/252/

30.
Ritorno
e spostamenti a Gadàref e Matàmma.

Come eravamo partiti molto tardi siamo arrivati la sera al luogo medesimo, dove venendo abbiamo passato la terza notte vicino all’aqua. In tutti questi paesi nei viaggi le stazio[ni] sono sempre scielte sotto due punti di vista, uno è l’aqua, e l’altro è per lo più [p. 399] quello dei pericoli di nemici o di bestie feroci. Il punto delle bestie feroci non è tanto per gli uomini, quanto per gli animali. In tutto questo tragitto da Gassan a Fasuglu vi sono degli insetti molto cattivi, ma molto più cattivi sono i serpenti, frà gli altri essendo qui frequentissimo il boha, poco pericoloso per una gran carovana, bensì per poche persone. bagni e spettacoli di immodestia.
baccanale ributtante.
Quando siamo venuti la sera era più tardi, epperciò nessuno pensò a bagnarsi, ritornando siamo arrivati verso le quattro e faceva molto caldo, epperciò quasi tutti sono discesi nello stagno a bagnarsi, e vi fù uno spettacolo tale d’immodestia che, dopo un poco di pazienza ho dovuto allontanarmi un tantino. Vedere tutta quella gente senza nessun riguardo divertirsi, fare dei giuochi, gara a chi gli faceva migliori, per un’europeo, massime religioso, è una cosa davvero ributtante; ma questo non era che un semplice saggio di quello che han fatto la sera, un baccanale insoffribile, il quale durò sino a mezza notte. Qualcheduno mi disse che era un giorno di festa particolare di quei paesi; forze festa di qualche deessa Venere.

Difatti la sera appena mangiata la cena, quasi tutti gettarono affatto le vesti ad eccezione di qualche vecchio, oppure impiegato, e poi incomminciarono le danze. Non vi era la luna, ma avevano acceso molti fuochi. Nella carovana non vi erano più di otto o dieci donne, ma anche queste non si distinguevano più, che confusione! alla fine si smorzarono i fuochi, ed il baccano si sentiva, ma fortunatamente non si vedeva quasi più. Io [non] ho mai veduto una cosa simile in quei paesi, motivo per cui ho creduto [quell’orgia] una creazione diabolica di quei paesi in particolare.

/253/ [p. 400] La giornata dell’indomani fu una giornata di molto viaggio per sortire dai più forti pericoli di Tabi. Si fece appena un poco di stazione verso mezzo giorno, e poi si riprese il cammino sino [a] sera, nel luogo stesso dove ci siamo riposati venendo. Là non si fece che gustare un poco di pane, e poi la stanchezza della notte precedente, e quella della giornata [ci] invitò al riposo.

nuovi esami ed esplorazioni sulla strada ai galla dalla parte di Fasuglu Eravamo ad una piccola giornata da Fasuglu, dove, siamo arrivati verso le due dell’indomani. Io aveva lasciato in sospeso l’esame della strada da Fasuglu ai paesi Galla per la speranza di trovate [di] meglio a Gassan, ma perduta la speranza da quella parte, ho voluto subito riprendere l’esame da questa parte, onde esaurire tutti i tentativi di una strada indipendente da me immaginata; ma pur troppo anche da questa parte, benché i paesi Galla ancor più vicini di quelli che versano a Fadassi e Gassan, pure, da quanto ho potuto vedere non lasciano di presentare gravi difficoltà per le tribù nere miste di arabi tutti mussulmani fanatici che vi sono frammezzo, tribù tutte armate di fucili, le quali si battono cogli egiziani e cogli abissini.

corso del Nilo rimontando alla sorgente Per comprendere bene la posizione di questo, paese, debbo dare un’idea del corso del Nilo. Questo flume, come si può osservare sulle carte, lascia il Fasuglu e monta verso il Sud-Est, dove a poca distanza riceve un confluente, il quale viene dall’Ennerea, dove si chiama Didessa, più [in] basso chiamato [p. 401] con altro nome. Serpeggia quindi più all’Est verso i Galla di Amurrù, e ritornando verso la sua sorgente saluta gli Agau, paese abissinese che lascia al Nord, tenendosi sempre sui confini degli Amurrù Galla: si stende quindi di nuovo verso Sud, lasciando gli Ammurrò all’Ovest, ed il Damot all’Est, tocca poscia le estremità Nord degli Hurru Galla, e quindi girando l’Est va trà il Gogiam ed il Gudrù, [situati rispettivamente] questo al Sud e quello all’Nord suo.

