, Fasuglu, e Kurdufan; perché questo può essere utile per calcolarne la moralità e la forza.

modo di recluta. Il soldato del Suddan è per lo più schiavo di razza negra. Se questi schiavi avessero un’educazione qualunque, meno male, ma calcolando il tempo in cui io ho potuto esaminare questa parte, questi saldati mancavano di educazione, e di scuola militare. Tutti gli impiegati tanto civili che militari, gli stessi ricchi proprietarii [ricchi] sogliono comprare giovani schiavi per i bisogni delle loro case, e diremo anche meglio per lo sfogo delle loro passioni, e subito che questi non servono più ai loro bisogni [li] passano [quelli] nel ruolo militare del governo in uno stato di compassionevole corruzione in tutti i sensi, e ricevutane la paga ne comprano altri di loro genio. Ecco il sistema di recluta; quei stessi che sono presi nelle guerre, o comprati dal governo, sono per lo più scielti dai privati, quando trova[va]no il loro conto, e sostituiti da altri già corrotti nelle famiglie. In poche parole questi poveri soldati sono quasi tutti rifiuti delle passioni private rimessi al governo.

Almeno questi poveri soldati fossero ben pagati e ben trattati; anche in ciò vi è una corruzione ed una speculazione privata che fa compassione. /241/ sistema delle paghe dei soldati;
loro malcontento;
Ecco il sistema osservato in quasi tutto l’oriente, e sopratutto in Egitto nelle paghe dei soldati, principalmente. Il bilancio di un dato anno sorte dal tesoro uno o due anni dopo. Sortito dal tesoro rimane nelle banche sotto il nome dei capi dicastero per lo meno un’anno. Sortito di là ritarda nei dicasteri subalterni un tempo anche illimitato, fruttando a beneficio privato dei rispettivi governi subalterni senza controllo; [p. 383] quindi si mangia sulle imprese, si mangia sui morti, si mangia sugli apostati; e poi guai a chi osa far ricorso. i soldati perciò invece di tutelare l’ordine e la sicurezza son anzi essi che la turbano. In fine i poveri soldati quasi tutti stranieri, senza parenti, snervati dai vizii, mal pagati, mal nodriti, e mal vestiti, qual sorta d’impegno [possono offrire] per la disciplina, per la morale, e sopratutto per battersi? Questo sarebbe ancora meno male, ma invece che quest’elemento ben maneggiato dovrebbe servire all’ordine, ed alla disciplina, diventa un’elemento di distruzione. Questi poveri soldati pieni di passioni materiali e senza mezzi per soddisfarle si gettano sopra le popolazioni a pigliare, e far violenze alle donne, ai ragazzi, alle ragazze, e mille altri disordini, come si sa.

per queste ragioni le colonie egiziane non riescono, ed i confini sono più difficili. Ho voluto fare in succinto questa narrazione per [far] comprendere certe cose che paiono incredibili, a chi non conosce, quando si parla di certe colonie egiziane, frà le altre questa del Fasuglu, e quella del fiume bianco. Il bisogno di far schiavi fa che in tutte le frontiere, per poca forza che abbiano, fanno dei tentativi di razia ed irritano orribilmente tutte le popolazioni circostanti in modo che resta impossibile ai viaggiatori sortire dalle frontiere dei paesi da loro dominati; le colonie quindi invece di crescere si dominuiscono, perché i soldati maltrattati fuggono armati e rinforzano i nemici.

io sono stato ben ricevuto in Fasuglu. Arrivato io in Fasuglu, colle raccomandazioni che io aveva dall’Egitto, è chiaro che io fui ben ricevuto, tanto più che la voce di una spia del governo in via era già precorsa. Io fui ricevuto dal comandante con tutti i riguardi possibili in quei paesi, dove le case non erano ancora in grande.

casa del comandante;
cena;
sistema di conversazione la sera;
modo di di dormire.
[p. 384] Il comandante aveva il suo piccolo serraglio, dove passava qualche ora della giornata a fare le sue preghiere, ma poi il pranzo e la cena era[no] [apparecchiati] nella sala di ricevimento, e dove egli stesso dormiva con qualche ragazzo, e dove dormivamo tutti, perché non vi era altro luogo. Dopo la cena vi è la conversazione, e quando questa si è abbastanza prolungata, allora il padrone seguitando [a] discorrere sempre chiama uno dei paggi, e questi si spoglia affatto, lasciando una lunga camicia, si avvicina al padrone e lo spoglia delle sue vesti, e poi seduto ai suoi piedi gli fa leggiere frizioni alle gambe; un’altro pagio cer[c]ava di venire [d]a me, ma il mio domestico, a cui aveva dato le /242/ istruzioni lo impedì, e se lo prese per se. Così si smorzò il lume, e ciascheduno fu libero. Vi erano pure due uffizialetti, e questi pure ebbero ciascheduno il loro paggio; prova questo che è un’uso, ed una vera politezza che intendono fare.

condotta non troppo convenevole del mio domestico cristiano. Come il mio domestico datomi da Fatalla Mardrus era Cristiano, benché [in] quale [grado] non lo sapeva, e dormiva per terra col suo paggio, solamente un palmo più basso, ho voluto stendere la mano sopra dolcemente per accertarmi della sua condotta, ma [ne] fui niente affatto contento di lui. L’indomani gli ho domandato, se sarebbe stato conveniente acettare, ed egli mi rispose che per me non sarebbe stato conveniente, perché certamente non avrei potuto soffrire certe cose che sono perdonabili in paese, ma che non sono in uso presso di noi.