la via ai galla tenendo il Nilo è di necessità quella del lato sud di esso, perché il lato nord porta all’Abissinia. Ritornando ora al Fasuglu, di là non si può continuare più il corso del Nilo, il quale non è più navigabile per causa di piccole cataratte che non mancano, ed anche per causa delle popolazioni che non permetterebbero [la navigazione]. Comunque partendo dal Fasuglu per andare verso i paesi Galla, senza toccare l’Abissinia, bisognerebbe prendete il Sud e vi sono sempre delle tribù nere molto ostili a tutte le provenienze dai paesi egiziani, come già ho notato parlando di Fadassi, e quand’anche queste lasciassero passare arrivati ai Galla, questi non [li] riceverebbero da quella parte; se poi si tiene la strada più al Nord, allora si trovano tribù miste di arabi e di neri, fanatici mussulmani anche nemici degli egiziani, le quali contrastano il passo, e dato anche di superarle, /254/ bisogna [poi] cadere in [balia dell’]Abissinia, passando agli Agau, oppure al Damot, oppure al Gogiam.

Più tardi, nel tempo dell’Imperatore Teodoro, il commercio, sopratutto dei schiavi, essendo stato un poco disturbato dalla parte dell’Abissinia, i negozianti arabi, favoriti dagli egiziani che amavano schermirsi dai rigori europei sulla tratta dei neri, hanno trovato da quella parte [p. 402] una qualche sortita provisoria, ma oggi non so come sia. difficoltà da ogni parte per la strada diretta ai galla;
fu forza retrocedere per la via di Matamma.
All’epoca in cui era in Fasuglu, tanto dalla parte delle informazioni da me prese privatamente, quanto dalla parte dell’amministrazione egiziana il mio piano di strada per i paesi Galla trovò sempre degli incagli molto forti, in modo tale che non potendo più aggiornare gran cosa la mia partenza per l’interno dove mi aspettavano i missionarii, io mi trovava quasi sul punto di risolvermi a retrocedere, indotto principalmente dal consiglio di molti, i quali mi assicuravano, che più facilmente avrei trovato una strada più facile di Matamma, dove il governo di quel paese, essendo allora indipendente, sia dall’Egitto, sia ancora dall’Abissinia, si sarebbe prestato per mettermi in relazione colle tribu medie e indipendenti sopradette.

piani antichi di Mahumed Aly sopra il Fasuglu; Prima di parlare del mio ritorno verso Rosseres, non debbo lasciare qui alcune notizie avute in Fasuglu sui piani antichi fatti da Mahumed Aly all’epoca che questo gran genio aveva visitato il Sennaar ed il Fasuglu prima d’incomminciare la guerra colla Porta ottomana, guerra detta della Siria che ebbe luogo molti anni prima, come ognun sa.

il custode [del]l’arsenale [r]iporta le sue parole L’Uffiziale, allora custode dell’arsenale, col quale io ho fatto molte conferenze, come già sopra ho detto, mi fece molte rivelazioni sui piani di Mahumed Aly sopra il Fasuglu. Quando questi visitò il Sennaar, ed il Fasuglu, egli si trovava con lui nella sua guardia particolare, ed ha fatto con lui tutte le corse e visite locali, ed ha sentito tutti i discorsi che egli faceva.

se io sarò vinto dalla Porta il Fasuglu sarà la mia città per la conquista dell’Abissinia e dei galla Se io sarò vinto dalla Porta Ottomana, diceva, la strada unica che avrò sarà il ritiro per la via del Nilo e del Sennaar, ed allora il Fasuglu diventerà la mia città principale, la quale occuperà tutto lo spazio tra Fasuglu e Famaca. Fasuglu è il più bel centro [p. 403] di operazione per la conquista dell’Abissinia, dei paesi Galla, e di tutti questi spazii immensi trà il fiume bianco ed il fiume azurro: queste sono sue parole, e fin d’allora decise la costruzione di un grande arsenale, e posso dire che incomminciò subito allora a far venire qui molte provviste. Questo arsenale esisteva ancora molto ben fornito nel 1852. che io l’ho visitato, ed esisteva ancora dopo venti anni di continuo ribarizio dei suoi impie- /255/ gati; io stesso avrei potuto comprare dei grandi valori per piccole somme. Bisogna però dire che gli articoli più preziosi erano molto rovinati; gli stessi fucili, la più parte sono stati cangiati e venduti all’Abissinia.

l’esecuzione dei piani dipenderà dalle circostanze variabili, ma l’idea e calcolo mio sarà sempre là per un’altro.
vedete questi paesi... mi daranno l’oro per farmi seguire da un mezzo mondo alla conquista ideata.
L’esecuzione dei piani di Mahumed Aly dipendeva dalle circostanze, e dagli uomini variabili, ma l’idea è sempre quella ed invariabile. Basta conoscere la carta di Fasuglu e dei suoi contorni per essere forzato a convenirne qualunque persona capace di idee grandi. Io ho sentito Mahumd Aly [a] dire, mi diceva questo vecchio uffiziale custode dell’arsenale suddetto, segnando tutti quei paesi vicini al Sud-Est = vedete questi paesi, vi paiono meschini, ma pure mi daranno l’oro per farmi seguire da un mezzo mondo alla conquista ideata = e fù appunto allora che si decretò l’operazione delle miniere, la quale, benché in piccolo, pure fece molto, e diede molto in proporzione fino a tanto che egli regnò, ma appena egli lasciò gli affari l’oro anche cessò, Mahumed Aly in un piccolo tentativo che fece in altro genere, era già arrivato a Gondar, e se le potenze d’Europa non l’avessero impedito, [p. 404] oggi ne sarebbe il padrone, mentre i suoi nipoti 40. anni dopo vi andarono per farvi una campagna di sempiterno [di sempiterno] obbrobrio; la ragione era che Maumed Aly era un gigante, ed il suo nipote un pighmeo.

Ma lasciamo questi slancj e torniamo ai nostri passi. Io, vedendomi contrariato nei miei calcoli, sono stato costretto a ripiegare i miei passi verso Rosseres. mia partenza per Rosseres;
arrivo a Rosseres;
il domestico di Fatalla parte per Cartum;
io parto per Gadaref
[17.3.1852].
Intesomi col Comandante, sono partito da Fasuglu, e per la stessa via per cui era venuto sono arrivato in Rosseres. Dove giunto licenziato il domestico, e rimandatolo al suo padrone Fatalla Mardrus, io con due cameli e due semplici cameieri, tutto solo, schivando tutte le carrovane dei mercanti, invece di riprendere il Nilo, ho preso la strada più all’est, e sono partito direttamente per Gadaref.

Non potrei oggi qui descrivere tutti i paesi pei quali sono passato, perché manco di tutte le mie note, state perdute in Kafa nel mio famoso esilio del 1861., ma mi ricordo solo, che tenendo una linea, e descrivendo un’angolo un poco acuto, dal Nilo assistito dai miei due camelieri padre e figlio, i quali non tardarono subito a prendermi affezione, benché ammalato sempre colle mie febbri, arrivo a Gadaref; in otto giorni di felicissimo viaggio, sono finalmente arrivato a Gadaref.

vado dallo scrivano del governo, un copto ricco e caritatevole. Io aveva sentito parlare in parecchi luoghi di un bravo Copto scrivano molto ricco, il quale faceva molto bene ai poveri ed ai forestieri, vero patriarca, il quale molto meglio dei suoi preti eretici presentava ed onorava in Gadaref il nome [p. 405] cristiano, detto volgarmente il Malim, e non sapendo dove andare in quel gran paese mussulmano, ho detto ai /256/ camelieri dì diriggermi in casa sua; credo di essere ricevuto dal padrone di casa arrivato là in casa, fui molto bene ricevuto, e mi presentarono ad un’uomo dell’età di circa 50. anni, e forze più, il quale mi ricevette molto cortesemente, parlando molto bene la lingua franca d’Egitto, mi domandò il mio nome, e gli risposi che mi chiamava Bartorelli. Mi domandò dove voleva andare, ed io gli ho risposto che voleva visitare il corso del Nilo, a quest’oggetto essendo andato a Fasuglu, e non avendo potuto seguire il corso del Nilo colà, era venuto con intenzione di prendere un’altra via per vedere se mi riusciva [di esplorano] per altra via più indiretta.