esplorazioni sul mio viaggio ai galla;
conferenze col custode dell’arsenale.
Io era venuto a Fasuglu coll’intenzione di penetrare direttamente di là ai paesi Galla, epperciò coglieva tutte le circostanze per informarmi. Fasuglu si trova [p. 385] sulla via occidentale del fiume azzurro, e mi facevano vedere dei paesi Galla all’oriente; lontani da quanto mi dicevano, non più di cinque o sei giorni di viaggio, ma tutti mi dicevano essere una strada impraticabile. Dal calcolo che io faceva non dovevano essere quelli paesi Galla, ma piuttosto il Gogiam da me già conosciuto. Un’antico uffiziale settuagenario, il quale era stato alla [1832] guerra della Siria sotto il comando di Hibraim Pascià, si trovava in Fasuglu custode dell’antico arsenale fatto [costruire] da Mahumed Haly, e stato suo Pagio. Nella giornata passava qualche ora con lui, perché parlava molto bene italiano. Questi era stato due volte in Abissinia, mandato dal governo con alcuni altri come ambasciatore a Ras Aly. La strada che egli mi avrebbe consigliato sarebbe stata un poco più verso il Nord, e mi avrebbe portato al lago di Tsana, cosa che non mi quadrava.

il custode dell’arsenale mi parla di Fadassi più al sud;
i mercanti mi parlano di Matamma, e di Dunkur.
Io avrei voluto aprire una strada più al Sud che mi gettasse proprio più nell’interno dei paesi Galla per levarmi da [tut]te le complicazioni dell’Abissinia. L’uffiziale suddetto, supponendomi una spia, non era persuaso che io volessi andare, ed io ancora mi guardava dall’esternare tutti i miei piani. Egli mi parlò di Fadassi, dove i Galla vengono al mercato, e mi diceva che da Gassan a Fadassi vi era una mezza giornata di viaggio. Alcuni mercanti venuti da Gadaref, i quali erano venuti carichi di Sale e di Caffè mi esortavano al viaggio di Matamma, di dove, unito ai mercanti di Dunkur, avrei potuto andare direttamente ai paesi Galls girando intorno all’Abissinia, ma anche questa [via] non mi piaceva, perché bisognava sempre essere sotto l’influenza dell’Abissinia. Posto che io era venuto sino a Fasuglu, io voleva ad ogni costo [p. 386] /243/ esaurire tutti i tentativi per aprirmi la strada dai confini egiziani ai Galla.

progetto di partenza per Gassan;
disposizioni prese a questo scopo.
Come ogni settimana partiva da Fasuglu a Gassan una compagnia di 100. soldati, e venivano di là altri cento a Fasuglu per le corrispondenze settimanali, e per mandare a quello stabilimento delle miniere dell’oro le necessarie provisioni, io ho fatto il piano di partire per Gassan per tentare il passo di Fadassi. Ne ho parlato al comandante, affinché mi facesse preparare le bestie per il viaggio. Il domestico mi preparò il mio decotto di tamarindi, e preso questo nei due giorni che mi restavano ancora, e quindi il kinino, nel giorno fisso colla Compagnia del soldati siamo partiti.

partenza da Fasuglu per Gassan;
direzione della strada;
veduta di Tabi.
Da Fasuglu a Gassan vi sono tre giorni di viaggio per paesi deserti, perché il Tabi non molto lontano all’ovest della nostra strada non lasciava [le] popolazioni turke in pace in tutti quei contorni, essendo stati trucidati più volte tutti i soldati egiziani. Appena sortiti da Fasuglu questo gruppo di montagne di Tabi si presenta allo sguardo verso sud ovest, a misura che si progredisce nel viaggio, gira all’ovest, ed arrivando verso Gassan resta al Nord ovest, sempre a distanza di mezza giornata di viaggio in mezzo alla gran pianura dei Dinka.

Verso sera del primo giorno si incommincia a trovare ossame di morti, epperciò la carovana cammina con gran cautela.

bivac della sera;
conferenze con un soldato nativo di Tabi.
La sera al bivac si mettono le donne ed i ragazzi in mezzo, ed i soldati [p. 387] all’intorno. Io poi fui obligato [a] prendere stazione vicino allo stesso uffiziale capo della compagnia. Come frà i soldati si trovava uno proprio nativo di Tabi, ho voluto prendere informazioni, facendo parlare con lui il mio domestico.

Da quanto diceva questi [diceva] tutto quel gruppo di montagne era popolatissimo, e si trovava colà una coltivazione vivissima. La popolazione era retta da un Regolo, il quale era nel paese molto venerato. La lingua di Tabi è un dialetto che ha molta relazione colla lingua Dinka. Molti Dinka dei paesi bassi intorno alle montagne pagano tributo a Tabi. Sulle altezze delle montagne fa anche freddo, in modo che gli abitanti hanno bisogno di essere vestiti di grossi drappi che si fanno in paese. Quello sarebbe veramente stato un paese da farsi centro di una missione, quando fosse stato possibile penetrarvi, ma hoc opus hic labor.

detagli sopra i Tabi prima degli egiziani in Fasuglu. Da quanto ho potuto ricavare, prima che si stabilissero i Turki dell’Egitto Tabi era in relazione con tutte le popolazioni dei contorni, ed in Fasuglu stesso, si contavano ancora alcuni che avevano parenti colà, ma /244/ dopo si sono affatto separati. [Del]Le stesse popolazioni di Fasuglu molti sono fuggiti a Tabi. Da principio non avendo fucili i Tabi temevano, ma dopo molti soldati egiziani essendo fuggiti là con fucili, essi stessi nelle diverse battaglie cogli egiziani avendone trovato molti, [p. 388] i Tabi sono divenuti più forti a segno che da principio bastavano 50. soldati per la carovana trà Fasuglu e Gassan, mentre dopo appena basta[va]no cento.