veggo molti abissini;
domando;
non è il padrone;
è abba Daud.
Intanto io vedeva là intorno a lui una quindicina di bellissimi giovanetti abissinesi, mi sono messo in guardia, ed ho domandato se non era quella la casa del Malim, sì, disse, ma egli oggi non si trova; allora io dissi, perdoni io non so con chi ho l’onore di parlare; allora egli mi disse, io sono Abba Daud, l’abbate del monastero di S.t Antonio, vengo dall’Abissinia, non tema[:] io qui sono come in casa mia, ed Ella si trova in casa sua. Io, soggiunse, conosco l’Abissinia, posso farle delle lettere di raccomandazione per l’Abissinia, e con queste Ella vedrà il Nilo nella sua sorgente, e tutto il suo corso. Sarebbe ben stato questo il mio conto, ma egli non sapeva che io era la pecora che parlava col lupo, e confesso [p. 406] d’aver avuto allora gran paura di rompere le ova e guastare la fritata, e pensava di cercarmi un’altra casa; ma egli seppe tanto dire e tanto fare che mi trattenne. Mi fece subito portare il caffè con l’annisetto, ed intanto si mise a raccontarmi la sua missione in Abissinia, il suo viaggio glorioso [glorioso], tutte cose che io molto bene conosceva, ma che mi guardava molto bene dal lasciare trasparire il menomo segno.

io capiva i loro discorsi e spiava ogni cosa Io stava attento a tutto quello che mi diceva, senza molto rispondere, e facendo solo atti di ammirazione; ma intanto conoscendo io abbastanza la lingua abissinese stava attento a tutto quello che dicevano tutti i ragazzi che stavano d’intorno, i quali da quanto ho potuto capire, erano tutti schiavi regalati da Abba Salama e da Degiace Kassà, ad eccezione di uno, il quale dalle sue parole dava piuttosto motivo a credere che non fosse un servo del Vescovo Salama, perché diceva[:] henietà Salama (il mio Signore Salama), e giurando diceva[:] Salama imut (per la morte di Salama).

Io vestiva a modo di uno scrivano arabo, ed aveva la barba un poco tagliata in modo che difficilmente mi avrebbe conosciuto chi mi avesse casualmente veduto in Abissinia. Nei miei discorsi con Abba Daud io faceva delle interrogazioni sull’Abissinia, come una persona che mai l’ha veduta. Mi domandò se io era cattolico, ed ho risposto subito che /257/ io era cattolico, ed intendeva morir cattolico. abba Daud dice che la fede cattolica è la vera. Avete ragione, disse, Iddio mi fece Copto, ma confesso che quando fosse questione di salvarsi la fede cattolica è la più sicura. Io sono andato in Abissinia mandato [p. 407] dal Patriarca Petros perché un Vescovo Cattolico è andato colà; ho fatto giurare [a] tutti i principi di non riceverlo, perché non è paese di loro giurisdizione, benché io sia certo che sono tutta brava gente e santi uomini; così ho finita la mia missione, e me ne ritorno con dei bei regali, e buona somma di denari.

abba Daud mi fa molte rivelazioni Questo uomo colle sue cortesie da un giorno all’altro mi trattenne tre giorni, e non basterebbero due pagine per riferire tutte le cose principali da lui sentite. Fra le altre cose mi disse cose dell’altro mondo sulla santità di Monsignor Dejacobis. Quindi mi disse, io vado in Egitto, e come il Patriarca Petros è molto vecchio, morto lui mi faranno Patriarca. Se non mi fanno Patriarca, io parto, vado a Roma e mi facio cattolico, e poi sotto la protezione della Francia ritorno in Egitto, e metto la rivoluzione frà i Copti e gli facio cattolici; se mi faranno Patriarca non mancherò di trattare questo argomento col Papa, perché il mio cuore è là.

abba Daud fatto patriarca
[18.4.1853].
ritorna in Abissinia;
Salama si rivolta
[dic. 1856-ott. 1857].
Daud ritornò in Egitto dopo la nostra separazione. L’anno seguente morì il Patriarca Petros, fù fatto Patriarca Daud; un’anno dopo il governo egiziano lo mandò in Abissinia ambasciadore a Teodoro. Daud arrivato in Abissinia come Patriarca minaciò Salama per la sua condotta scandalosa, e per il modo ridicolo con cui dava le ordinazioni. Salama non volle riconoscerlo, e fecero gravi questioni, per le quali Teodoro gli tenne in prigione tutti [e] due per ben tre mesi. Il Vescovo Salama allora parlò a Teodoro di rimandare il Patriarca con tutti gli onori e con straordinarli regali; Teodoro lo ascoltò; Daud fù congedato ricco di regali per se, e per il governo d’Egitto; così Salama [p. 408] restò libero in tutto il suo scandaloso libertinagio. Il Patriarca Daud poi, il quale nella sua posizione non mancava di amor proprio, partì disgustato di Salama, di Teodoro, e dell’Abissinia.

abba Daud nel suo ritorno
[lug. 1852]
da segni di cattolicismo per dove passa
Nel suo passaggio a Kartum, e quindi strada facendo con tutti i Vescovi dell’alto Egitto non lasciava di parlare del suo disgusto contro il Vescovo Salama, il quale rendeva la nazione Copta ridicola a tutto il mondo colla sua cattiva condotta, ed ultimamente colla sua rivolta al Patriarca, lasciando dovunque travedere la sua inclinazione al Cattolicismo. Ritornato in Cairo non lasciò più questo linguagio, e gli costò la vita.

abba Demetrio monaco accusa Daud di tendenza al cattolicismo presso il vice Re;
una sera fu chiamato al cognito caffè, e morì [1852];
15. giorni dopo il Demetrio era Patriarca.
Un semplice monaco furbo trovò la maniera di penetrare sino al Vice Re Ismaele Pascià, e seppe tanto parlare contro il Patriarca Daud, come /258/ persona che lavorava per far cattolica la nazione Copta, che il Vice Re una sera fece chiamare Daud alla conversazione, e secondo l’uso egiziano, fattogli bere un caffè lo licenziò, ed a mezza notte era già morto: quindeci giorni dopo il monaco omicida era già fatto Patriarca successore di Daud.

Daud era un uomo un poco grossolano, parlava molto, ma era un’uomo semplice, dotato di una certa quale rettitudine, con qualche fundamento di fede, cosa molto rara nella classe monacale. Io non perdo tutta la speranza che Iddio abbia calcolato le buone disposizioni di questo uomo, il migliore dei Copti che ho conosciuto.

parto per Doka;
i camelieri ritornano a Rosseres.
consigli di mercanti.
Temendo io di essere conosciuto in Gadaref, dopo tre giorni sono partito per Doka, in quel tempo ultima posizione militare di frontiera egiziana verso l’Abissinia, sede di un Comandante, poco presso come Fasuglu, e luogo, [p. 409] dove, da quanto mi dissero è morto il primo console austriaco di Kartum di ritorno dall’Abissinia tre anni dopo. In Doka ho dovuto congedare i miei camelieri presi a Rosseres, come luogo di confine. Fui obligato per conseguenza a cercarne altri, epperciò a restarvi qualche giorno presso il Comandante, persona molto garbata. Qui ho trovato alcuni mercanti, i quali mi hanno assicurato che da Matamma avrei potuto prendere la via di Dunqur col mercanti di Luka per la mia strada sui confini dell’Abissinia per arrivare ai paesi Galla, ma che sarebbe stato necessario di andarvi come semplice mercante arabo, e non come viaggiatore europeo, perché gli europei non sono amati.

parto per Matamma
[21-23.3.1852]
quale Matamma;
sciek Hibrahim.
Dietro [a] questo consiglio sono partito alla volta di Matamma, dove sono arrivato in tre giorni. Matamma era in quel tempo una piccola Provincia indipendente dall’Abissinia e dall’Egitto, pagando un piccolo tributo [d]alle due parti. Era governato Matamma da un Sciek ereditario detto Sciek Hibrahim. Come Matamma era un gran mercato, dove discendevano gli Abissini per vendere schiavi e comprarvi cotone, mentre gli egiziani venivano a comprare schiavi, conveniva agli uni ed agli altri che questo paese fosse indipendente; così l’Egitto non era risponsabile [di fronte] all’Europa del mercato di schiavi, e l’Abissinia ai trovava anche più libera.

Arrivato a Matamma sono andato [a] fare una visita al Sciek Hibrabim con una lettera di raccomandazione del Comandante di Doka. Questi mi diede una bella capanna per alloggiarvi, ma sgraziatamente sono rimasto tutto solo, e mezzo ammalato. Fortunatamente aveva vicino un cristiano levantino fabricatore di aquavite, col quale mi sono aggiustato /259/ per farmi servire nelle cose più necessarie; egli aveva la sua moglie che mi faceva un poco di cucina ed un suo figlio piccolo per altri servizii.

venuta del barone de Marzac e di Vissier a Matamma
[26-27.3.1852].
[p. 410] Non erano ancor passati due giorni dal mio arrivo a Matamma, che all’improvviso mi arrivano due antichi amici, uno era il Barone Marzac francese che io aveva conosciuto a Roma come applicato all’ambasciata francese, e l’altro era M.r Vissier uno di quelli che i[n] massawah si trovarono presenti alla consacrazione di Monsignore De Jacobis. Questi due signori venivano da Massawah diretti per Kartum. arrivati a Matamma avendo inteso che si trovava un’europeo, senza sapere chi era vennero, e restarono veramente di stucco [al] vedermi là tutto semplicemente e poveramente messo nel mio goggiò con una cappella molto economica, e tutto solo. Io ho spiegato loro il motivo della mia oscurità, la era per nascondermi agli abissinesi. Essi restarono alcuni giorni per ajutarmi a partire, e vollero avermi con loro più volte a pranzo.

questi signori mi aiutarono per la mia partenza per Dunkur
[2.4.1852];
questi morirono tre anni dopo al fiume bianco
[1860 e 1861].
Essi vennero con me al mercato per comprare l’asinello e tutte le mercanzie che mi occorrevano per il mio piccolo negozio; quindi partendo l’indomani coi piccoli mercanti per Dunkur mi accompagnarono quasi un’ora di viaggio, e ci siamo separati fuori di Matamma per non vederci mai più, perché questi [di]sgraziati, andati a Kartum, e di là al fiume bianco, circa tre anni dopo ho inteso la loro morte fra i Bari al quinto grado.

mie imprudenze in questo viaggio Io sono partito di Matamma con una raccomandazione di Sciek Hibrahim, ma questa non è stata sufficiente, epperciò debbo confessare di essermi esposto ad un gran pericolo in tutti i sensi, ed ho dovuto sopportare delle tribolazioni in questo breve viaggio, che mai ho provato le eguali. Io Vescovo, senza poter [manifestare] di esserlo, cristiano col bisogno di occultarmi, mercante senza saperlo fare, [p. 411] obligato ad una severità morale e gravità in mezzo alle più miserande sozzure, senza un giudice, circondato da mercantelli quasi tutti giovani senza una persona che imponesse [rispetto], io ho passato tre giorni e tre notti molto peggio che se fossi stato condannato a restare in mezzo ad una latrina, l’unico mio appoggio era un povero vecchio, a cui io aveva promesso qualche cosa per i servizii più materiali; questi in verità non mi abbandonò mai, ma non lo ascoltavano; il mussulmano, massime giovane, tanto è vile sotto un’autorità qualunque, altrettanto poi è petulante quando non teme. Luka grosso paese;
capo della provincia di Dunkur;
avvi gran mercato;
Fu una vera grazia di Dio arrivare a Luka, grosso paese capo di provincia detta Dunkur, dove esisteva un mercato, dove concorrevano dalla parte opposta dai paesi Galla dei mercanti con schiavi, avorio, ed anche dell’oro. Il mio scopo non era tanto quello di /260/ vendere, quanto quello di conoscere i mercanti del Sud per unirmi con loro.

miei timori;
prendo casa a parte
[mag. 1852].
Arrivato in Luka tutti i mercanti vanno insieme a stabilirsi in una gran capanna, ma io temendo di restare fra tutti quegli impertinenti ho mandato il mio vecchio a cercare un luogo particolare vicino al Sciek capo del paese, e mediante qualche piccola retribuzione si è trovato un piccolo luogo per me, per il vecchio, e per i due asini il suo cioè ed il mio. Il mio vecchio pensava alle bestie, ed a farmi bollire un poco di riso, mentre io girava a cercare mercanti venuti dal Sud per informarmi della strada.

informazioni di alcuni galla. Ho trovato alcuni Galla Ammurrù, i quali sapevano un poco l’abissino, e questi mi dissero che per arrivate a Dabbo vi volevano da cinque a sei giorni: ma egli mi diceva che per un Turco [p. 412] sarebbe stato molto difficile e pericoloso; in quei paesi i bianchi si chiamano turchi. Quasi tutti quelli che ho consultato mi parlavano in questo modo.

vado al mercato;
stendo le mie mercanzie.
L’indomani del nostro arrivo verso le dieci il mercato incomminciava [a] ingrossarsi, ed io col mio vecchio abbiamo portato le nostre mercanzie, ed [e]stesa una pelle per terra ho messo là tutto in vista, tabacco, pepe, pietre focaie, zolfo, scattole di un soldo, cotone mussulmane, verroterie, aghi, forbici, coltelli e rasoj di due soldi; venivano i compratori ed io pensava più alla persona che alla merce, e qualche volta anche lasciava al vecchio la cura di vendere per parlare ora con uno, ora con l’altro, e qualche volta [mentre io era] fisso a parlare, il mio vecchio rubava, ma io pensava più al capitale che all’interesse, cosa che faceva ridere gli uni e gli altri.

incomminciano le scene dei fanatici mussulmani Parte perché non sapeva bene la lingua, ed il mestiere, e parte anche perché io era astratto, come sia andato, cosa abbia detto [io] non lo so, il certo si è che incominciarono alcuni antichi compagni del viaggio a sollevare certe questioni, uno diceva che io non era un mussulmano, l’altro mi diceva egiziano, un terzo incomminciava [a] trattarmi da spia, ed io faceva finta di non sentire; la gelosia anche che tutti venivano da me a comprare, tutti dalla novità, ravvivò di più la questione, ed incomminciò [qualcuno] a lasciar andare le mani di qua e di là sopra di me, cosa che mi metteva di cattivo umore. Alla fine incominciò a dire uno che io era un franco, [p. 413] e per sapere volevano farmi dire certe espressioni mussulmane che io fuggiva, come segnale religioso, ed il mondo sempre più si attruppava sopra di me con [voci] miste di minacie, di sarcasmi e di riso; uno voleva farmi dire la formola mussulmana che io con serietà ho rifiutato, allora tutti mi saltarono addosso, /261/ come cristiano, come spia del paese, e facendo un certo atto di diffesa, incomminciava qualcuno a manovrare le mani, e mi viddi a cattivo partito.

il caso si fa brutto;
veggo due soldati abissini;
per la morte di Kassà;
vengono i due soldati.
Vedendo che la cosa si faceva seria, ho detto[:] Kassà imut (per la morte di Kassa). Giova sapere che Kassà era il principe abissino, il quale discendeva qualche volta al pigliagio e lo temevano; al sentire queste parole due soldati abissinesi che giravano il mercato vennero a prendere le mie diffese, ed io mi raccomandai a loro, e si fece una baruffa. Fù chiamato il Sciek del paese, anche egli fanatico mussulmano, il quale mi domandò se io era mussulmano, ed io dissi chiaro di no, e tutti ai alzarono contro; fortuna di quei due soldati che minaciarono la folla, del resto io sarei stato vittima del fanatismo mussulmano.

sono condotto a casa del Sciek. Il Sciek, ed i due soldati allora mi presero per la mano, si radunarono le mie mercanzie, e mi cavarono, dalla folla che ancora mi stava minaciando. Siamo partiti verso la casa del Sciek, o capo del paese, e così me ne sono sortito sano e salvo. Una volta fuori del pericolo, ho preso una buona quantità di tabacco, e l’ho dato a quei due soldati, aggiungendo un bel pugno di pepe, e furono molto contenti. Il Sciek coi due soldati ritornarono al mercato a minaciare. [p. 414] Benché il paese fosse indipendente pure temevano Kassa (futuro Teodoro) il quale gli spaventava col pigliagio, epperciò le minacie calmarono la moltitudine, e tutto rientrò nell’ordine.

i due soldati volevano portarmi a Kassà;
per fortuna il Schiek non voleva.
Sortito da questo pericolo, me ne sortì un’altro ancor più grave che tutto quel mondo là non poteva sapere. I due soldati erano stati mandati da Kassa al Sciek sperando di prendere qualche tributo in forma di regalo, che questi soleva mandare per tenerlo lontano; ma questi due soldati volevano portarmi a Kassà loro padrone, ed io non poteva assolutamente andarvi, perché in quel momento era egli il più grande mio nemico, come venduto al vescovo Salama, ed io non poteva palesare questo mistero. Con altre ragioni cercava di schermirmi adducendo la mia povertà, avendo niente da regalare al principe secondo l’uso.

Lo stesso Sciek non avrebbe amato la mia andata a Kassa, temendo che con ciò non si aggravasse l’affare dell’insurrezione contro di me, epperciò da questa parte io poteva essere sicuro. mie manovre coi soldati per andare al sud. Io poi in particolare ho fatto grande amicizia coi due soldati, aggiungendo loro in regalo un bel coltelletto a ciascheduno. Come in gran confidenza ho detto loro il mio piano di andare più avanti sino a Dabbo per comprare qualche uncia di oro e fare fortuna, e gli pregava di aiutarmi parlandone al Sciek. In questo modo essi incomminciarono [a] desistere dal proposito di portarmi a Kassà.

/262/ si fa questione del mio viaggio a Dabbo;
il Sciek protesta in contrario.
In presenza dei due soldati ho sollevato la questione del mio viaggio sino a Dabbo, [p. 415] ma il Sciek non volle saperne dicendo che temeva di me: tutti questi mercanti sono mussulmani, ed alcuni sono Haggi (santi, pellegrini di Mecca) venuti dalla Mecca, e voi siete cristiano, e non onorate i mussulmani, perché rifiutate di dormire con loro; se vi arriverà qualche cosa mi compromettete con Kassà, con Sciek Hibrahim di Matamma, ed anche coi turchi. Così fini per allora la conferenza.

consiglio in secreto con Sciek;
alcuni mercanti mi avvisano in secreto.
Nella giornata poi verso sera il Sciek mi prese da solo, e mi disse in secreto: Se vi fate mussulmano, e che promettete di fare società con tutti questi giovani mercanti, io posso mandarvi e vi prometto che [non] vi arriverà niente; senza di questo è impossibile e voi correre [a] pericolo di essere ammazzato. Sentendo così, ho veduto un brutto avvenire in tutti i sensi. Anche alcuni dei mercanti, avendo sentito che io cercava di partire per Dabbo vennero ad avvertirmi di non credere a certi uni, i quali verrebbero forze a farmi coraggio, [concludendo:] perché hanno fatto il complotto di ammazzarvi.

miei calcoli, e timori in utroque foro. Bisogna dire che uno dei cristiani levantini, anche alcuni dei nostri latini di conscienza molto elastica, i quali fingono al uopo di essere mussulmani, e nel resto poi non hanno scrupolo a lasciarsi andare a tutte le libertà e licenze sensuali di questi mussulmani, avrebbe forze potuto tenta[re] di andarvi senza pericolo; ma io era in circostanze molto diverse. Almeno in queste carovane si trovasse la maggior parte [di] persone, anche mussulmane, ma vecchj ed onorati, allora più facilmente avrei potuto [p. 416] azzardarmi, ma sono queste perlopiù tutte carovane di giovani senza esperienza dei loro stessi paesi, e con passioni materiali senza freno di sorta; appena si trova alla testa una persona di 30. anni al più, come capo di carovana, a cui i parenti raccomandano i figli, certamente io avrei creduto di espormi; sono tentato di ritornare a Matamma già venendo da Matamma a Luka ho sperimentato il gran pericolo; epperciò era sul punto di risolvermi a ritornare a Matamma.

Quando si conosce la lingua, allora si può parlare, si può ragionare, persuadere, ed anche acaparrare, o compensare in certo modo le durezze che sono di necessità colla gioventù per mantenersi nel giusto mezzo, ma io sapeva per metà un poco di arabo egiziano, ed un poco di abissinese, tanto che bastava per farmi capire nelle cose essenziali. Tutta quella gioventù poi capivano bensì un poco di arabo corrotto, ma parlavano abitualmente nei loro dialetti che io non capiva.

il Sciek alla presenza dei soldati fa le ultime proteste. Il Sciek alla presenza dei due soldati, non ancora partiti, fece le sue proteste dicendo che egli non poteva rispondere [alle autorità] sulla /263/ mia partenza per Dabbo, e che intendeva assolutamente di non acconsentirvi. Più tardi egli stesso venne con me dai mercanti sotto pretesto di farmi fare la pace con loro; alcuni si dimostrarono indifferenti, altri mi esortarono a farmi mussulmano, altri poi dissero che facevano volentieri la pace colla condizione che io andassi a restare e passare la notte con loro, cosa quasi impossibile a me, e non posso dire il gran perché.